Mondo

Trump a Roma. Verrà per ascoltare l’Europa o solo per ricordarle che ha truffato l’America

Meloni nello Studio Ovale tra dazi, gas e promesse a mezza voce

18 Aprile 2025

A Roma, per ottenere un vertice internazionale, Silvio Berlusconi avrebbe fatto una telefonata. Al massimo due, ma solo per lasciare il tempo di preparare la tavola. Avrebbe chiesto una data, un orario preciso, magari suggerito anche il colore della cravatta dell’ospite. Avrebbe chiamato Apicella e promesso otto ore memorabili. E il vertice si sarebbe fatto. Con le fanfare, i flash, e l’annuncio già pronto in conferenza stampa, anche se nessuno sapeva esattamente di cosa si dovesse parlare. Pace all’anima sua. Possiamo solo ricordarlo, senza offesa, con un sorriso. E un certo rispetto per quella leggerezza che, nel bene e nel male, spostava le cose.

Giorgia Meloni, invece, è partita. Ha attraversato l’oceano per sedersi nello Studio Ovale. E lì, in quella cornice carica di simboli, ha provato a fare ciò che una volta si sarebbe chiamata politica estera.

Ha difeso Zelensky, ma senza urtare troppo Trump. Ha detto che l’invasore è Putin, ma ha ringraziato comunque il Presidente che l’ascoltava. Ha chiesto un vertice nella Capitale, ma si è accontentata di un “forse”. Ha parlato di Europa, senza che l’interlocutore pronunciasse mai il nome di Ursula von der Leyen. Trump ha finto di non sentire, come sempre. E anche stavolta non ha dovuto neppure fingere.

Giorgia ha portato in dote dieci miliardi di investimenti italiani. Un’offerta generosa, quasi un pegno d’ingresso per il tavolo buono. Forse serviva a compensare ciò che l’America pretende senza mai negoziare: più armi, più spesa militare, più gas made in USA. L’equilibrio, qui, è solo un concetto da pronunciare a mezza voce, mentre si accetta che la reciprocità non sia parte dell’invito.

Trump, dal canto suo, ha fatto Trump. Ha tenuto la scena, ha elogiato la premier (“She is great!”), ha rilanciato sui dazi, ha chiesto il 5% del PIL per la NATO (e chiuderebbe anche al 3,5%), ha colpito l’ideologia woke e ha glissato sulla Commissione Europea come fosse un’entità astratta.

Di certo Meloni ha vinto una partita interna. Tra chi da tempo si propone come il miglior amico di Trump, è stata lei a sedersi nello Studio Ovale. Gli altri, almeno per ora, restano a guardare.
Ma la domanda resta lì, a mezz’aria: se anche Trump venisse davvero a Roma, ci verrebbe per ascoltare l’Europa o solo per ribadire che il mondo ha truffato l’America?

 

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