Governo

Scuola Valditara – Educare o addestrare?

Meno autonomia, più sorveglianza. Meno critica, più obbedienza. La scuola secondo Valditara forma studenti o soldatini?

13 Marzo 2025

Oggi ogni voto, ogni interrogazione, ogni assenza viene immediatamente segnalata alle famiglie, togliendo ai ragazzi una porzione di autonomia che un tempo faceva parte del loro processo di crescita. Sarò politicamente scorretto, ma aver tolto la possibilità di “bigiare” – giungere davanti al cancello della scuola e poi decidere di andare altrove – attraverso la segnalazione immediata dell’assenza, ha prodotto un effetto diseducativo. Perché oggi un giovane che decide di non andare a scuola deve trovare la complicità del genitore, mentre in passato quella era una responsabilità che restava in capo all’alunno. Quando la mia generazione “bigiava”, doveva assumersi l’onere di raccontare una bugia ai genitori, tradendone la fiducia, falsificando la firma per l’assenza e consegnarla all’insegnante. Non voglio rivendicare la bontà del gesto, ma quel modello conferiva al giovane un carico di responsabilità importante. Si è voluto togliere tutto questo, demandando la gestione della condotta interamente ai genitori. L’alunno è stato deresponsabilizzato anche dalla menzogna. Eppure, una scuola che insegna a evitare ogni margine di rischio e di errore non educa. semplicemente sorveglia. Abbiamo trasformato la scuola in un ufficio anagrafe, dove ogni assenza è un codice inviato in tempo reale ai genitori.

La riforma dell’istruzione proposta dal ministro Valditara, racchiusa nelle nuove Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo, si presenta come un manifesto ideologico travestito da progetto pedagogico. Il documento, che entrerà in vigore dal 2026, traccia un modello di scuola improntato a un recupero selettivo del passato, dove il valore della conoscenza è subordinato a un’impostazione culturale chiaramente orientata.

Ma la riforma non si ferma qui. L’educazione affettiva compare solo in forma embrionale, nascosta tra le righe di un documento che sembra più preoccupato di disciplinare che di educare al rispetto reciproco. La scuola del futuro promette anche una “integrazione prudente” dell’intelligenza artificiale, che suona più come un’esitazione burocratica che una vera rivoluzione didattica. Da un lato si esalta la scrittura manuale, la bella calligrafia e la poesia a memoria, come se il digitale fosse un nemico da cui difendersi. Dall’altro, si introduce l’intelligenza artificiale con una cautela che sa di diffidenza più che di consapevolezza. La tecnologia non è né un pericolo né una bacchetta magica, ma trattarla come un accessorio da maneggiare con cautela significa rimanere in bilico tra nostalgia e paura del futuro.

L’affermazione “Solo l’Occidente conosce la Storia”, inserita nel testo ministeriale, non è solo una semplificazione discutibile, ma una dichiarazione di principio che marginalizza il contributo delle civiltà extraeuropee, riducendo il percorso storico a un racconto lineare. Lungi dall’insegnare il metodo critico, il documento esclude lo studio delle fonti per i più giovani, privilegiando una “grande narrazione”, un’idea che riecheggia le pedagogie ottocentesche più che le moderne pratiche educative.

La scuola disegnata da Valditara non è un laboratorio di conoscenza, ma un dispositivo di formazione identitaria. L’impianto pedagogico premia la disciplina, la memoria, l’autocontrollo, in un’educazione più simile a un addestramento che a una reale esperienza di crescita culturale.

Da un lato si esalta la scrittura manuale, il corsivo e la poesia a memoria. Tutto concorre a una visione della scuola che pare più ossessionata dall’ordine che dalla conoscenza.

Anche la letteratura subisce una selezione che sa di populismo culturale. Ai classici si affiancano Harry Potter, Percy Jackson e Stephen King, con l’obiettivo dichiarato di avvicinare i ragazzi alla lettura, ma con il rischio di una banalizzazione che confonde la narrativa pop con la formazione culturale. Leggere non è sfogliare un catalogo di best seller. Non basta aggiungere un po’ di fantasy e horror per trasformare un programma scolastico in un’esperienza formativa. La letteratura non si insegna con il televoto.

Se il Manifesto denuncia questa riforma come il manuale dello studente sovranista, è perché il disegno che emerge è quello di una scuola che plasma cittadini più che formare menti critiche. Il merito, che il ministro ostenta come valore fondante, sembra così ridursi a un criterio di obbedienza, mentre la cultura diventa un repertorio selettivo al servizio di un’idea ben precisa di identità nazionale.

Il paradosso della riforma Valditara è proprio questo. Mentre enfatizza la disciplina, la gerarchia e la conoscenza ridotta a pilastri culturali selezionati, toglie progressivamente ai ragazzi lo spazio per sbagliare, per sperimentare, per costruire una propria responsabilità. Ma un giovane che non ha mai dovuto prendere un rischio o affrontare una conseguenza, difficilmente diventerà un adulto capace di decidere autonomamente. E allora forse il vero problema è l’idea stessa di educazione che questa scuola pretende di incarnare.

Forse il vero problema è che questa scuola non lascia spazio alla complessità della crescita. Insegnare non è solo riempire, ma anche togliere, lasciare vuoti da colmare. Ma una scuola che già decide tutto, che misura, schematizza e chiude ogni spiraglio di dubbio, può davvero educare?

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi collaborare ?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.