
Letteratura
Jonathan Safran Foer al MAXXI
Il critico cinematografico Antonio Monda ha dato il via al ciclo “Le Conversazioni” con un’intervista allo scrittore statunitense Jonathan Safran Foer, autore di best seller come “Ogni cosa è illuminata”
Le Conversazioni
Martedì 18 marzo, il critico cinematografico Antonio Monda ha dato il via al ciclo “Le Conversazioni” con un’intervista allo scrittore statunitense Jonathan Safran Foer, autore di best seller come “Ogni cosa è illuminata” e “Molto forte, incredibilmente vicino”. Gli incontri si tengono all’auditorium del MAXXI, Museo nazionale delle arti dei XXI secolo e saranno intervistati anche i registi Pupi Avati e Sandro Veronesi.
Ci rechiamo al museo con abbondante anticipo, ma la cassiera ci comunica che tutti i posti sono prenotati dai possessori della MAXXI Card e dagli inviti istituzionali. Possiamo però aspettare, nel caso alcuni ospiti non si presentino. Aspettiamo con calma, prima che la fila inizi a scaldarsi. Alcuni ospiti accusano il museo di non aver chiarito la possibilità di prenotarsi in anticipo con la MAXXI Card. In realtà, questo è abbastanza chiaro dalla pagina web dell’evento.
Forse, l’organizzazione è stata troppo generosa con gli inviti, per cui, dopo una lunga attesa, entriamo tranquillamente in una sala non ancora piena. Il MAXXI ha mostrato eccessiva ambizione e si è dimostrato precipitoso nel dichiarare la sala piena.
Il sogno di Auster
Dopo la breve introduzione di Irene de Vico Fallani, dirigente del MAXXI, Antonio Monda ci anticipa che la conversazione verterà sul lato personale dell’intervistato. Prima di iniziare le domande omaggia Gene Hackman e chiede a Jonathan Safran Foer di raccontarci i sogni sulla morte di Paul Auster.
Lo scrittore risponde che Paul Auster ha rappresentato per lui una sorte di padre letterario, anche se negli ultimi anni avevano perso i contatti. Dopo la sua dipartita, lo incontra nei suoi sogni per comunicargli che è morto.
In un sogno recente, Safran Foer cammina per Roma con alcuni amici e vede Paul Auster insieme alla moglie, all’interno di un famoso ristorante. Così, pensa che deve dirgli che è morto. Entra, si presenta, ma Auster non si ricorda di lui. Gli dice che non è importante, la cosa seria è un’altra. Gli comunica così della sua morte, ma lui risponde che non è possibile, perché sta parlando proprio in questo momento.
Safran Foer cerca Auster su Google, ma non trova quasi niente, perché non è famoso. Sembra che i due scrittori si siano incontrati in un mondo parallelo. Il giovane scrittore racconta al più anziano che nel suo mondo è così famoso che tante persone hanno partecipato al funerale e ha parlato pure Salman Rushdie. Auster ha piacere nello scoprire che esiste un altro mondo in cui è famoso. Infine, si abbracciano prima di congedarsi.
Dopo questo aneddoto, inizia la conversazione vera e propria.
Libro preferito: “Vita? O teatro?” di Charlotte Salomon.
Jonathan Safran Foer conobbe il libro comprandolo nel negozio di souvenir del museo ebraico di Amsterdam, in uno dei suoi primi viaggi da solo. Il volume raccoglie 769 dipinti della pittrice tedesca di origine ebraica, che realizzò mentre si nascondeva dai nazisti. L’autrice è poi deceduta nel campo di concentramento di Auschwitz. Secondo lo scrittore, questa raccolta è il miglior lavoro che gli ricorda di essere in vita.
Miglior film: “Rivers and Tides” di Thomas Riedelsheimer
Non è un capolavoro, ma un film che gli ha lasciato molto. Si tratta di un documentario sull’opera dell’artista inglese Andy Goldsworthy, che realizza sculture effimere nella natura. Safran Foer adora il film perché mostra come ci sia qualcosa di divertente nel fallire, nel continuare a realizzare opere d’arte destinate a deperire in poco tempo, che spesso nessuno vede. In pratica, Goldsworthy realizza un’arte che non può vendere. Il film mostra quindi la bellezza di non vivere la vita e l’arte all’insegna dell’utilitarismo, insegnandoci l’importanza di non essere ambiziosi in un mondo che ci chiede di essere competitivi.
Migliore opera d’arte: Pietà Rondanini di Michelangelo.
Si tratta dell’ultima opera del grande scultore, l’unica che non gli è stata commissionata. Lo scrittore è rimasto colpito dalla presenza di un braccio non connesso al resto dell’opera. Probabilmente, Michelangelo aveva intenzione di inserire altre figure, ma quel braccio non poteva essere rimosso perché serviva per tenere in equilibrio la scultura.
Siamo quindi in presenza di un rimorso artistico, perché l’autore cambia idea, ma deve lasciare traccia del suo ripensamento. Questo braccio ci mostra come è possibile comprendere il processo che ci porta a un risultato. Un processo in cui emergono i nostri punti di debolezza, da analizzare con umiltà. Questo è il rimorso buono. Ma esiste anche un rimorso cattivo, che ci porta a dubitare della nostra vita. Ad esempio, lo stesso Michelangelo ha ammesso di essersi impegnato troppo per l’arte e poco per la sua vita.
Miglior poesia. “The only animal” di Franz Wright.
La poesia tratta le differenze tra l’uomo e gli altri animali. Alla fine, il poeta assume la voce di Dio che parla con l’uomo e afferma “Sebbene il tuo cuore ti condanni, io non ti condanno”. Il poeta, nei panni di Dio, sceglie così di non condannare una creatura imperfetta.
Perché la coscienza di noi stessi ci rende unici e in grado di realizzare cose meravigliose e cose orribili. Quindi, la coscienza è un grande dono, ma anche un martirio che ci innalza e ci abbassa allo stesso tempo. Nella poesia, il poeta perdona le nostre bassezze.
Miglior canzone leggera: “Here” dei Pavement.
Anche questa canzone non è un capolavoro. Ma lo scrittore l’ha ascoltata la prima volta a 16 anni, in un momento in cui stava imparando l’amore e l’arte ed era aperto e disponibile al mondo. Le persone anziane sono più sagge e responsabili, ma i giovani hanno una maggiore apertura. Oggi, gli manca quell’apertura mentale che gli faceva amare una canzone alla pazzia.
Miglior canzone classica: un notturno di Chopin
Questa è l’ultima canzone che Safran Foer ha imparato quando studiava il pianoforte. Si emoziona a pensare a questo notturno perché in quel momento non sapeva che avrebbe smesso di studiare e quella sarebbe stata l’ultima canzone che avrebbe imparato.
Luogo preferito: la casa.
Non intende l’edificio, quanto il concetto meglio espresso dal termine inglese “home”. Casa quindi come luogo di ritrovo di ritorno per sé e la propria famiglia. Dice che gli piace viaggiare ma poi tornare a casa dove si sente più sicuro. Si definisce un tipo abitudinario, che si accorge di fare spesso la stessa strada.
Cibo preferito: bistecca.
In realtà Jonathan Safran Foer è vegetariano, non mangia bistecche e ha passato la vita a discutere con se stesso e gli altri sulla necessità di mangiare meno carne possibile, per rispetto del clima e degli animali. Ma ciò non vuol dire che non gli piaccia la carne. Gli piaceva la carne da piccolo e oggi gli piace l’odore. Ciò significa che grazie alla nostra coscienza, noi umani siamo in grado di fare scelte che gli animali non possono permettersi. Scelte morali che sicuramente hanno un prezzo.
Personaggio storico preferito: Bruno Schulz.
Lo scrittore ha avuto grosse difficoltà a scegliere, perché resisteva di fronte al concetto di grandezza, che non si può separare dalla malsana ambizione. Alla fine ha scelto questo scrittore e artista visuale polacco di origine ebraica, che ha avuto una grande immaginazione e una grande storia, prima di essere ucciso da un ufficiale della Gestapo.
Personaggio immaginario preferito: Mosè.
A Safran Foer piace l’idea che la Bibbia non disegni eroi perfetti. Mosè si arrabbia e balbetta, ma Dio gli chiede comunque di diventare suo portavoce. I tanti difetti degli eroi biblici, posti in un testo così sacro, possono addirittura far pensare che le vicende descritte siano reali.
Prima di chiudere l’intervista, Antonio Monda pone una domanda più politica sull’America di Donald Trump. In particolare, chiede se il paese sia cambiato rispetto al passato.
Lo scrittore non fornisce una risposta chiara e incisiva, ma usa il buon senso. Afferma che è necessario riflettere e guardare gli aspetti più sottili delle decisioni politiche che non sono certo semplici. Donald Trump compie decisioni durissime che ci fanno arrabbiare, ma il problema non è solo lui, perché ognuno di noi usa toni durissimi, alimentati dai media e dai social.
Se non va bene dire che i messicani sono stupratori, non è lecito neanche affermare che gli elettori repubblicani sono razzisti. Dobbiamo comprendere i punti di vista dell’altro. Questo è il momento di rimetterci in gioco e cercare una verità che spesso si trova nel mezzo. Non possiamo pensare che tutti coloro che hanno votato Trump siano brutti e cattivi, ma dobbiamo chiederci cosa non abbiamo compreso dei cambiamenti intervenuti nella società.
Finisce così, in modo poco incisivo, una conversazione un po’ scialba con Jonathan Safran Foer, che rimane uno scrittore fenomenale, uno dei pochi autori statunitensi ad avermi emozionato con il suo romanzo “Ogni cosa è illuminata”.
Foto di Hua WANG
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