Religione
Papa e padre
Tra le ragioni della grande popolarità di papa Francesco e del vasto cordoglio suscitato dalla notizia della sua morte vi è una collusione con la nostalgia del padre, cifra profonda del nostro tempo?
Potremmo dire che questo del pianto per l’autorità perduta e della debolezza della gioventù smarrita è il genere di letteratura più popolare nel nostro tempo, l’espressione più profonda della nostra società (Marzano-Urbinati)
Qualche attesa l’elezione di Papa Francesco l’aveva pure alimentata. Fin dalle prime parole con cui si era presentato al mondo dal balcone di san Pietro: «Fratelli e sorelle buonasera. Voi sapete che il dovere del Conclave è di dare un Vescovo a Roma».
Precisamente queste erano state le sue parole: vescovo di Roma.
Sarebbe seguita una stagione di rivisitazione del ruolo e dell’autorità del Sommo pontefice?
Un’autorizzazione esplicita era venuta anni prima dalle parole di Giovanni Paolo II nella lettera enciclica Ut unum sint: «Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare, soprattutto nel constatare l’aspirazione ecumenica della maggior parte delle Comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova» (1995).
Di una forma nuova di esercizio del primato papale con papa Francesco non si è avuta traccia. E per altro sarebbe stata probabilmente la riforma più a sua portata. Perché prima di riguardare il sistema chiesa riguardava se stesso.
Certo papa Francesco ha svolto il suo ruolo con toni molto distanti da un modello autoritario e patriarcale. Tanto da suscitare critiche severe da parte di un certo cattolicesimo ultraconservatore fino all’accusa di essere un papa illegittimo. Con toni mai visti nei confronti di un papa moderno nella storia recente del cattolicesimo.
E per altro ha sempre lucidamente interpretato la necessità di un cambiamento e di una riforma della chiesa cattolica.
In un celebre (e molto contestato) discorso alla curia romana del 21 dicembre 2019 così si era spiegato: «quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca. Siamo, dunque, in uno di quei momenti nei quali i cambiamenti non sono più lineari, bensì epocali; costituiscono delle scelte che trasformano velocemente il modo di vivere, di relazionarsi, di comunicare ed elaborare il pensiero, di rapportarsi tra le generazioni umane e di comprendere e di vivere la fede e la scienza». E proprio in quel discorso aveva aggiunto: «Nelle grandi città abbiamo bisogno di altre “mappe”, di altri paradigmi, che ci aiutino a riposizionare i nostri modi di pensare e i nostri atteggiamenti: Fratelli e sorelle, non siamo nella cristianità, non più! Oggi non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati. Abbiamo pertanto bisogno di un cambiamento di mentalità pastorale».
Ma alle parole, sul punto di un ripensamento del ruolo dell’esercizio della sua autorità, non sembrano seguite azioni efficaci.
«Da lui [papa Francesco] sembra provenire il messaggio che, se una cultura morale del padre deve sopravvivere, questa sarà non all’insegna dell’autorità di ruolo (cioè dell’autoritarismo), ma piuttosto dell’autorità del servizio. Il padre che soccorre prende il posto del padre di quello che comanda e guida. Un modello paternalistico di carità e aiuto come conseguenza di una diagnosi che vede la modernità come una grande clinica o grande nosocomio [la chiesa come ospedale da campo]. Patriarcalismo e paternalismo finiscono per essere per essere due facce della stessa medaglia in quanto si radicano su una visione della società organicistica nella quale le persone non sono mai davvero individui autonomi, ma sono sempre collocate in ruoli determinati, erogatori o oggetti di misericordia e di cura del prossimo. E’ il comune riferimento all’autorità il punto di contatto tra queste forme diverse di appello al padre» (Marzano-Urbinati, La società orizzontale, Feltrinelli).
Viviamo in un mondo in cui vige una grande nostalgia di paternità.
E’ diffuso il lamento per la mancanza di autorità, il suo venir meno, la sua crisi.
Papa Francesco è stato il papa dei grandi appelli alla pace, della difesa dei deboli e degli ultimi. E per questo ha riscosso grande stima anche fuori dai confini della chiesa e la notizia della sua morte ha destato vasto cordoglio e commozione.
Ma tra le ragioni della sua popolarità io credo stia anche una certa collusione tra il suo vivere l’autorità papale e quella nostalgia della paternità che oggi dilaga con una vera e propria e imperante chiamata alle armi di forze ostili all’uguaglianza e alla libertà.
C’è una storia di fedeltà alla parola evangelica che è ancora tutta da scrivere.
Ma voi non vi fate chiamare “Rabbì”; perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. Non chiamate nessuno sulla terra vostro padre, perché uno solo è il Padre vostro, quello che è nei cieli. Non vi fate chiamare guide, perché una sola è la vostra Guida, il Cristo (Matteo 23,8-10).
«Avere frainteso e sterilizzato le parole di Gesù, non aver prestato ascolto a questa parola profetica e profondamente trasformatrice (per quanto non in modo indolore) delle reali dinamiche istituzionali, ha storicamente costituito una grave omissione per la chiesa cattolica. E’ venuto il momento di riaprire le orecchie e lasciarsi mettere in movimento» (Giaccardi-Magatti, La scommessa cattolica, Il Mulino).
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