Partiti e politici
Che destra sarà? Il dubbio di Meloni, oltre la guerra tra Salvini e Tajani
La lite sul Canone Rai, sfociata in un voto contro il governo, è solo il tassello di un quadro più ampio. I conflitti interni alla maggioranza e la necessità quasi obbligata di convivere definiranno il futuro della legislatura
Le ultime settimane dell’anno che finisce sembrano fatte apposta per mostrare, stilizzati, tutti i temi che attraverseranno la vita e l’identità della destra di Giorgia Meloni e del governo nel 2025 che sta per cominciare e, se superato senza danni, nel 2026 che porterà alla naturale conclusione della legislatura e al voto politico del 2027. Mettiamo in fila un po’ di fatti politici e di parole di queste settimane per guardare al futuro prossimo e a quello meno vicino. La lite interna alle forze di maggioranza sull’abbassamento del canone Rai, sfociata nel voto dissenziente di Forza Italia con conseguente sconfitta del governo nelle aule parlamentari, è infatti un episodio che sta dentro a un quadro più largo e una prospettiva più lunga. Esaurite le cartucce simboliche e identitarie sui temi di diritti civili, come l’introduzione del reato universale di Gestazione Per Altri, sul tavolo della maggioranza sono arrivati, per restarci, i principali dossier “di sostanza” che definiranno l’identità politica materiale di una coalizione di governo e, in buona misura, anche il destino politico del paese. Su tutti questi temi, in parte importante, si è giocato e si giocherà anche il profilo prossimo venturo della destra guidata da Giorgia Meloni, a cominciare dal partito del quale è fondatrice e guida.
Anzitutto, dopo mesi di lungo travaglio, ha visto la luce la seconda Commissione Von der Leyen, nella quale ha trovato un posto di peso il commissario italiano Raffaele Fitto, uomo di fiducia della presidente del Consiglio.
Il voto degli europarlamentari di Fratelli d’Italia è risultato decisivo per la nascita della commissione, e data l’esiguità della maggioranza parlamentare proprio il gruppo parlamentare della presidente del Consiglio risulterà decisivo anche nel prosieguo del cammino di questa legislatura europea. Questo garantisce un indubbio peso politico agli europarlamentari di rito meloniano, ma obbliga il partito a una scelta di campo stabile, che va nella direzione di un consolidamento della linea conservatrice-istituzionale e riapre le porte – chissà – alla decisione di liberarsi della Fiamma e della nostalgia, almeno nel simbolo del partito. Ci sarà quindi spazio per le polemiche e il dibattito politico animate anche dai Fratelli d’Italia in Europa, ma sembre rimanendo dentro all’area di governo europeo, in un rapporto stabile con le famiglie democratico-cristiane e quelle socialiste, ormai abituate a governare insieme in Europa. Con fuori dalla coalizione, tra gli altri, i leghisti di Salvini che già si godono la ritrovata libertà e la possibilità di fare casino in Europa, mentre in Italia – più o meno – si sentono costretti a fare i bravi ragazzi dagli obblighi di coalizione.
Del resto, la strategia di sopravvivenza di Matteo Salvini è sempre la stessa, dalla campagna elettorale per le scorse elezioni europee in poi: fare rumore continuamente, distinguendosi da destra. È stato così con la candidatura del generale Vannacci, che dopo aver smentito mille volte ha fondato il suo movimento. È così ogni volta che si può, su qualunque tema, in maniera del tutto libera e svincolata dalle deleghe ministeriali che sarebbero di sua competenza, cioè infrastrutture e trasporti. La Corte Penale Internazionale spicca un mandato d’arresto per Netanyahu? Lui anticipa tutto il governo e dice che in Italia è benvenuto, e i criminali sono altri (invadendo il campo, guarda caso, di Tajani). Il suo compagno di partito Giorgetti si danna l’anima e risparmia anche sulla cancelleria per far quadrare i conti? E lui mette i piedi nel piatto al grido di “paghino i banchieri”. Naturalmente, l’obiettivo è non sparire nella contesa interna con Fratelli d’Italia e Forza Italia, che, con Berlusconi ormai morto e sepolto, è riuscita comunque a stargli davanti nei consensi alle scorse europee, evento che non si verificava in un voto nazionale da parecchi anni. Ma l’obiettivo è anche tenere insieme e in mano un partito, la Lega, che mentre il progetto dell’autonomia differenziata rischia di finire su un binario morto, rischia di trovarsi spaccato e diviso, e messo di fronte alle sue profonde crisi di identità tra le radici nordiste che continuano atrarre linfa, nonostante tutto, dalle terre padane, e la svolta nazionale e di destra salviniana, che sembra aver perso la sua spinta propulsiva ma, ad onor del vero, non trova concrete alternative anzitutto alla leadership, appunto, di Matteo Salvini. Intanto, anche un progetto che in teoria dovevano risultare unificante, come quello degli hot-spot per la raccolta migranti in Albania, si è rivelato un disastro in termini di risultati, di costi, e quindi di immagine.
È in questo quadro che va letto il continuo rivendicare autonomia e diverso profilo istituzionale da parte di Antonio Tajani. Il no allo sconto populista sul Canone Rai è quasi un dettaglio, benché il finale sia rumoroso, e viene a valle di settimane e mesi di punture e distinguo. In politica estera, sull’economia, a difesa delle banche attaccate da Salvini, e insomma su ogni tavolo che conta. Tajani è forte di un rapporto privilegiato con il presidente della Repubblica Mattarella, da un lato, e ha azionisti forti del suo partito – la famiglia Berlusconi – che chiedono conto della linea politica ma anche, soprattutto, del riguardo con il quale il governo Meloni tratta o no l’impero economico-imprenditoriale costruito dal padre, e fondatore del centrodestra italiano. È una situazione di tensione, dunque, quella che abbiamo davanti, che è esplosa in modo esplicito pochi giorni fa con un voto in parlamento, ma che è qui per rimanere, perché riguarda la struttura stessa della politica italiana e gli interessi in campo. Di fronte, ci sono tre, forse quattro opposizioni politiche parlamentari. In caso di fine dell’esperienza di governo, questa volta, è da un lato impossibile credere che ci sia lo spazio per il formarsi di una nuova maggioranza in questo parlamento. E dall’altro, nonostante tutto, resta molto probabile che, in caso di elezioni, Schlein, Conte, Fratoianni, e perfino Calenda e Renzi, troveranno un modo per fare l’unica cosa che possono fare se davvero vogliono provare a vincere: cioè andare tutti insieme, pur spasmodicamente. Sono due elementi – l’impossibilità di un governo con una maggioranza diversa, e la probabile ammucchiata – che fanno pensare che il governo durerà, e la legislatura anche. Giorgia Meloni potrebbe volerla usare per mangiarsi un boccone alla volta quanto può di due alleati diversamente rognosi. Ci riuscirà senza segare il ramo su cui poggia la sua poltrona? Lo capiremo abbastanza presto.
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