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Costume
Le sirene di Sanremo
Ci ho provato. Volevo essere normale. Partecipare. Anche per rispetto verso amici che invece lo gradiscono, e mal sopportano quelli che lo bastonano a prescindere, o peggio ancora, quelli che dicono di non guardarlo e invece sbirciano sicuro. Un po’ come chi votava Berlusconi, ma non lo diceva. Ok. Mi sono legato al divano come Ulisse all’albero maestro. In attesa della sirena. Ho resistito al conduttore, un uomo tale e quale al Festival, che vorrebbe la pelle nera ma è pallido dentro. Agli anziani vincitori restaurati per l’occasione. Ai giovani tatuati come galeotti, in pena d’amore come colombelle. Alle richieste di abbraccio al conduttore, restio al contatto, ma benevolo. Alle damigelle incatenate al vestitone, preparate a domande e battute che ti chiedi Perché? Chi le scrive? Ai Duran Duran, che non te li cagavi allora, e oggi ti fanno simpatia perché hanno la tua età e sai cosa vuol dire. Ai sermoni e le lacrime obbligate, ma qui non vuoi, non puoi, non è giusto, infierire. Ai direttori d’orchestra che si battono il cuore, in favore di telecamera; qualcuno avrà anche fatto il cuore a mano, o le mani in preghiera, ma ti eri distratto (l’hai fatto spesso con il cellulare al tuo fianco) e non l’hai visto, e ti è andata bene. Alle filastrocche che chiamano barre rap. All’eterna dittatura di strofa ponte ritornello. Un sussulto? Una goccia di sangue ribelle? La Eco di Joan Thiele mi ha tenuto lì. C’era qualcosa che faceva parte di un’altra cosa, di altri mondi, lontani da quel palco. Il Lucio Corsi, puro e vintage, anche se è un già sentito maiuscolo. Però dai, sei tu che hai sentito troppo! Ecco, sul mio inutile cartellino, la giustificazione di questo festival sta nell’evidenziatore su questi due ragazzi. E nella consacrazione di Brunori, con una delle sue canzoni più mosce, come sempre succede quando va a Sanremo uno che non ne avrebbe bisogno (perché andare a Sanremo è solo un bisogno pratico, si va per fare ciccia), che in quel compitone col rimario in mano, messo in piedi da una manciata di parolieri in catena di montaggio, pareva Gozzano. Forse un poeta minore, ma tanta rima, e canzonabile. Sarò snob? Ma va! Non potrei permettermelo. Sono un trasparente. E anche un po’ cialtrone. Il fatto è che per papparsi Sanremo, e crederci pure, l’anestesia è l’unica soluzione. E io son sempre sveglio come un pirla.
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