Salute mentale

Lancini (Fondazione Minotauro): “Giovani non ascoltati, il loro male inizia lì”

Il Presidente della Fondazione Minotauro Matteo Lancini propone una fotografia della crisi adolescenziale. Un fenomeno che affonda le radici nelle grandi trasformazioni della nostra epoca

27 Novembre 2024
Matteo Lancini, docente universitario di psicologia nelle università milanesi di Bicocca e Cattolica e presidente della Fondazione Minotauro parla di una narrazione erronea che associa al disagio giovanile l’idea che gli adolescenti abbiano troppo.
In questa intervista concessa a Gli Stati Generali lo psicoterapeuta, che sul tema ha da poco pubblicato il libro “Sii te stesso a modo mio” (Raffaello Cortina Editore), chiama in causa in primo luogo le famiglie affermando che esiste un patto di mancato ascolto funzionale al bisogno degli adulti di sentirsi a posto con la coscienza.
Presidente Lancini, cosa sta succedendo nel mondo giovanile?
Da diverso tempo gli adolescenti e i bambini non sono al centro dell’attenzione degli adulti. Esiste una narrazione sbagliata che associa al disagio la convinzione che i giovani siano eccessivamente amati. In verità a mancare è l’ascolto dei figli”.
Di cosa hanno bisogno gli adolescenti?
“Di poter trovare un adulto che li ascolti, che sia autenticamente in grado di raccogliere le loro emozioni e capace di aiutarli. Parliamo di giovani che spesso non sanno cosa gli piace in quanto abituati ad assecondare le aspettative dei genitori e della scuola. Il risultato è la costruzione alternativa a un modello conflittuale con gli adulti che può sfociare in gesti disperati e violenti”.
Parlando di disagio il rimando frequente è all’importanza di saper gestire il fallimento…
“La vita è un processo separativo e il fallimento inteso come caduta, come capacità di tollerare la fine dell’onnipotenza, esiste da sempre.
Il dramma è la lettura che ne danno gli adulti. Gli adolescenti non compiono delle azioni perché non tollerano le frustrazioni ma in quanto si sentono scarsamente considerati”.
I giovani di oggi sono più soli che in passato?
“I giovani sono molto soli davanti agli adulti. Oggi vanno su internet per ridurre la sensazione di solitudine che sperimentano ogni giorno con gli adulti che invece di chiedersi perché accade tutto ciò si limitano a impedire l’utilizzo dei social. È terribile sentirsi soli in mezzo agli altri”.
A suo avviso come è cambiato il ruolo dei genitori?
“Essere genitori oggi è straordinariamente più difficile rispetto ai tempi dei nostri nonni.
La società vive un individualismo di massa che fa paura, in tutti gli ambiti.
Oggi rispetto al passato entrambi i genitori lavorano, deleghiamo ad asili e scuole materne l’assistenza dei figli. Abbiamo un patto per il quale non importa stare insieme ma intendersi, conta la virtualità.
Il modo di esprimere la disperazione così facendo diventa talvolta la violenza”.
Come cambiano i modelli formativi nella società fluida disegnata da Bauman?
“Da quaranta anni tutti sanno quale sarebbe un modello di scuola funzionale ma tutti i politici, di qualunque estrazione, i presidi, i genitori osservano un patto tacito secondo il quale chi tocca la scuola italiana muore.
L’istruzione non si può riformare perché metterla in discussione significa perdere le elezioni.
Il risultato è che nessuno pensa ai ragazzi.
Quando ho sentito parlare di scuola del merito ho pensato che finalmente potevano essere i ragazzi a valutare i propri insegnanti. Mi sbagliavo”.
Quale è lo spartiacque tra la dimensione individuale e quella sociale del disagio giovanile?
“Non esiste uno spartiacque. Viviamo in una società della pornografizzazione di tutto, nella quale genitori, educatori, politici vivono su internet, legati a un cellulare.
I figli vengono ripresi alle recite, in ogni dove, anche mentre mangiano la pasta asciutta in un ristorante. La gente ai funerali applaude lanciando palloncini nel tentativo di rimuovere il dolore.
Ai giorni nostri il confine tra esperienza intima, privata, e la sfera pubblica è venuto meno. I responsabili di tutto ciò sono gli adulti”.
È possibile ricondurre le cause del disagio agli effetti sociali legati a un mondo del lavoro che vive profonde trasformazioni?
“Certamente. In un contesto in fortissima accelerazione si valutano ancora gli apprendimenti scolastici come si faceva quaranta anni addietro.
Le sperimentazioni sull’intelligenza artificiale sono limitatissime.
Continuiamo a trattare i ragazzi come se avessero una dipendenza da internet che nessuno sa misurare ma è onesto rilevare che siamo tutti dipendenti da internet, dalla famiglia, alla società, passando per la politica”.
A suo avviso il sistema pubblico è in grado di fornire una risposta efficace alle richieste che provengono dalla società?
“Bisognerebbe investire ma non lo si fa. Nella virtuosa Lombardia mancano i posti letto, le liste di attesa sono interminabili. Le risorse ci sarebbero. Dipende come le indirizzi. Disboschiamo senza una ragione il pianeta. Qualcuno si sta preoccupando del futuro dei nostri figli?
A queste condizioni la vera domanda è perché li facciamo i figli”.
Chiudiamo con un messaggio di prospettiva… I principali attori sociali in che direzione devono guardare per prefigurare un futuro più florido?
“Affermo con convinzione di essere speranzoso. Giornalmente per lavoro incontro tanti adulti e adolescenti. È necessario puntare tutto sulla relazione, illudersi di essere una buona famiglia limitando l’uso dei telefonini è una premessa sbagliata.
Andrebbe chiesto agli adulti di chiudere tutti i gruppi di whatsapp e non consentire l’uso dei cellulari fino a dodici anni. Vietiamo i social da zero a ottanta anni.
Dobbiamo costruire una società nella quale togliamo qualcosa a noi adulti per darla ai più giovani”.
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