Criminalità
La violenza imitativa di serie tv che glorificano la criminalità
Le rappresentazioni stilizzate della vita criminale, complete di lusso, potere e apparente impunità, rischiano di inviare il messaggio sbagliato: che il crimine sia un percorso valido o addirittura desiderabile per raggiungere il successo.
19 Gennaio 2025
Negli ultimi anni, serie televisive italiane come “Gomorra” e “Mare Fuori” hanno riscosso un enorme successo di pubblico, sia in Italia che all’estero. Tuttavia, se da un lato queste produzioni hanno portato alla ribalta tematiche sociali complesse, dall’altro hanno suscitato numerose critiche per la loro rappresentazione della criminalità.
La rappresentazione della violenza ed una certa identificazione non é nuova, si pensi ad esempio a Trainspotting che usciva in Italia il 4 ottobre 1996.
Renton e Sick Boy, all’apice della loro giovinezza , sono così belli che non perdono il loro carisma neppure quando vengono mostrati vomitanti, drogati, schifati dalle ragazze. Danny Boyle mette in scena senza troppi fronzoli tutto lo schifo della loro non-vita,
cattura ( insieme ad Irwin Welsh) lo squallore di una triste realtà scozzese e lo rende stiloso senza privarlo dell’incredibile senso di vuoto e tristezza che lo caratterizza, creando un film stupendo e disturbante che non poteva non penetrare nella testa e nel cuore di un adolescente che negli anni ’90 stava cercando di uscire dal guscio creato da un ambiente non dissimile da quello frequentato da Renton e soci: una realtà periferica, povera, degradata e preda della tossicodipendenza in cui i ragazzi di Edimburgo cercavano di cavarsela. Una realtà nella quale i giovani sembrano essere senza ideali e senza ambizioni, disgustati dalla società mediocre di cui il mondo li vorrebbe prigionieri.
I giovani avevano le stesse paure e i medesimi dubbi di Renton, Renton eravamo noi, pieni di dubbi, timorosi della solitudine al punto da circondarci delle peggio persone per non ascoltare i pensieri ansiogeni, il terrore di crescere e quella maledetta voce pronta che ricorda di essere dei falliti.
Trainspotting, però, non è un film che legittima il consumo di droga, è piuttosto la mappa interiore di una generazione intera: l’eroina rappresenta solamente il modo, forse l’unico a loro disposizione, che i ragazzi di Leith hanno trovato per esprimere il loro disgusto per la mediocrità e per la vita preconfezionata, nonché il terrore di non riuscire a trovare il proprio posto nella società. Danny Boyle sottolinea dunque le paure e le delusioni dei ragazzi cresciuti in un’epoca di transizione come quella degli anni ’90, in un mondo sulla soglia della rivoluzione digitale e trasfigurato dalla caduta dell’Unione Sovietica.
La differenza tra ” Gomorra ” Mare fuori” e Trainspotting”, mi pare sia da cogliere nel fatto che le prime due serie hanno un impatto negativo sulla società e sulle nuove generazioni perché sembrano glorificare la vita criminale, i personaggi coinvolti nel crimine organizzato sono descritti in modo carismatico e accattivante, trasformandoli in antieroi affascinanti. Questo può portare a una pericolosa normalizzazione del crimine, dove l’illegalità diventa parte di un racconto “glamour” e seducente, invece che una realtà da condannare.
I giovani, che sono tra i principali fruitori di queste serie, possono essere particolarmente influenzabili. Le rappresentazioni stilizzate della vita criminale, complete di lusso, potere e apparente impunità, rischiano di inviare il messaggio sbagliato: che il crimine sia un percorso valido o addirittura desiderabile per raggiungere il successo. Questo può distorcere la percezione della realtà, specialmente in contesti sociali già vulnerabili.
In molte scene di queste serie, i personaggi compiono atti estremamente violenti senza affrontare conseguenze morali o legali significative. Questo può portare a una pericolosa desensibilizzazione, in cui la violenza diventa accettabile o, peggio ancora, parte dello spettacolo. La mancanza di una chiara condanna delle azioni criminali rischia di creare un vuoto morale nel racconto.
<<Purtroppo è brutto dirlo ma le serie televisive hanno finito per rovinare questa città [ il riferimento é a Napoli, NdA]. Manca la cultura e con esso lo spirito critico. C’è troppa ignoranza diffusa tra i giovani che non hanno i mezzi per filtrare i contenuti narrativi che arrivano da certa TV. Il bravo ragazzo viene scambiato per lo stupido di turno>> ( dalle pagine del Corriere della Sera, edizione del 22 ottobre 2024).
Chi ha rilasciato questa intervista èun ex carabiniere, che ha una ricevitoria nel Casertano, il cui figlio di 15 anni è stato accoltellato all’addome da una baby gang di ragazzini di 12 e 13 anni che comportandosi da bulli con il coltello, infastidivano le persone per divertimento.
L’accoltellatore non ha mirato a un braccio o a una gamba, ma al cuore. Ha tagliato in due il fegato, ha sfiorato l’aorta e il cuore del ragazzo. Il chirurgo che lo ha operato ha detto che è vivo per miracolo. Il padre ha descritto suo figlio “buono come una mollica di pane”, un ragazzo che alterna lo studio al liceo scientifico con gli allenamenti sul campo di calcio e con il lavoro nella sua ricevitoria. Che l’ha accoltellato, invece, era intenzionato a uccidere “giusto per il gusto di dire che l’ha fatto”.
Ora non si vuole togliere nulla al clima delinquenziale che pervade alcuni territori del nostro Paese, ma è pur vero come ha sottolineato il padre del ragazzo, accoltellato senza motivo se non quello di mostrare il proprio “valore” agli amici che magari filmano e mettono in rete la scena, che le serie possono avere un forte impatto su menti immature come quelle di un dodicenne e un tredicenne.
L’età è un fattore per niente secondario per spettatori neo adolescenti che in realtà quelle scene hanno già incominciato a introiettarle nel loro immaginario negli anni precedenti guardando senza supervisione film per adulti dove vengono mostrate crudeltà e sopraffazione di ogni tipo.
Per le emozioni, i turbamenti e l’eccitazione che riescono a suscitare, le scene di violenza si imprimono nelle menti acerbe come tatuaggi: modelli di comportamenti che poi vengono riprodotti alla prima occasione, senza ripensamenti, secondo il meccanismo stimolo – risposta del riflesso condizionato.
Nelle serie sui camorristi e gang di delinquenti, le scene violente vengono premiate con il successo di coloro che le perpetrano. Posizionati al centro dello schermo e della narrazione, teppisti e bulli diventano figure di primo piano che suscitano rispetto nello spettatore, inducendolo ad associare la violenza al successo.
Il successo, visto in termini neuroscientifici, corrisponde ad un rinforzo che in ultima analisi implica la produzione di dopamina nel cervello: stabilire un riflesso condizionato significa quindi associare una azione a una ricompensa. Se il successo è la ricompensa dell’azione violenta, questa diventa un potenziatore dell’autostima. Videata dopo videata, la violenza diventa uno stile di vita, sul piano motorio così come su quello emotivo e cognitivo.
Si fa un gran parlare di ridurre l’esposizione dei bambini e dei ragazzi a spettacoli violenti così come a quei videogiochi in cui il successo corrisponde a schiacciare, eliminare, sopraffare qualcuno o qualcosa in termini brevissimi, senza minimamente valutarne le conseguenze. Azioni che suscitano piacere per il successo ottenuto e che spingono a ripetere lo stesso gesto volta dopo volta.
Non stupisce quindi che in alcuni paesi, come la Norvegia, si voglia portare il limite di accesso al social e ad altri media all’età di 15 anni: un passo che da noi può sembrare assurdo, ma che con l’aumentare delle violenze gratuite e “dimostratative”, per sentirsi grandi, bulli e duri come gli eroi delle serie, non é affatto privo di senso.
Sebbene alcuni spettatori siano più suscettibili agli effetti dei media violenti rispetto ad altri – per età, temperamento, vulnerabilità emotiva – un primo effetto possibile é la destabilizzazione emotiva alla violenza: si diventa meno sensibili alla sofferenza altrui o a eventi violenti nella vita reale; si considera la violenza come qualcosa di normale o accettabile.
Un secondo effetto possibile é l’aumento dell’aggressività, specialmente quando il soggetto non ha ancora sviluppato appieno le capacità di autoregolazione e problem solving. Ansia e disturbo del sonno sono altre conseguenze che portano a incubi e provocano una generale sensazione di insicurezza.
La difficoltà nel distinguere la realtà dalla finzione, nei bambini e negli adolescenti, porterà ad interpretare le situazioni violente nei media come modelli realistici di comportamento e come situazioni possibili nella vita quotidiana; crea una visione distorta della realtà. Ci può essere un effetto negativo sullo sviluppo emotivo e sociale dei ragazzi: sono più impulsivi, non sanno risolvere i conflitti con i coetanei in modo sano. I modelli negativi e vincenti, in cui i giovani spettatori tendono ad identificarsi, li portano a vedere la forza e l’aggressività come qualità desiderabili o come mezzi per ottenere rispetto e potere.
Ai genitori, dunque, il compito di monitorare il tempo che i loro figli trascorrono davanti agli schermi, di esercitare un controllo attivo sui contenuti, di aiutarli a interpretare correttamente le storie che vedono e i messaggi che ricevono. E dulcis in fundo, a loro anche il compito di proporre contenuti educativi e attività costruttive.
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