
Diritti
Il cognome della madre, il nome del padre e il vuoto in mezzo
Io ci sono
C’è un’Italia che si sgretola. Le pensioni sono un rebus. Il lavoro un campo minato. La sicurezza uno slogan. La natalità un eufemismo. La scuola una trincea. La sanità una lotteria. L’Europa un interlocutore stanco. I giovani un corpo estraneo. Ma in questa Italia in apnea, ogni tanto un politico si sveglia e si guarda allo specchio. Non per interrogarsi. Per dire che il proprio io è qui. Vivo e vegeto.
E allora nasce un disegno di legge.
Questa settimana tocca a Dario Franceschini, già ministro di tutto, ora senatore. Decide di proporre una legge per attribuire solo il cognome della madre ai figli. Un risarcimento dice lui. Una forma di riequilibrio. Un gesto che si può anche discutere. Ma che, più che incidere sul reale, segna una presenza. Un io che non vuole scomparire.
Gramellini sul Corriere lo accompagna con il consueto stile ovattato. Nella parte finale dell’articolo dice anche qualcosa di vero. Che il doppio cognome è impraticabile. Che la libertà di scelta è una finzione. Che certe situazioni vanno forzate. E che questa proposta tocca una corda identitaria. Profondissima, dice lui.
Sì, può darsi. Ma il punto è un altro. Il punto è che ogni settimana, da uno scranno parlamentare o da una rubrica, si alza un io che reclama visibilità. Non sempre senso. Non sempre misura. Ma presenza.
E allora, se siamo in vena di identità, lasciatemi proporre la prossima. Una legge per rimuovere la M o la F dal codice fiscale. Perché l’identità non può essere definita da un algoritmo di genere. E se il movimento LGBTQIA+ chiede di essere riconosciuto in modo strutturale, è legittimo aspettarsi che qualcuno lo proponga. Perché in fondo non è così importante se la sanità è in crisi. Se i comuni chiudono le mense. Se l’autonomia energetica è un sogno infranto. Ciò che conta è dire: “Io ci sono”.
E allora vorrei poter dire, anch’io, assieme a Franceschini, che ho fatto qualcosa. Per il gusto dell’identità. E per l’identità del gusto.
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