Mondo
Idrogeno elettorale
In uno degli stati più poveri dell’Africa, il governo punta a rafforzare i legami con le multinazionali europee del nuovo oro del Millennio. E l’opposizione denuncia brogli e irregolarità.
Questo articolo è stato pubblicato nella newsletter di PuntoCritico.info in data 13 Dicembre 2024
Ore in coda, sotto il sole, prima di raggiungere una cabina elettorale. Sperando che al seggio ci siano abbastanza schede perché, come testimoniano video e post diventati virali in rete, in diverse località mancava il necessario per il voto. Così l’opposizione della Namibia, uno tra gli Stati più vasti e più poveri dell’Africa centro meridionale, ha annunciato che non accetterà il risultato elettorale delle scorse settimane. Dalle urne del 27 Novembre infatti è emersa vincitrice la vice presidente uscente Netumbo Nandi-Ndaitwah. Lo Swapo (South West Africa People’s Organisation) ovvero il suo partito di riferimento governa il Paese dal 1970, anno in cui uno Stato sterminato ma tra i più poveri della Regione si è reso indipendente dal Sud Africa. Oggi, questo Stato dove il 70% della popolazione circa vive di turismo, si trova in una situazione tranquilla ma di stallo: il contendente dell’opposizione, Panduleni Itula di Patrioti uniti per il Cambiamento, annuncia un ricorso insieme ad altri candidati; nel mentre sindacati e cittadini fanno pressione sul governo perché tenga fede a una sua promessa fondamentale, quella del salario minimo.
«Le opposizioni e sindacati come il nostro hanno chiesto che il voto venga ripetuto perché troppe persone non hanno potuto esprimere in modo sicuro la propria preferenza» racconta Marcia Kauatjitotje, attivista che denuncia da anni la parzialità dei media. Oggi lavora per la NASWU (Namibia Security Workers Union) cioè la sigla sindacale di riferimento dei lavoratori del settore security (in Italia sarebbero le guardie giurate). La sua organizzazione sta cercando di raggiungere più persone, aprendo un altro ufficio a Swakopmund, il quarto centro abitato della Namibia al confine col deserto del Namib (da cui il Paese trae il nome). «Abbiamo bisogno di entrare in contatto con quei lavoratori sulla costa – spiega lanciando un appello – per fare questo abbiamo bisogno di sostegno, anche internazionale».
Sono loro che proteggono le imprese, anche le multinazionali straniere. E ora insieme agli altri sindacati monitorano quello che per loro è un punto fondamentale della loro lotta: l’introduzione del salario minimo, che il nuovo governo ha promesso di tenere in agenda. «Come sindacato dei lavoratori della sicurezza vogliamo difendere i diritti del nostro settore, che sta affrontando una notevole perdita di posti di lavoro, ma non solo – spiega Mikka Joseph, segretario generale del sindacato – vogliamo rafforzare la legge riguardante gli obblighi nei confronti dei lavoratori, compreso il salario minimo nazionale che chiediamo sia portato da 8 a 15 e poi a 18 dollari namibiani al giorno (circa 90 centesimi di euro, ndr). È un impegno – sottolinea – che stiamo portando avanti in questi giorni con innumerevoli riunioni perché entro Gennaio 2025 vogliamo che queste policies siano implementate». «Ci chiediamo – conclude Joseph – se questo governo è davvero in grado di garantire l’ampliamento di questo diritto. Vogliamo capire se lo terranno a mente dopo le elezioni».
In questo stato si trova un’incredibile biodiversità, comprese diverse specie animali particolarmente apprezzate dagli amanti dei safari esotici. E soprattutto due vaste distese desertiche che ne occupano una vastissima porzione e che attirano gli appassionati di questi ecosistemi da tutto il mondo. Una manna per il turismo. Per il resto, l’economia namibiana arranca: con una disoccupazione al 19,4% è l’ottavo Paese al mondo per inoccupati secondo la Banca Mondiale. Per questo il partito di governo ha trovato, al centro dello scontro con l’opposizione, un tema scottante: il lavoro. Un nodo non solo economico, ma anche ideologico: il Swapo infatti è nato come partito marxista. La stessa Netumbo ha iniziato la sua carriera politica a partire da quegli anni, fino a diventare vice presidente sotto il governo di Nangolo Mbumba. Oggi è la prima donna, a 72 anni, a governare la Namibia e la terza donna premier in Africa. Dopo 34 anni di governo e diversi casi di corruzione, il partito SWAPO ha però visto un progressivo calo di consensi. Ecco perché la nuova presidente ha puntato molto sul lavoro: lo SWAPO ha promesso 250 mila nuovi posti di lavoro, ma come? «Hanno promesso questa riforma, ma sono gli stessi che hanno governato il Paese in questi anni senza considerare la frustrazione economica delle persone. Oggi molti lavoratori namibiani sono sfruttati e sottopagati, a questi elettori hanno detto: “Votate, vi daremo il salario minimo”. Ora se lo vogliono rimangiare – insiste Mikka Joseph-. Abbiamo bisogno di tutele anche per i lavoratori in pensione, con accordi congiunti con le aziende. Ora che la presidente comincerà a viaggiare per incontrare altri leader, abbiamo bisogno che le sia ricordato di questo».
Sete di energia
Tra i temi chiave di SWAPO, le risorse energetiche. Perché la Namibia, con oltre 3 milioni di persone (di cui oltre il 70% sotto i 35 anni) ha fame di energia, che la sua conformazione geografica non aiuta a soddisfare. Gli spostamenti dalla capitale Windhoek alle altre città costiere sono difficili, unire le infrastrutture energetiche è un’impresa ancora più ardua. Per un Paese come la Namibia le risorse rinnovabili come l’energia solare potrebbero essere una soluzione, ma sono ancora troppo costose per una nazione dove il salario medio corrisponde a circa 210 euro al mese. Ad ora, il Paese è in grado di coprire solo un terzo del proprio fabbisogno. I black out e le interruzioni sono all’ordine del giorno, le batterie solari off-grid non bastano per tutto. Però c’è un’altra soluzione, più controversa, che viene chiamata la nuova frontiera delle rinnovabili: l’idrogeno.
E qui l’Europa torna a farsi strada nell’Africa che era stata decolonizzata. Solo l’anno scorso la Namibia ha firmato accordi commerciali e di partnership proprio con alcune multinazionali europee per investimenti miliardari nel settore della decarbonizzazione. Al primo posto la tedesca Hyphen Energy, che l’anno scorso a maggio ha siglato un accordo da 10 miliardi per la produzione del “combustibile del futuro”. Negli ultimi tempi la Namibia sta perseguendo una linea moderatamente anticinese per catalizzare investimenti europei e statunitensi, anche se non chiude del tutto la porta a Pechino. Nello specifico, l’Unione Europea ha già preso accordi sempre col governo namibiano per un investimento da un miliardo di euro che andrà a potenziare, almeno sulla carta, le infrastrutture e gli approvvigionamenti che trasportano terre rare lungo la costa atlantica. Lo stesso investimento dovrebbe interessare anche la produzione di idrogeno verde, come parte di un più ambizioso progetto europeo da oltre 300 miliardi per contrastare la Nuova Via della Seta cinese. Le nuove elezioni negli Stati Uniti, inoltre, potrebbero portare ulteriori novità. Se è vero infatti che Trump ha una linea isolazionista su diverse questioni estere, è anche vero che per alcuni suoi alleati di governo chiave, come Elon Musk, gli interessi nell’area sono rilevanti. In questa zona infatti si trovano alcuni giacimenti di risorse minerarie, tra i più noti quelli del Corridoio di Lobito, dove si è svolta e si svolge tuttora una lotta diplomatica a colpi di investimenti tra cinesi e statunitensi. D’altra parte, è dell’Aprile di quest’anno l’accordo tra la multinazionale americana del petrolio Chevron e Namcor (Namibia’s national oil company) la compagnia nazionale per l’estrazione del greggio.
Nessuna sorpresa
C’è da dire che queste elezioni non hanno colto nessuno di sorpresa. Quasi tutti davano per scontato che vincesse il partito al governo, e in effetti questo si insedierà a Marzo col 57 % delle preferenze, nonostante un’assemblea dove l’opposizione è più forte di prima. Nemmeno l’opposizione vuole fermare lo sviluppo in un Paese così povero, rischiando di perdere consensi tra gli elettori più giovani. E nonostante le proteste sulle irregolarità, non si segnalano scontri violenti come invece è avvenuto in altre elezioni del Continente, come quelle del Mozambico di questo autunno. In più tra i “vicini di casa” ci sono esempi positivi a cui guardare: in Kenya, due anni fa, la transizione è stata tutto sommato in modo indolore, e anche il Botswana ha vissuto un appuntamento elettorale tranquillo il 10 Novembre.
«Troppe irregolarità: dalle schede che mancavano, ai seggi chiusi…non abbiamo mai visto una cosa del genere – protesta Kauatjitotje – quindi non possiamo fare a meno di chiederci: queste irregolarità, perché proprio ora?». La Namibia, un paese di grande disuguaglianza sociale, sarebbe dovuta andare al voto solo il 27, ma di fatto le elezioni sono state prolungate per mille piccoli intoppi che l’opposizione ritiene pregiudicanti per il voto: dalla mancanza di schede elettorali fino al malfunzionamento dei dispositivi per il voto elettronico. A livello politico almeno, è un Paese stabile e tendenzialmente democratico, con una situazione ben diversa rispetto, ad esempio, al governo autoritario dell’Eritrea che non a caso è considerata la “Corea del Nord” dell’Africa. Ma non vuol dire che manchino tensioni tra maggioranza e opposizione. Se è vero che rispetto ad alcuni vicini sul tema dei diritti civili la Namibia è più avanzata, è anche vero che in uno Stato così povero è difficile capire dove finisce la linea sfumata tra sottosviluppo e violazione dei diritti umani. Proprio quest’anno lo SWAPO ha perso la storica maggioranza che da anni aveva nel Congresso namibiano. Non stanno messi meglio il Partito del Congresso Sud Africano e quello Democratico del Botswana, entrambi notevolmente ridimensionati. Gli storici attori politici della decolonizzazione sembrano arretrare, mentre gli interessi occidentali avanzano. Resta da capire che direzione deciderà di prendere la prima donna al governo della Namibia.
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