
Partiti e politici
Chieti Calcio, la rivoluzione queer che non lo era
Prima di finire nell’occhio del ciclone per l’operazione Visibilia, il patron del Chieti Calcio Altair D’Arcangelo ha rivoluzionato la maglia coi colori arcobaleno e messaggi di rispetto e inclusione. Forse il primo caso al mondo. Era tutto fumo arcobaleno negli occhi?
Quella del Chieti Calcio F.C. 1922 (dall’anno di nascita della squadra) poteva essere una storia sportiva da sogno, una storia simile a quella della serie TV-capolavoro Ted Lasso, pluripremiata ai Golden Globe per tutti gli anni in cui è andata in onda. Nella serie, un outsider assoluto porta la sua umanità all’interno di una squadra di calcio britannica, piegata dai problemi, e la rivoluziona trasformandola in un paradiso di felicità e vittorie.
Nella realtà, avrebbe potuto essere la storia di una squadra di serie D, di una città della provincia alto-meridionale d’Italia, amatissima dai suoi tifosi, messa in ginocchio da debiti e fallimenti, che stava per gettare la spugna. E che un colpo di scena da sceneggiatori salvava, risollevava e portava verso una rivoluzione dei valori e dei rapporti umani, all’insegna dell’inclusività e del rispetto verso le diversità. Avrebbe potuto essere una bella storia, quasi natalizia, quasi a lieto fine. E invece no. Non è questa la storia che racconteremo.
Quella che racconteremo intreccia e si sovrappone a una notizia che ha fatto scalpore nelle ultime settimane, svelata dalla trasmissione di Rai 3 Report (nel servizio Il Santo Patron di Giorgio Mottola), e approfondita e ampliata, in seguito, da altri quotidiani, locali e nazionali: la storia di WiP Finance, il fondo svizzero che attraverso il suo business developer Altair D’Arcangelo, originario di Chieti (per la precisione Brecciarola, una contrada molto prossima alla zona in cui sorge lo stadio di calcio cittadino) ha acquisito qualche mese fa, come svelato da Report, l’85% della società Visibilia di Daniela Santanché, sommersa dai debiti. E che, poche settimane prima, aveva – avrebbe – acquisito la società di calcio Chieti F.C., a sua volta pesantemente indebitata, tanto che fino al luglio 2024, quando per interessamento di alcuni imprenditori furono trovati i soldi per perfezionare l’iscrizione al campionato già in corso, non c’era certezza sulla possibilità di partecipare. Nel mese di ottobre 2024, infine, si è concluso l’accordo con il nuovo “patron”: il già citato D’Arcangelo, che già si era distinto, nelle settimane precedenti, per aver manifestato una serie di interessi a finanziare realtà sportive del luogo – la Chieti Basket in primo luogo, altra squadra, dagli antichi fasti, in grande difficoltà economica e che solo per il rotto della cuffia ha evitato il fallimento qualche giorno fa – ma anche a portare aiuto economico alla città in modo quasi filantropico, contribuendo al restauro di una chiesa nella già citata contrada di Brecciarola, e proponendosi per varie attività di intervento sui beni pubblici. Molte di queste idee si erano rivelate poi inconcludenti o impraticabili, per ragioni burocratiche. Ma l’arrivo di un imprenditore desideroso di contribuire al benessere economico della città, in un comune che soffre una situazione di dissesto finanziario fra le più gravi e serie d’Italia, era stata vista da molti, sia nelle istituzioni, sia fra nella cittadinanza, come un balsamo rigenerante.
Una nuova maglia
Con D’Arcangelo, però, e con le società alle sue spalle – WiP Finance (che in una serie di comunicati ha di recente preso le distanze dal suo procacciatore d’affari) e Virgo Holding, società che gestisce la Virgo Cosmetics, giovane realtà imprenditoriale nel mondo della cosmesi – cofondata e codiretta da D’Arcangelo insieme al suo compagno Lorenzo Marchetti, ma il ruolo ufficiale di D’Arcangelo nella holding non è chiaro – non è arrivato soltanto un cambio di proprietà per il Chieti, né soltanto una serie di iniziative imprenditoriali. È arrivata anche una ventata di inclusività per tutto ciò che riguarda i temi LGBTQ. D’Arcangelo ha, infatti, imposto una serie di cambiamenti all’immagine della società e alle sue politiche comunicative, che hanno rappresentato una piccola – non così piccola, in effetti – rivoluzione all’interno di una realtà cittadina tradizionalmente conservatrice, con simpatie fasciste esplicite da parte di una serie di realtà che compongono il quadro sociale, oltre che un settore della stessa curva dei tifosi del Chieti F.C..
Nel 1993, quando Giorgia Meloni andava ancora a scuola, Chieti fu la prima città italiana, una delle pochissime in tutto lo stivale, ad eleggere, per ben tre mandati successivi, un sindaco del Movimento Sociale Italiano: Nicola Cucullo, fascista mai pentito e mai dubbioso, che emerse come “moralizzatore civico” dopo che l’amministrazione democristiana degli anni precedenti era stata spazzata via da Tangentopoli, che a Chieti aveva avuto le sue significative propaggini. Sebbene nel corso degli anni successivi si siano equamente avvicendate amministrazioni di centrosinistra con altre più spiccatamente di destra, e tuttora il sindaco sia l’espressione di un’alleanza molto ampia fra centro e sinistra, a Chieti essere fascisti è sempre stato normale: l’espressione appena un po’ più estremista di un conservatorismo diffuso, di idee e valori, che è sempre andato per la maggiore.
In un contesto simile, dall’oggi al domani, i giocatori sono scesi in campo e non indossavano più la tradizionale maglia neroverde della squadra, colori a cui i tifosi – come quelli di ogni squadra – sono visceralmente attaccati, ma una maglia neroverde arricchita di una ampia e preponderante striscia arcobaleno, con tutti i colori della bandiera LGBT. Nella seconda maglia, su sfondo bianco, i colori neroverdi sono di fatto quasi scomparsi. Troneggia la bandiera arcobaleno. Lo stadio è stato tappezzato di grandi cartelloni negli stessi colori, con la scritta #Respect. La squadra, per volere del patron, non si è dotata di sponsor: al posto dello sponsor, sulla maglia è comparsa di nuovo la dicitura #Respect nei colori LGBTQ. Il cambiamento è avvenuto presentandolo ai tifosi come un fatto compiuto, sui social media, senza chiedere permesso. In un battibaleno, il Chieti F.C. si trasformava nella prima squadra di calcio al mondo a fare bandiera della rivoluzione queer.
Una ventata di novità
Com’è potuto succedere? E com’è potuto succedere proprio in una città come Chieti? Come ha fatto una tifoseria cittadina tanto conservatrice ad accettare, senza alzate di scudi né barricate, senza veti, una simile apertura, d’imperio per di più, a valori solitamente rifiutati? “Chieti è stata l’unica città d’Abruzzo dove durante lo svolgimento dei Pride, in questi anni, abbiamo ricevuto alcune contestazioni e aggressioni”, racconta a Gli Stati Generali Manuela Jonathan, del coordinamento Abruzzo Pride, una realtà che ha unito le forze fra più associazioni abruzzesi per organizzare il Pride, ogni anno in una città diversa della regione. “Tutto l’Abruzzo è caratterizzato da tendenze conservatrici, ma soltanto a Chieti ci sono state – seppur in clima complessivamente di festa – aggressioni ad alcune manifestanti di ritorno da casa, e persone che hanno sputato dai balconi contro la sfilata”. Anche il vescovo in persona aveva contestato, a suo tempo, l’opportunità che la manifestazione si tenesse nella città. Ma nessuno ha eretto simili barricate quando una delle più significative rappresentazioni identitarie locali, la maglia della squadra, ha assunto una inconfondibile fisionomia queer. Pecunia non olet? È solo questa la ragione?
“La società del Chieti F.C. l’estate scorsa era prossima all’ennesimo fallimento. Durante i mesi estivi erano subentrati una serie di imprenditori che avevano contribuito a far sì che la squadra si potesse iscrivere al campionato. Quando Virgo Cosmetics e Altair D’Arcangelo si sono fatti avanti, non è stato soltanto per metterci dei soldi. Hanno portato una ventata d’aria fresca in termini di progettualità e di volontà di investire nel territorio collaborando anche con la politica e con i vari attori cittadini”, spiega a Gli Stati Generali Stefano Marchionno, presidente del Comitato di tifosi “Oltre il centenario”, che si impegna per creare un clima di appartenenza e identità in una città “tradizionalmente poco reattiva da questo punto di vista”. Il fatto che si trattasse di un imprenditore – anche se tecnicamente imprenditore non è, o non sembra essere – del posto, che voleva tornare per avere un ruolo nella vita della sua città d’origine, è parso a maggior ragione interessante: un fatto nuovo. Altair D’Arcangelo, 50 anni, aveva mosso i primi passi lavorativi e politici in città, ma poi, come tanti, se n’era andato al nord, in Svizzera. E, come tanti, era destinato a non tornare più. L’Abruzzo è una regione dalla solida vocazione migratoria: in base ai registri dell’AIRE, che comprendono solo chi ha conservato la cittadinanza italiana o l’ha riacquistata di recente, esiste una “Chieti estera” ben più numerosa della “Chieti in patria”, oltre 77mila teatini nel mondo prima della pandemia a fronte di 48mila i residenti. Senza contare i tantissimi che sono emigrati in altre zone d’Italia.
Il patron
La storia di D’Arcangelo è dunque la storia di un espatriato che è tornato, ancora relativamente giovane, per partecipare alla vita locale portando con sé in valigia capitali e idee. Anche questo ha contribuito all’entusiasmo generale. I malumori per l’improvviso cambiamento d’immagine sono così passati in secondo piano, ma prima, racconta Marchionno, è stato necessario un lavoro di tessitura e cucitura all’interno della curva. “Alcuni hanno storto il naso paventando l’attaccamento ai colori della squadra, e la verità è che non è un argomento privo di senso, al contrario. Noi siamo consapevoli che nella storia delle squadre i dirigenti passano, ma i tifosi restano. Perciò molti, comprensibilmente, avrebbero gradito maggiore coinvolgimento nel momento in cui si andavano a intaccare i colori e l’immagine. Alcuni di questi, probabilmente, non hanno gradito e non condividono il messaggio politico-culturale dietro questo cambiamento. Questo tipo di malumori c’è, e sarebbe sbagliato negarlo. Ma, a questo proposito, non bisogna confondere il clima conservatore di una città come la nostra e come tante altre, con la diffusione di massa delle ideologie più retrive. Sono due cose diverse: nei momenti che contano, Chieti si è sempre dimostrata molto più aperta e accogliente di come non appaia nella quotidianità”.
I cambiamenti portati dal “patron D’Arcangelo” non sono stati soltanto d’immagine. La nuova dirigenza ha infatti consentito a donne e bambini l’ingresso al prezzo simbolico di 1 euro. Un’altra novità che, specialmente nelle prime settimane, prima che cominciasse il fred
do, ha riempito lo stadio – la capienza massima è di circa 4000 persone – e trasformato il rituale della partita in un evento cittadino popolare, con numerosi personaggi dello spettacolo – dalla soubrette Valeria Marini ad Albano – chiamati a esibirsi prima del match. “È stato affascinante vedere lo stadio, con il suo pubblico tradizionalmente maschile, cambiare composizione umana, coinvolgendo anche bambini e bambine”, racconta a Gli Stati Generali un tifoso. “Penso che in tanti in città l’abbiano preso come il segnale di un vento nuovo”.
Poi però è arrivato il servizio di Report, che ha insinuato dubbi non soltanto sul personaggio di D’Arcangelo facendo emergere i suoi guai con la legge – alcuni dei quali risalenti a quasi 30 anni fa e a vicende del tutto slegate dal presente –, ma ha prodotto numerosi interrogativi sulla solidità dell’operazione di acquisizione della squadra del Chieti F.C., oltre che di tutta una serie di altre iniziative paventate, di cui si parla nel servizio, come la presentazione del progetto TETI – Training, Education, Team Integration –, un’ipotesi di centro sportivo polifunzionale “che avrebbe dovuto risolvere uno dei più grandi problemi della città, ovvero la carenza di strutture sportive in uso da parte della popolazione, sia essa giovanile o femminile”, spiega Marchionno. La leggenda racconta che a Teti, madre di Achille, sarebbe stata intitolata la leggenda l’antica Teate che oggi è Chieti, fondata dal guerriero greco in persona. Già dal nome del progetto si evince dunque la forte carica simbolica di cui si ammantava. Presentato in pompa magna alla Sala stampa della Camera dei deputati il 30 ottobre scorso, alla presenza del sindaco di Chieti Diego Ferrara, di rappresentanze dell’Università di Chieti, dello stesso Altair D’Arcangelo, di due deputati di Fratelli d’Italia e di Massimo Zan – fratello dell’eurodeputato del Partito democratico Alessandro Zan –, presentato come dirigente del Chieti F.C.. Il progetto avrebbe dovuto, secondo le parole del patron riportate dal quotidiano Il Riformista, rappresentare “una forza trainante per la città, con strutture accessibili a tutti, eventi nazionali e internazionali, e spazi che diventeranno punto di incontro per tutta la comunità. Il Chieti e l’Università D’Annunzio hanno iniziato un percorso solido e concreto, che darà al Chieti infrastrutture moderne e opportunità reali. Sarà anche supporto del territorio, perché tutto questo scaturirà un certo indotto economico e posti di lavoro”.
Fuggi fuggi
In seguito al servizio di Report e alle ombre che ha gettato su WiP Finance e sullo stesso D’Arcangelo, da TETI è stato un fuggi fuggi generale: sia l’Università, sia il sindaco di Chieti si sono sfilati, dichiarando che nulla di concreto è mai stato davvero profilato e che, parole del sindaco Ferrara, “I percorsi degli imprenditori non devono mai intrecciarsi con quelli della politica; l’impegno e la sussidiarietà del privato nei confronti dell’amministrazione pubblica possono concretizzarsi solo attraverso adempimenti burocratici trasparenti”. Allora perché andare fino a Roma, a presentare alla Camera dei deputati un progetto che di concreto, a quanto sembra, non aveva niente? Come ha ricordato Report, il progetto è stato persino salutato con favore dal Ministro per lo Sport e i Giovani, Andrea Abodi, che, come riportato su alcuni media, ha detto: “Il Progetto TETI non è solo una proposta innovativa; è un esempio luminoso di come le collaborazioni tra settore pubblico e privato possano generare iniziative significative che apportano benefici alle comunità locali”.
Nel caso di Chieti, tale collaborazione si era spinta fino al punto che è nato un intero gruppo consiliare – composto di cinque profili fra i più vari dal punto di vista delle provenienze politiche – nominato TETI. Gli intrecci fra imprenditoria privata e amministrazione pubblica si sono così ulteriormente stretti, mettendo sul chi va là molti, a cominciare dallo stesso sindaco, il quale nei mesi si è addirittura beccato le reprimende del Presidente della squadra di calcio, Gianni Di Labio, perché non avrebbe sveltito a dovere le procedure burocratiche tali da permettere alla nuova proprietà di finanziare un po’ di tutto: dalle mense scolastiche al rifacimento dei manti stradali, a discrezione del privato stesso, ovviamente. Oltre a questo, ci sono i rapporti di collaborazione annunciati – presentati alla stampa come “in fase di realizzazione” – fra Virgo Cosmetics e l’Università di Chieti per la ricerca e sviluppo sui prodotti del marchio. E ancora, l’interesse di Virgo Cosmetics per la gestione delle vicine Terme di Caramanico, in disuso da anni. Il 5 febbraio scorso, l’azienda è stata ufficialmente esclusa dalla gara. “Quando in Consiglio Comunale si costituisce un gruppo intitolato a un’iniziativa imprenditoriale privata, quando un dichiarato detentore di capitale mette in campo, in pochi mesi, una serie di iniziative e di annunci di iniziative per la città che lo rendono quasi, di fatto, un sindaco-ombra che si sovrappone alle istituzioni e detta loro legge, invece di mettersi a disposizione delle stesse, è il segno che la cosa pubblica e il bene comune vengono visti e teorizzati come subordinati al potere privato, e che il lavoro della politica viene visto – da molti politici, anche – come il compito del passacarte e un volano per agevolare affari in cambio di potere”, ha dichiarato agli Stati Generali Riccardo Di Gregorio, presidente dell’associazione “Chieti bene comune”. È un paradigma. E lo vediamo agire al macrolivello dell’amministrazione statunitense, così come al microlivello dei nostri comuni.
Per aggiungere complicazioni alle complicazioni, i conti del Chieti F.C. sono al momento in mano alla Guardia di Finanza, dopo che WiP Finance ha dichiarato, qualche giorno fa, di non finanziare la squadra, e che non avrebbe mai versato le quote dichiarate a Report dallo stesso presidente Di Labio.
Mentre nei gruppi cittadini sui social, in tanti continuano a difendere il patron, in città l’atmosfera è velocemente passata dall’entusiasmo, allo scoraggiamento, all’imbarazzo. Diverse persone interpellate da Gli Stati Generali non hanno voluto esprimere pubblicamente le loro opinioni. Nel frattempo la squadra, pur esprimendo un buon calcio, è ancora ben lontana dai risultati sperati, seppure comunque in corsa per i play-off.
“Laddove lo sport unisce, la politica divide sempre”, ammonisce Stefano Marchionno, “ed è per questo, oltre che per le vicende raccontate dai media, che ora si corre il rischio di tornare ad una situazione di ripiegamento che non fa bene a nessuno”. Ma perché mai una persona che ha lasciato la sua città, che decide di tornare e addirittura di proporsi come iniziatore di un cambiamento culturale nel suo luogo di nascita – anche per desiderio di riscatto del proprio vissuto non facile, quando da giovane queer era lui stesso un abitante discriminato –, dovrebbe agire in modo tanto spregiudicato da predisporsi a deludere tutti proprio nel luogo dove vive la sua famiglia, dove ci sono tanti suoi affetti? Lo abbiamo chiesto a D’Arcangelo direttamente, ma dopo una prima disponibilità iniziale, non ha più voluto rispondere alle domande de Gli Stati Generali. Si è limitato a dirsi molto deluso da come i media avevano trattato alcune sue vicende personali del tutto slegate dall’affaire Visibilia che era oggetto del servizio di Report. “Esiste il diritto all’oblio”, ha commentato con Gli Stati Generali. Anche se il diritto all’oblio non si può reclamare fin tanto che esiste un interesse pubblico alle notizie, una cosa è vera riguardo al servizio di Report andato in onda lo scorso 26 gennaio: diffondere la notizia di una condanna per spaccio vecchia di quasi 30 anni ha più a che fare con la mira al personaggio che non al contesto degli affari che lo vedono coinvolto al momento.
L’asse Padova-Chieti e i fratelli Zan
Fra questi, ce n’è uno in particolare che nel servizio di Report non è stato trattato – ne ha parlato invece Nicola Borzi per Il Fatto Quotidiano –, e che riguarda, ancora una volta, la città di Chieti: fra i tanti progetti annunciati per il capoluogo abruzzese da D’Arcangelo, il più interessante e per molti versi il più scandaloso è quello, annunciato a settembre scorso a Padova da Alessandro Zan in persona insieme al sindaco teatino Diego Ferrara, di una prossima apertura del Pride Village Virgo in città. Pride Village Virgo, come ha ricostruito Borzi, è frutto di un diretto coinvolgimento in affari fra Altair D’Arcangelo e la società Be Proud Srl, di cui ha fatto parte fino a pochi mesi in qualità di amministratore unico Alessandro Zan, e di cui fa tuttora parte Massimo Zan. L’asse Chieti-Padova attorno alla Virgo Cosmetics si esprime dunque su più piani. D’altro canto, la stessa costituzione della nuova società sportiva, attraverso la cessione dell’85% delle quote del precedente proprietario (Ettore Serra, che ha conservato il 15%), è avvenuta presso un notaio di Padova.
Che ne è, ora, del progetto Pride Village? “Quel progetto si è arrestato, direi, dalla nascita. Come amministrazione non ne abbiamo saputo più nulla”, ha dichiarato il sindaco di Chieti a Gli Stati Generali. “A Padova, dove siamo stati invitati a partecipare come città ospite, abbiamo semplicemente raccontato quello che avevamo fatto a Chieti e non chiuso le porte a un progetto sull’inclusività, progetto di cui, però, si è parlato solo in quel frangente, non è mai nato concretamente.” Dal palco di Padova, Alessandro Zan aveva detto: “A Chieti vogliono replicare il Pride Village, cioè vogliono dire, in tutta Italia, anche nelle città più piccole, che un Pride Village è un luogo di libertà, un luogo di rispetto e di educazione al rispetto”, ringraziando poi direttamente Altair D’Arcangelo e Lorenzo Marchetti di Virgo Cosmetics per essere molto più che degli sponsor. Sullo stesso palco, con Ferrara in qualità di sindaco di Chieti, e Alessandro Zan in qualità di sé stesso, c’era anche Gianni Di Labio: a che titolo? All’epoca non era ancora presidente del Chieti Calcio, dunque non è chiaro perché e in veste di cosa fosse lì. Alle ultime elezioni comunali, Di Labio si era candidato con la lista del Popolo della Famiglia. Un candidato del Popolo della Famiglia che sale – e viene lasciato salire – con totale nonchalance sul palco di un Pride?
Alessandro Zan non ha risposto alla richiesta di intervista de Gli Stati Generali, e non c’è stato dunque modo di capire meglio, parlando con lui, perché – e se – l’ipotesi del Pride Village a Chieti è ormai naufragata. Anche a D’Arcangelo abbiamo posto la stessa domanda senza ricevere risposta. Certamente, come ha confermato Manuela Jonathan del coordinamento Abruzzo Pride, le realtà impegnate nel contrasto all’omofobia sul territorio non sono mai state consultate, pensando all’idea di metterlo in piedi. “Si tratta di una manifestazione commerciale, un franchising; la nostra idea di militanza è ben distante da queste commistioni, e non avremmo certamente accettato di avere alcun tipo di ruolo in questa iniziativa, ruolo che, comunque, non ci è mai stato proposto”. E il fondatore del circolo Arcigay Chieti Claudio Minetti Sylvia Rivera ricorda che “prima del Pride Village, sarebbe bello che il sindaco ci fornisse la sede dell’associazione che ci era stata promessa, e a tutt’oggi non è stata concessa”. Arcigay Chieti al momento non è in attività: i direttivi precedenti non sono riusciti a garantire un ricambio di energie. Nonostante le tante iniziative svolte e i cambiamenti impressi, la realtà locale è tuttora segnata da una forte omofobia. L’Abruzzo è la regione italiana con il più alto tasso di vittime di omofobia in rapporto alla popolazione regionale, secondo le mappature più recenti. Anche per questo trasformare la maglia di una squadra di calci o – uno degli sport con le maggiori resistenze all’apertura verso l’inclusività – in un messaggio rivolto al rispetto “rimane, al di là delle intenzioni, una scelta d’impatto e di coraggio”, secondo Manuela Jonathan.
Il prezzo di una bolla
Eppure, gli interrogativi non possono non assommarsi. La svolta queer del Chieti calcio sotto il patron D’Arcangelo voleva essere propedeutica a una serie di iniziative imprenditoriali e ai loro relativi fatturati? Anche il Pride Village Virgo, sotto il sigillo del nuovo patron del Chieti, sarebbe stato accolto dalla città tenendo a bada i malumori reazionari? L’acquisizione della squadra di calcio serviva ad ammorbidire il territorio e prepararlo a questa nuova iniziativa? E se tutto dovesse andare male e anche l’operazione del Chieti F.C. si dovesse rivelare una bolla di sapone, chi ne farà le spese, oltre ai tifosi e alla città? Non c’è il rischio che anche lo stesso messaggio inclusivo ne esca fortemente danneggiato? “Per me tutto questo non è marketing”, ha commentato D’Arcangelo a Gli Stati Generali nell’unico breve scambio che abbiamo potuto avere. Senza addentrarci nel merito di tutte le possibili irregolarità finanziarie delle operazioni di cui si parla, ciò che colpisce è la facilità con cui, in una realtà evidentemente così bisognosa di innovazione, tanto culturale quanto politica, oltre che di gettito economico – una delle ragioni del dissesto finanziario della città è che per molti anni le imposte cittadine non sono state raccolte a dovere dalla società a partecipazione comunale incaricata –, si possa avanzare e far accettare l’idea di un cambiamento dall’alto, per la via dell’imprenditoria, quando è invece così complicato realizzarlo dal basso, per la via della partecipazione democratica. E quanto sia difficile, di contro, gestire tali cambiamenti senza intrufolarsi nelle zone grigie e più che grigie dei rapporti torbidi, a livello locale e nazionale, fra politica e affari; fra soldi e valori umani; fra color-washing d’impresa e cultura. Ted Lasso, d’altra parte, è solo una serie TV.
L’Abruzzo è una grande ed immortale poesia da sempre scritta dagli dei, ma poco letta dagli umani. In particolare Chieti,la Città dei Semidei (Heracle ed Achille in onore della madre Tetide), definita dal d’Annunzio come l’ardua città che contempla la montagna incrollabile e riceve il soffio mutevole del mare. Purtroppo, la rinascita di questa trimillenaria Città potrebbe passare soltanto dalla squadra di Calcio in serie cadetta e susseguente modo d’esser cmq ad esser individuata (troppi non sanno nemmeno esattamente l’ubicazione geografica (eppoi, si dice che la Bellezza salverà il mondo! Ergo, sperasi che l’attuale bella Società che ha formato tanti campioni, prosegua il suo iter sportivo. comunque!
Luciano Di Camillo