Omer Bartov, esperto di genocidi e docente alla Brown University, in un’interessante intervista rilasciata a Lucia Capuzzi di Avvenire, riflette sulle implicazioni delle azioni di Israele a Gaza dopo l’invasione di Rafah. Per il professore, “abbiamo la possibilità di fermare prima che la situazione peggiori ulteriormente, ma il tempo stringe”. Richiamando la storia, Bartov nota come la distruzione sistematica di infrastrutture civili e le restrizioni ai beni di prima necessità stiano portando Gaza verso l’inabitabilità.
Secondo Bartov, le politiche israeliane vanno oltre l’intenzione dichiarata di colpire Hamas: “Le azioni di Israele sembrano parte di un piano più ampio di occupazione, con lo ‘svuotamento’ della popolazione civile”, cioè “la prova più palese di intenzioni genocidiarie” secondo i principi della Convenzione ONU del 1948, sottolineando che “impedire l’accesso al cibo e alla sanità non si limita a distruggere un gruppo etnico, ma viola i diritti fondamentali di sopravvivenza”.
Bartov accoglie positivamente la decisione della Corte Penale Internazionale di procedere con le indagini su possibili crimini di guerra a Gaza, definendola “essenziale per garantire giustizia e responsabilità”. Sottolinea come sia importante che la comunità internazionale supporti tali azioni per contrastare l’impunità. “Credo che aspettare ulteriormente significhi accettare che i crimini si ripetano”, afferma.
Commentando le dichiarazioni di Benjamin Netanyahu, Bartov si oppone all’idea di una prosecuzione della guerra: “La narrativa che paragona Hamas ai nazisti non è supportata da fatti storici, ma serve a giustificare crimini contro i civili”. Invita infine la comunità internazionale, soprattutto gli Stati Uniti, a fare pressione su Israele per interrompere le forniture di armi: “Senza negoziati, la tragedia continuerà per settimane”.
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