Storia

Arnaud Orain e il capitalismo della finitudine tra predazione e modelli emergenti

6 Febbraio 2025

E se le strategie aggressive di Donald Trump, della Cina di Xi Jinping e la crescente attenzione alle problematiche ecologiche derivassero dalla stessa consapevolezza, ovvero che il mondo è un sistema chiuso e non può essere sfruttato indefinitamente? Questa è l’idea centrale dell’economista e storico Arnaud Orain autore di Le Monde confisqué. Essai sur le capitalisme de la finitude (XVIe-XXIe siècle) (Flammarion, 2025), in cui analizza il percorso storico di un capitalismo fondato sulla scarsità delle risorse e sulla conseguente lotta per il loro controllo. Il lavoro di Arnaud Orain, directeur d’études presso l’EHESS, ricercatore del Centre Simiand, indaga le forme di conoscenza economica prevalenti prima dell’emergere dell’economia scientifica nel XVIII secolo. Continuando a muoversi in tale prospettiva, nel libro appena pubblicato, ha esplorato un cambio di paradigma consistente nel passaggio dalla crescita illimitata alla consapevolezza dei limiti. L’autore definisce come “capitalismo della finitudine” l’atteggiamento degli attori economici principali, sia privati che pubblici, di fronte alla consapevolezza della limitatezza delle risorse mondiali. Mentre il capitalismo concorrenziale si basa sulla capacità degli esseri umani di creare beni e arricchirsi attraverso il loro scambio, il capitalismo della finitudine si concentra sulla rivalità insormontabile per il controllo delle risorse naturali: oceani, spazi commerciali e fonti di risorse ittiche e minerarie, terre da coltivare ma anche ricche di risorse minerarie e lavoro umano. Questo modello si traduce nell’appropriazione—principalmente attraverso la forza e successivamente legittimata dal diritto—di queste risorse da parte di attori sufficientemente potenti per farlo, siano essi grandi aziende o Stati, spesso in stretta collaborazione. Il cuore del libro propone una cronologia che dimostra come, negli ultimi dieci anni, il mondo sia entrato in una nuova era dominata da questa forma di capitalismo. L’autore individua due fasi precedenti: una prima nell’epoca moderna (XVII-XVIII secolo) e una seconda tra il 1880 e il 1945. Ma cosa è cambiato oggi? Come sostiene in una intervista recente, «l’aumento del livello di vita per tutti non sembra più seriamente concepibile». L’idea tradizionale di un capitalismo fondato su una crescita senza confini e su un’espansione continua dei mercati è messa in discussione dalle attuali dinamiche ambientali e geopolitiche. Orain contrappone alla classica divisione tra libero mercato e intervento statale una visione alternativa: da un lato, il mondo è visto come un sistema aperto che promette prosperità illimitata per Stati, aziende e individui; dall’altro, emerge una concezione opposta, in cui le risorse planetarie sono limitate e il progresso generalizzato appare irrealizzabile. Se il mondo è paragonabile a una torta di dimensioni fisse, ogni nuova acquisizione implica inevitabilmente una perdita per qualcun altro. Questa logica spiega la crescente competizione per accaparrarsi risorse strategiche, infrastrutture, rotte commerciali e persino spazi digitali. Questa nuova realtà è evidente nelle politiche economiche e geopolitiche globali: il controllo della terra si intensifica, le rotte marittime vengono sempre più militarizzate e le risorse naturali sono accentrate nelle mani di grandi multinazionali e Stati potenti. Questo fenomeno mette in crisi il concetto tradizionale di libero mercato, promuovendo invece un modello dominato dalla concentrazione del potere economico in pochi soggetti.

 

La Compagnia delle Indie

Orain, riprendendo la teoria dei cicli già sviluppata da Giovanni Arrighi e da Immanuel Wallerstein, sostiene che il capitalismo della finitudine non è un fenomeno recente, ma si ripresenta ciclicamente. Nel XVI e XVII secolo, ad esempio, la corsa all’espansione era caratterizzata da una lotta accesa tra potenze europee come Francia, Spagna, Olanda e Inghilterra per il controllo di colonie e mercati. Questa fase si concluse con l’affermazione delle teorie economiche liberali di Adam Smith e David Ricardo e con la fine delle guerre napoleoniche, che portarono alla pax britannica e all’espansione del commercio globale. Tuttavia, la fine del XIX secolo segnò una nuova fase di accaparramento, culminata nella competizione imperialistica e nei conflitti mondiali. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la pax americana ristabilì un sistema economico basato sul libero scambio, culminato nel neoliberismo degli anni Novanta. Con il XXI secolo la globalizzazione si è scontrata con la realtà della limitatezza delle risorse e il declino industriale dell’Occidente, inaugurando una nuova era di competizione per il controllo economico.

Il capitalismo della finitudine trova il suo principale ostacolo nella crisi ecologica. Già alla fine del XIX secolo, si temeva che la crescita demografica potesse portare a una crisi alimentare globale. Oggi, il problema si è ampliato: il modello di consumo occidentale, basato sull’uso intensivo di proteine animali, risorse fossili e minerali, si scontra con la scarsità di materie prime. Le rivolte per il cibo del 2008 e la pandemia di Covid-19 hanno reso ancora più evidente questa fragilità. Uno degli esempi più chiari è il fenomeno dell’accaparramento delle terre. In passato, il sistema neoliberale permetteva che i prodotti agricoli fossero scambiati sui mercati internazionali sotto la supervisione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Oggi, invece, assistiamo a una crescente tendenza delle grandi aziende a controllare direttamente le risorse: imprese cinesi, degli emirati e americane, stanno acquistando o affittando terre nei paesi in via di sviluppo, bypassando i meccanismi di mercato per gestire autonomamente produzione e distribuzione. Lo stesso fenomeno si sta verificando per le risorse marine e minerarie, in particolare in Africa. Una delle conseguenze più significative di questa nuova fase è la rinascita delle compagnie di Stato, ovvero entità che uniscono funzioni commerciali e sovrane. Queste organizzazioni non si limitano a operare nei mercati, ma possiedono infrastrutture strategiche, satelliti propri e un’influenza politica comparabile a quella degli Stati. Mark Zuckerberg ha affermato che Facebook (ora Meta) funziona più come un governo che come una semplice azienda, mentre Elon Musk ha esitato a permettere ai militari americani di usare i suoi satelliti a Taiwan per non compromettere i rapporti con la Cina. Questa situazione ricorda le storiche Compagnie delle Indie, che nel XVIII secolo esercitavano poteri legislativi, giudiziari e militari. Oggi, Stati e aziende si muovono in modo simile attraverso nuove forme di colonizzazione semi-formale: la Russia tenta di controllare lo Spitzberg, la Cina costruisce infrastrutture portuali strategiche in Pakistan, mentre gli Stati Uniti cercano di riaffermare il proprio dominio sulle rotte commerciali globali.

Donald Trump ha colto queste dinamiche meglio di molti altri leader. La sua politica protezionistica e il tentativo di acquisire territori come la Groenlandia non sono eventi isolati, ma riflettono una visione del mondo basata sulla necessità di assicurarsi risorse limitate prima di altri. Tuttavia, Orain evidenzia che questa trasformazione non dipende solo da Trump: anche le amministrazioni democratiche hanno adottato politiche simili. Lo dimostrano le scelte commerciali di Biden e le dichiarazioni della sua rappresentante al commercio Katherine Tai, che ha mostrato convergenze con le posizioni di Robert Lighthizer, consigliere economico di Trump.

L’Unione Europea è l’ultima grande istituzione a difendere il modello neoliberale basato sulla concorrenza e sulla lotta ai monopoli. Tuttavia, la recente proposta di Ursula von der Leyen per rafforzare la competitività europea segna un cambiamento: la politica della concorrenza è stata temporaneamente sospesa e si sta valutando una deregolamentazione delle normative ambientali per favorire lo sfruttamento delle risorse minerarie. Questo suggerisce che anche l’Europa sta entrando in una fase di finitudine, cercando di garantire il controllo sulle ultime risorse disponibili prima che

Il passaggio dal neoliberismo alla finitudine potrebbe avere profonde conseguenze sociali. Se le grandi potenze continueranno a perseguire strategie di protezionismo e accaparramento, l’Europa rischia di perdere la propria sovranità industriale. L’economia tedesca sta già affrontando gravi difficoltà, e le popolazioni europee potrebbero dover accettare un futuro in cui la protezione dello Stato sociale non sarà più garantita. Orain suggerisce che stiamo tornando a un’epoca simile a quella precedente alla formazione delle grandi monarchie nazionali, caratterizzata da frammentazione della sovranità e competizione tra Stati e attori privati. Questo scenario ricorda le distopie cyberpunk, dove il potere è diviso tra Stati, multinazionali e compagnie con capacità quasi sovrane.

Il capitalismo della finitudine sta accelerando, segnando una nuova era di competizione per il controllo delle risorse. Il sogno di una crescita illimitata appare ormai superato. La domanda che resta aperta è: quali saranno le ripercussioni di questo nuovo ordine globale sulla vita quotidiana delle persone?

 

 

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