Ambiente

Agrivoltaico e obiettivi nazionali: il paradosso dell’abbondanza

L’Italia ha milioni di ettari di terra incolta, ma esita ancora davanti a una soluzione che unisce agricoltura ed energia. L’agrivoltaico non è una minaccia, è il futuro

19 Marzo 2025

L’Italia è fatta di contraddizioni, di ricchezze inespresse, di possibilità che aspettano solo uno sguardo diverso per essere colte. Da un lato, la necessità di una transizione energetica urgente, il bisogno di produrre energia pulita, sostenibile, sganciata dalle vecchie logiche di sfruttamento. Dall’altro, 3,7 milioni di ettari di terreni agricoli abbandonati, campi lasciati a sé stessi, luoghi dove il tempo ha fermato la coltivazione e il lavoro dell’uomo si è ritratto.

Eppure, basterebbero 40.000 ettari per raggiungere gli obiettivi del PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima), appena l’1% della superficie agricola nazionale. Una briciola. Una goccia in un mare di terra incolta. E allora perché ancora si discute? Perché non si capisce che il problema non è lo spazio, ma la volontà di usare quello che già esiste?

Una strategia per il futuro: agrivoltaico e rinascita rurale

Ci sono piante che sanno adattarsi, che crescono nelle crepe dell’asfalto, nei luoghi dove l’ombra disegna forme mutevoli. E poi ci sono quelle che si ostinano a cercare il sole, che lo inseguono fino all’ultimo raggio prima che la sera le ricopra di un velo sottile. L’agrivoltaico conosce bene questa differenza. Alcune colture trovano nell’ombra parziale un alleato: patate, luppolo, spinaci, insalata e fave. Il riparo dei pannelli diventa un vantaggio, un aiuto contro il caldo eccessivo, una protezione che trattiene l’umidità e garantisce rese migliori.

Altre coltivazioni, senza clamore, continuano a crescere segale, orzo, avena, cavolo verde, colza, piselli, asparagi, carote, ravanelli, porri, sedano, finocchio e tabacco. Non hanno bisogno di tutto il sole per vivere, trovano il loro equilibrio sotto la luce filtrata, si muovono con l’aria e il vento tra le strutture.

E poi ci sono quelle più esigenti, cipolle, fagioli, cetrioli e zucchine, piante che non si arrendono, che cercano la luce anche dove non è garantita, che richiedono un’attenzione diversa, una cura maggiore.

Ma sotto i pannelli non crescono solo piante. Ci sono pecore che trovano riparo, che brucano un’erba che resta più verde, che camminano tra le strutture come dentro un recinto naturale, protette dalla calura, meno esposte alla fatica di un sole feroce. Il fotovoltaico diventa un’architettura viva, un sistema in cui nulla si spreca, in cui le ombre non sono vuoti, ma occasioni di crescita.

Risposta ai detrattori

C’è chi teme il cambiamento. C’è chi lo guarda con sospetto, come se l’innovazione fosse sempre una minaccia, come se l’equilibrio tra progresso e tradizione non fosse possibile. Si dice che i pannelli solari rubino spazio all’agricoltura, che alterino il microclima, che riducano la fertilità della terra. Ma il problema non è l’agrivoltaico. Il problema è dove e come si fa.

Se al posto di sradicare si integrasse, allora il discorso cambierebbe. E l’energia pulita non sarebbe più un’alternativa alla produzione alimentare, ma il suo completamento naturale.

L’agrivoltaico non è una minaccia, è un’opportunità. Riduce lo stress idrico, protegge le colture dagli eventi climatici estremi, diversifica il reddito degli agricoltori. Non è sottrazione, ma moltiplicazione.

Agrivoltaico: una scelta obbligata

C’è una domanda che resta sospesa: l’Italia può permettersi di ignorare questa possibilità? Abbiamo la tecnologia, abbiamo le competenze per far convivere agricoltura ed energia senza perdere nulla. Ciò che manca è la decisione di farlo. Perché non si capisce che il problema non è lo spazio, ma la volontà di usare quello che già esiste? O forse, più che volontà, è la capacità di superare i vincoli normativi e la lentezza burocratica che soffocano ogni tentativo di innovazione.

Il tempo delle esitazioni è finito. L’energia pulita e l’agricoltura possono e devono andare di pari passo. Sta a noi decidere se questa rivoluzione rimarrà solo un’idea sulla carta o diventerà il futuro del nostro territorio.

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