Un liceo unico per tutti i giovani tra i 14 e i 19 anni
Questo articolo inaugura su la discussione sul tema “Il Liceo che vorrei”, che l’autore di questo primo contributo ha proposto qui. Gli interventi vanno inviati a info@glistatigenerali.com.
Quella tra i 14 e i 19 anni, tra tutte le età della vita dell’uomo, forse non è la più importante (probabilmente, sono i primi mesi di vita), forse non è la più felice (la maturità?), ma, di certo, è quella più visionaria e affascinante. Complessa, avvincente, seducente, promettente, e romantica: non esiste infatti grande scrittore che non l’abbia posta al centro di una sua opera fondamentale: dall’Iliade di Omero ai Turbamenti dell’allievo Törless di Musil. È l’età in cui si creano le più forti amicizie e si hanno i primi grandi veri amori, di ogni natura: amori angelici, carnali, matematici, sportivi, artistici, meccanici, musicali e filosofici.
Di qui la mia idea di liceo. Il liceo ideale è quello che, nel modo migliore possibile e nel massimo grado possibile, accompagna, custodisce, cura e liberamente sviluppa la vita dei giovani in questa loro irripetibile e fondamentale fase della vita. Come?
Accanto e connessa con la famiglia (quando c’è) e con la chiesa (quando c’è, e ovviamente di qualsiasi culto, cristiano o meno, e se si desideri farne parte), il liceo è un’istituzione sociale distinta, con regole, modi e stili suoi propri. Aperta e protetta, nel tempo stesso. È una comunità di studenti e di docenti in cui ciascuno (studente e docente) deve poter scoprire e sviluppare le proprie inclinazioni, abilità, passioni, desideri, in assoluta libertà, ma insieme agli altri, con l’aiuto degli altri (studenti e docenti più esperti), senza troppe ingerenze dalla Famiglia, dalla Chiesa, dallo Stato. Non esistono programmi e curricula standard e obbligatori per tutti, non esistono distinzioni tra “classico”, “scientifico”, “artistico”, “economico” o non so che. Esiste un liceo unico per tutti i giovani tra i 14 e i 19 anni, e di qualsiasi classe sociale o nazione di provenienza.
Le materie fondamentali obbligatorie sono pochissime: italiano (grammatica analisi logica letteratura), storia e geografia, filosofia (forse, ma potrebbe rientrare in italiano e nelle lingue straniere. In Inghilterra non si studia filosofia nelle scuole, e non pare che il livello degli studi filosofici sia, in UK, inferiore a quello italiano), matematica (e logica ed elementi di informatica), arte (inclusa la musica, sempre dimenticata: ma perché? e proprio in Italia!!!), una lingua straniera (inglese, qui la scelta è obbligatoria: è la lingua franca di oggi). Io sono contrarissimo a un insensato “accumulo per tuttologia” (come dice una mia grande collega economista) di materie e nozioni, che ai ragazzi confonde soltanto le idee, senza veramente approfondire nulla.
Accanto a questo nucleo di materie fondamentali, lascerei alla scelta, ragionata e ‘aiutata’, degli studenti qualche altra materia: greco e/o latino, un’altra lingua straniera (dal mandarino all’ebraico, dall’arabo al persiano, a quella lingua che volessero o fosse disponibile), fisica, chimica, disegno, storia delle religioni, fotografia, ecc. ecc. Creerei percorsi il più individuali possibili, tenendo ovviamente conto delle risorse, umane e non, disponibili. Negli ultimi due anni si dovrebbero poter approfondire un paio di materie.
Darei anche la possibilità di diverse ‘velocità’ e ‘affiatamenti’ tra i ragazzi, e tra i ragazzi e gli insegnanti. Cercherei di contemperare una ‘sana’ competizione (come anche negli sport, individuali e di squadra: si concorre sportivamente, senza imbrogli di sorta e senza far sentire l’ultimo un perdente e basta) con un’altrettanto ‘sana’ cooperazione e solidarietà (non il copiare, ma l’aiutarsi l’un l’altro: i più ‘grandi’ aiutino i più ‘piccoli’ in ogni senso, e quindi anche v.v.). Gli insegnanti dovrebbero tenere anche più o meno l’atteggiamento degli allenatori, e rafforzare quell’immaginazione, quel ‘sognare a occhi aperti di giorno’ (il motore primo di ogni conoscenza, secondo Edgar Allan Poe), quell’entusiasmo per il nuovo e l’ignoto, che esistono naturalmente nei giovani.
Essendo una comunità, la scuola dovrebbe essere un luogo (bello anche esteticamente) in cui star bene insieme facendo cose ‘colte’, civili, importanti per la società, per la ‘città’, ma anche molto piacevoli per se stessi in quanto individui (studenti e docenti), anche quando sono (come sono necessariamente) cose difficili e faticose: capire il senso di un aoristo non è facile, salire velocemente su una pertica è faticoso. La scuola dovrebbe essere e insegnare quello che Aristotele chiamava eudaimonia, cioè coltivare il ‘buon demone’ che esiste in ogni individuo, sviluppare le passioni non autodistruttive, il senso della simpatia che dovrebbe reggere le società umane. Con regole, severità, serietà, certamente; ma anche senza stupide proibizioni o castighi e punizioni. I voti vanno bene, ma ne bastano few & sparse, cioè pochi e rari, concepiti soprattutto come un momento di valutazione dai pari grado e da persone competenti. C’è poi, eventualmente, l’università e, di sicuro, la vita ‘di fuori’ e, forse, il lavoro.
Primo poscritto
Questo mio Liceo ideale non è poi così diverso da quello che ho fatto io, cinquant’anni fa. Avevamo insegnanti bravissimi. Ci curavano e proteggevano a scuola, ma ci portavano anche fuori della scuola. Se mi sono appassionato allo strutturalismo e a Lévi-Strauss lo devo a un professore di italiano e latino (e non della mia sezione) che ci portò all’università di Pavia ad ascoltare alcune lezioni di Roman Jacobson sui Gatti di Baudelaire. Se ho capito qualcosa dell’architettura moderna lo devo agli studenti che ci portarono a scuola Ernesto Rogers a spiegarci il senso della Torre Velasca, l’edificio contemporaneo accanto al nostro liceo. Insegnanti motivati e studenti intelligenti esistono ancora. Vanno incoraggiati, pungolati, sostenuti. Ci sono, oggi, presidi illuminati che lo fanno. Non tutto è perduto.
Secondo poscritto
Non sono entrato qui nella questione oggi d’attualità, quella del “liceo breve”. Lo farò in un altro articolo. Qui dico solo che si tratta di un delitto contro natura: si è “teenagers” fino a 19 anni, o no? (A scanso di equivoci: io sono liberale; se uno studente vuol fare il liceo in quattro anni anziché in cinque, sia libero di farlo. Lo può fare, come lo feci io: terminata, alla fine di giugno, la seconda liceo, mi presentai il primo di luglio agli esami di maturità nel mio stesso liceo (ricordo che allora la Commissione era esterna, si portavano tutte le materie dell’ultimo anno più i riferimenti ai precedenti due anni di liceo, e che le prove scritte erano quattro). Io desideravo recuperare un anno perduto, molti anni prima, da piccolo. Fu una buona scelta, ma persi un anno di vita coi miei compagni e amici di liceo.)
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