Troppe bocciature negli istituti tecnici e professionali
UNA SCUOLA SUPERIORE UNICA PER TUTTI I RAGAZZI ITALIANI
Dieci proposte per una riforma democratica dell’istruzione superiore italiana
SETTE
“Bocciare è come sparare a un cespuglio: forse era un ragazzo, forse una lepre. Si vedrà a comodo. Fino all’ottobre seguente non sapete che cosa avete fatto. È andato a lavorare o ripete? E se ripete, gli farà bene o male? Si farà le basi per seguitare meglio o invecchierà malamente su programmi non adatti a lui?” (1).
Anche oggi dovremmo farci la stessa domanda di don Milani: a cosa serve bocciare? A niente. Lo dice l’OCSE, la più grande organizzazione mondiale di studi economici. Nel rapporto pubblicato da OCSE-PISA nel 2014, Gli studenti svantaggiati ripetono l’anno con maggiori probabilità? (2), gli autori dichiarano che: “Ripetere l’anno è un modo costoso per affrontare il problema dei cattivi risultati scolastici: gli studenti bocciati hanno maggiori probabilità di abbandonare la scuola e rimangono in ogni caso più a lungo nel sistema scolastico, senza entrare a far parte della forza lavoro”.
A essere bocciati sono soprattutto i ragazzi che provengono da una famiglia svantaggiata, come sostengono i ricercatori dell’OCSE (2): “Anche tra gli studenti con performance simili, la probabilità di ripetere l’anno è una volta e mezza maggiore per gli studenti che provengono da contesti di svantaggio economico e sociale che non per gli studenti economicamente più fortunati”. Purtroppo, in Italia, si boccia ancora tantissimo, ben di più della media europea.
Nel 2014 (purtroppo non esistono dati più recenti), la percentuale di ragazzi italiani quindicenni che secondo il rapporto di OCSE-PISA aveva ripetuto almeno un anno era il 17,1%, contro la media UE del 12,4% (3). Come abbiamo visto, la maggior parte dei ripetenti, secondo i dati dell’OCSE, proviene da famiglie svantaggiate. A essere bocciati sono quindi ancora i figli dei poveri, a dimostrazione del fatto che le tesi di don Milani, in Lettera a una professoressa, sono ancora valide. Oggi però le bocciature si sono spostate dalle scuole medie (i bocciati sono circa il 2% degli studenti) alle superiori, come dimostra una ricerca effettuata da OpenPolis, Quanti sono i ripetenti nelle scuole italiane (4), dove risulta che la percentuale di studenti bocciati alle superiori è del 22% (dato medio sui cinque anni di studi).
Quali sono allora le scuole superiori che bocciano di più? Secondo i dati della ricerca di OpenPolis (4), le bocciature sono concentrate soprattutto negli istituti tecnici e in quelli professionali. I bocciati a giugno nell’anno 2017/18 erano soprattutto studenti dei tecnici e dei professionali, rispettivamente il 9,5% e l’11,9% , contro il 4% dei liceali. A questi numeri bisogna aggiungere quelli dei ragazzi con il giudizio sospeso, elevatissimi ancora una volta nei tecnici e nei professionali, dove toccano punte vertiginose del 26,8% e del 24% contro il 19% dei licei (4). Bisogna inoltre desumere che per arrivare al 22% di bocciati alle superiori, denunciato da OpenPolis, più della metà dei ragazzi con il giudizio sospeso vengono bocciati a settembre.
Ecco la seconda domanda: i ragazzi bocciati ripetono l’anno o abbandonano la scuola? Da un’analisi del MIUR, La dispersione scolastica (5), che analizza il tasso di abbandono scolastico nell’anno 2019/20, si può vedere come fra i liceali l’abbandono sia stato solo dell’1,6%, mentre il dato sale invece al 3,8% degli studenti dei tecnici fino ad arrivare al clamoroso 7,2% dei professionali. In sostanza, nei licei si boccia di meno e i ragazzi bocciati tendono presumibilmente a ripetere l’anno, mentre nei tecnici ma soprattutto nei professionali si boccia molto di più e i ragazzi bocciati hanno maggiori probabilità di lasciare la scuola.
“Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate” è quindi l’esortazione da rivolgere agli studenti che si iscrivono agli istituti tecnici e professionali che tanto piacciono al nostro Ministro Valditara. Forse il Ministro dell’Istruzione non sa che è più facile rimediare una bocciatura (a giugno o settembre) per i ragazzi che scelgono quegli indirizzi di studi, magari nella convinzione che si tratti di scuole meno difficili del liceo, quando in realtà sono tristemente segnate da tassi altissimi di bocciature, a cui segue spesso l’abbandono scolastico.
Ma forse il Ministro conosce bene i dati sull’abbandono scolastico nei tecnici e nei professionali, perchè nella sua annunciata riforma delle scuole tecniche compaiono anche i diplomini da rilasciare ai ragazzi che abbandonano la scuola prima della maturità. Secondo un articolo del Corriere della Sera (6), il Ministro vorrebbe: “Un percorso in tre tappe, ognuna delle quali permette allo studente di avere una certificazione del percorso fatto, come una specie di diploma, che negli istituti tecnici si riceve alla fine del secondo, del quarto e poi del quinto anno con la maturità”. Si direbbe quindi che il vero obiettivo del Ministro è nascondere la piaga del tasso di abbandono scolastico in quel tipo di scuole grazie appunto al rilascio dei diplomini.
Ma chi sono i ragazzi che finiscono per iscriversi alle scuole tecniche e professionali? Secondo un’elaborazione del Sole 24 Ore, Scuola italiana: chi parte svantaggiato, ci resta (7), il 38% e il 30% dei genitori dei ragazzi diplomati rispettivamente nei professionali e nei tecnici appartiene alla classe esecutiva – operai e impiegati esecutivi –, mentre nei licei la percentuale di figli di operai e impiegati scende fino ad arrivare all’8,7% dei licei classici. In conclusione, la parabola discendente dello studente che ha finito le scuole medie e proviene da una famiglia svantaggiata, comincia proprio dall’ingresso in un istituto tecnico o professionale, al quale si iscrive senza sapere di avere ottime probabilità di essere bocciato e di lasciare la scuola prima di aver preso il diploma. Se invece lo studente è figlio di un laureato, si iscriverà al liceo, dove difficilmente verrà bocciato, ma anche se ciò avvenisse, ripeterebbe l’anno e avrebbe alla fine ottime probabilità di prendere la maturità (e poi di laurearsi).
Ciò nonostante, nel nostro paese, c’è ancora chi ha il coraggio di sostenere che le bocciature fanno bene alla scuola. Paola Mastrocola, autrice insieme al marito Luca Ricolfi di Il danno scolastico (8), sostiene che: “Un ragazzo non potrà fare il liceo se noi per otto anni – cinque di elementari e tre di medie – non gli abbiamo insegnato quasi niente o, se gli abbiamo insegnato qualcosa, poi non abbiamo anche deciso di esigere e di pretendere che lui le sapesse queste cose!”. Esigere e pretendere, in corsivo anche nel testo originale, significano bocciare chi le cose non le sa, caso mai non si fosse capito.
Paola Mastrocola, professoressa in pensione che insegnava italiano e latino part time in un liceo scientifico, vorrebbe infatti che si bocciasse di più anche nei licei. Le teorie di Mastrocola e Ricolfi sono in realtà un po’ fumose, perchè sostengono che la scuola democratica, ovvero quella uscita dalla riforma del 1962 che ha abolito le scuole dell’avviamento professionale, abbassi la qualità dell’istruzione. L’equazione non è chiarissima, se non per il fatto che secondo gli autori di Il danno scolastico la presenza di studenti meno brillanti (in italiano e latino, le materie che insegnava la Mastrocola e che cita in continuazione) abbia l’effetto di rallentare i ritmi di apprendimento degli studenti migliori (sempre in italiano e latino), costretti a tollerare la zavorra degli asini, troppo lenti di comprendonio, come da sempre si conviene agli asini.
Lo stesso Ricolfi sembra inneggiare al ritorno di una scuola solo per le élite, in un brano involontariamente umoristico, tratto dal suo libro: “Ma se era classista, la scuola media di allora, lo era non perché non aveva remore a bocciare, ma perché era riservata ai ceti medi. Subito prima della riforma, la vecchia scuola media (non ancora unificata) era frequentata da meno di un ragazzo su due. I figli dei ceti popolari o si fermavano dopo la quinta elementare o continuavano iscrivendosi all’avviamento. Quanto ai privilegiati, i ragazzi che accedevano la vecchia scuola media, il loro vero unico privilegio era uno solo: nessuno chiudeva le palpebre, lasciandoli proseguire nello studio disarmati”(8). Ricolfi dà per scontato che la severità dei suoi insegnanti sia servita a formare la classe dirigente e di intellettuali della quale ritiene di far degnamente parte. Una scuola democratica (di massa) non ha invece più questa funzione di filtro, che lascia salire verso l’alto solo i meritevoli, e appiattisce verso il basso il livello di tutti gli studenti.
Luca Ricolfi sembrerebbe aver mostrato dei segni di pentimento rispetto alla tesi che bocciare di più servirebbe a migliorare la qualità dell’istruzione, perchè nella conferenza programmatica di Fratelli d’Italia dell’aprile scorso ha proposto di eliminare le bocciature nelle scuole “dedicate alla socializzazione e non alla trasmissione del sapere e della cultura” (ovvero le scuole di serie B come i tecnici e i professionali) per sostituirle con quello che lui chiama il sistema degli A level, riferendosi forse al sistema di calcolo del Great Point Average (la media finale dei voti nelle scuole superiori unificate di alcuni paesi anglosassoni). Nelle scuole (di serie B) in cui si adottasse il fantomatico sistema degli A level nessuno verrebbe bocciato anche se in pagella ha voti pessimi. Si noti che nei paesi anglosassoni la bocciatura è assolutamente in vigore, anche se meno praticata che in Italia: il modello a cui si riferisce Ricolfi di fatto non esiste. Il pentimento di Ricolfi sembrerebbe comunque molto relativo, perchè, sempre nella stessa conferenza programmatica di Fratelli d’Italia, chiede che vengano istituite scuole speciali, a cui si accede con un voucher pagato dallo stato, per quella minoranza di ragazzi ancora interessati a “studiare” (licei privati, si presume, dove si può studiare in pace italiano e latino).
Ma anche lasciando perdere il desiderio regressivo di tornare a una scuola gentiliana, la domanda da farsi è la seguente: bocciare TANTO serve a migliorare la qualità dell’istruzione? Se così fosse, nei paesi in cui si boccia poco, gli studenti dovrebbero uscire impreparati dalle scuole, perché le classi sarebbero piene di quegli asini che, secondo la Mastrocola, danneggiano gli studenti più bravi. Questo però non succede, come dimostrano i dati delle ultime indagini mondiali sulle competenze degli studenti in lettura, matematica e scienze, ad esempio quella effettuata da OCSE-PISA nel 2018 (9).
I paesi che in Europa ottengono migliori risultati per i loro studenti sono quelli che bocciano di meno: in Finlandia, al decimo posto nella classifica mondiale dell’OCSE, solo il 3,8% di ragazzi ha ripetuto una volta entro i 15 anni; in Polonia, all’undicesimo posto, la percentuale di ripetenti è del 4,2%; l’Irlanda, al dodicesimo posto, ha l’8,6% di ripetenti; la Slovenia e l’Inghilterra, al tredicesimo posto, hanno il 3,4% e il 2,7% di ripetenti (8).
Il nostro glorioso paese, dove invece si boccia tanto, con il 17% di ripetenti, arriva solo al trentaquattresimo posto della classifica di OCSE-PISA. I dati propenderebbero quindi per una correlazione inversa tra qualità dell’istruzione e ripetenze. I risultati modesti di Francia e Portogallo – ventiseiesimo e ventisettesimo posto nella classifica, pur sempre meglio di noi – sono correlati a una montagna di bocciature: 28,4% in Francia e 34,3% in Portogallo (10). Si potrebbe addirittura sostenere che le ripetenze sono il sintomo del cattivo funzionamento del sistema scolastico, che sputa fuori gli studenti peggiori, percepiti come rifiuti non trattabili, da eliminare dal ciclo dell’istruzione.
I sistemi scolastici migliori sono invece capaci di trattenere al loro interno gli asini per trasformarli in studenti decenti che riescono a prendere un diploma. Ancora una volta, i dati italiani propendono per classificare l’Italia tra i paesi peggiori: il tasso di abbandono scolastico è infatti molto più alto della media europea. Nel 2020, il 13,1% dei giovani italiani tra i 18 e i 24 anni ha abbandonato la scuola, fermandosi alla licenza media, contro il 10% della media europea (11).
I ragazzi che lasciano la scuola prima del diploma sono chiamati ELET, Early Leavers from Education and Training. Dal rapporto dell’Istat, Livelli di istruzione e ritorni occupazionali (12), si può vedere come il fenomeno dell’abbandono riguardi soprattutto le regioni del Sud Italia e tocchi più i maschi delle femmine. Abbandonano la scuola con più frequenza anche i ragazzi stranieri: il 36,5% contro l’11,3% degli italiani. Nelle classifiche, i ragazzi sono catalogati come stranieri anche quando sono nati in Italia, perchè possono prendere la cittadinanza italiana solo dopo aver compiuto diciotto anni.
In definitiva, più di un ragazzo straniero su tre non riesce a ottenere un diploma di scuola superiore. Forse i suoi genitori sono arrivati in Italia con l’obiettivo di offrirgli una vita migliore, sperando che avrebbe ricevuto una buona istruzione, che di fatto gli viene sostanzialmente negata. Gli immigrati di seconda generazione non verranno respinti “nei campi e nelle fabbriche” (13), come scrivevano i ragazzi di Barbiana a proposito dei contadini e dei montanari bocciati nelle scuole degli anni Sessanta, ma finiranno nei fast food a friggere hamburger e patatine, dopo essere stati probabilmente bocciati in un istituto professionale.
Per gli ELET è più difficile trovare lavoro, anche perché senza il diploma si fa più fatica a ottenere un impiego. E chi rimane senza lavoro, entra subito anche nella categoria dei NEET, acronimo di Neither in employment education or training, ragazzi che non studiano e non lavorano, di cui siamo purtroppo i campioni d’Europa.
Nel 2020, secondo i dati di EuroStat68 (14), i NEET italiani di età compresa tra i 20 e i 34 anni sono il 29,4% dei loro coetanei, contro il 17,6% della media europea. In Italia, un giovane su tre non lavora né studia: due milioni di ragazzi! Precediamo la Grecia e la Spagna: 25,0% e 22,3%. Se poi analizziamo il dato su base regionale, si scopre che i NEET sono meno numerosi al Nord – il 10% nelle regioni con una presenza industriale –, mentre il dato diventa esplosivo nel Mezzogiorno, toccando numeri come il 40% a Palermo e il 45% a Caltanisetta (15).
Le ricerche dimostrano l’esistenza di una correlazione tra il fenomeno degli ELET e quello dei NEET (16). Ovvero: nelle zone caratterizzate da un’alta percentuale di abbandono scolastico, ci sono molti NEET. I ragazzi che lasciano prima la scuola non trovano lavoro, in particolare se vivono in aree svantaggiate. Ma gli alti tassi di abbandono precoce degli studi hanno l’effetto di danneggiare l’economia del nostro paese: il reddito procapite delle nazioni è collegato al livello dell’istruzione. In Europa, gli interventi per contrastare il fenomeno dei NEET sono basati soprattutto sull’inserimento dei ragazzi in percorsi formativi, come in Francia, dove viene addirittura offerto un reddito di 500 euro al mese (17) ai NEET disposti a seguire un percorso di formazione professionale.
Una scuola che funziona non perde nemmeno un allievo: verità lapalissiana compresa dalla Comunità di Sant’Egidio che ha recentemente pubblicato un Decalogo per il contrasto all’abbandono scolastico (18), ispirato all’esperienza delle Scuole per la Pace che offrono il doposcuola ai bambini delle elementari e delle medie a rischio di abbandono scolastico. La Comunità ha promosso una nuova figura, lo School facilitator, che ha il compito di “aiutare le famiglie e la scuola a evitare che i bambini si perdano”. Gli School facilitator rintracciano gli allievi che sono spariti dai percorsi dell’istruzione per inserirli di nuovo a scuola.
La medesima attività è svolta anche dai magistrati di buona volontà che lavorano per i tribunali minorili, come racconta “Il Fatto quotidiano” nell’articolo del 12 aprile 2021: Abbandono scolastico, impennata di segnalazioni alle procure minorili dopo un anno di Covid. Con la DAD i ragazzi più fragili non ce la fanno”(19). Durante la pandemia, l’abbandono scolastico è ulteriormente aumentato, come spiega la Procuratrice capo di Cagliari, dottoressa Cau: “Sono abbandoni dovuti all’anno di scuola in didattica a distanza. È mancato il lavoro di motivazione: i ragazzi si sono sentiti soli e non ce l’hanno fatta. L’hanno pagata soprattutto i più fragili”.
Dovrebbero essere le scuole, non gli School Facilitator e i magistrati, a impedire che bambini e ragazzi lascino la scuola. Nel caso in cui l’abbandono si verifichi durante le elementari e le medie, si può sperare che qualcuno dia l’allarme, ma se l’abbandono avviene dopo il compimento dei sedici anni, età in cui si conclude l’obbligo scolastico, viene generalmente ignorato, con i risultati che abbiamo già illustrato. Meglio pensarci due volte prima di sparare a un cespuglio…
(1) Scuola Di Barbiana, Lettera a una professoressa, op.cit., p. 39.
(2) PISA in Focus, Are disadvantaged students more likely to repeat grades? September 2014.
(4) Fondazione OpenPolis, Quanti sono i ripetenti nelle scuole italiane, op. cit.
(5) Ministero dell’Istruzione, dell’Università, della Ricerca La dispersione scolastica aa.ss. 2017/2018 – 2018/2019, aa.ss. 2018/2019 – 2019/2020, Maggio 2021.
(6) Gianna Fragonara, La riforma degli Istituti tecnici: il diploma in tre scalini e gli imprenditori come prof, Corriere della Sera, 17 novembre 2022, https://www.corriere.it/scuola/secondaria/22_novembre_16/riforma-istituti-tecnici-diploma-tre-scalini-imprenditori-come-prof-1804ceac-65c3-11ed-9758-a021e00ba84b.shtml?refresh_ce
(7) Sole 24 Ore, Cristina Da Rol, Scuola italiana: chi parte svantaggiato, ci resta, InfoData, 22 giugno 2018.
(8) Paola Mastrocola, Luca Ricolfi, Il Danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza, La Nave di Teseo, ottobre 2021.
(8) Paola Mastrocola, Luca Ricolfi, Il Danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza, op. cit., p. 18.
(9) OCSE-PISA 2018, Results, Combined Executive Summaries, Volume I, II & II, per una lettura di sintesi dei risultati ho usato una mappa costruita sulla base della media tra i tre indici in lettura, matematica e scienze calcolati per ciascun paese: “Worldwide ranking, PISA 2018, Factsmap,
https://i2.wp.com/factsmaps.com/wp-content/uploads/2019/12/pisa-2018.png.
(10) PISA in Focus, Are disadvantaged students more likely to repeat grades? op. cit.
(11) 64 PISA in Focus, Are disadvantaged students more likely to repeat grades? op. cit.
(12) Istat, Livelli di istruzione e ritorni occupazionali, anno 2019, op. cit.
(13) Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, op. cit., p. 9.
(14) EuroStat, Young people – aged 20 – 34 – neither in employment nor in education and training, by sex and age, 2020, https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=File:Young_people_ – aged_20%E2%80%9334 –_neither_in_employment_nor_in_education_and_training,_by_sex_and_age,_2020_ – %25.png
(15) Anpal Servizi, I NEET in Italia La distanza dal mercato del lavoro ed il rapporto con i Servizi Pubblici per l’Impiego, 2018.
(16) Istat, Livelli di istruzione e ritorni occupazionali, anno 2019, op. cit.
(17) Government, Lancement du Contrat d’Engagement Jeune pour les jeunes les plus éloignés de l’emploi, Dossier de la presse, 1 giugno 2021.
(18) Comunità di Sant’Egidio, “Decalogo per il contrasto all’abbandono scolastico”, 22 gennaio 2021, https://www.santegidio.org/pageID/30284/langID/it/itemID/40180/Dieci-proposte-contro-la-dispersione-scolastica-dei-minori-L-emergenza-educativa-chiede-risposte.html.
(19) Alex Corlazzoli, Abbandono scolastico, impennata di segnalazioni alle procure minorili dopo un anno di Covid. Con la dad i ragazzi più fragili non ce la fanno, Il Fatto Quotidiano, 12 aprile 2021.
Nessun commento
Devi fare per commentare, è semplice e veloce.