Scuola
Test nazionali durante l’anno e voti espressi in lettere
UNA SCUOLA SUPERIORE UNICA PER TUTTI I RAGAZZI ITALIANI
Dieci proposte per una riforma democratica dell’istruzione superiore italiana
SEI
Non è vero che un bravo insegnante dedica molte ore del suo tempo a interrogare gli alunni per verificare se hanno raggiunto un livello di conoscenza adeguato nelle materie che insegna. Credo sia piuttosto vero il contrario: un bravo insegnante non spreca ore di lezione per fare la stessa domanda a tutta la classe, un alunno alla volta, quando potrebbe utilizzare dei test standardizzati – a risposta multipla, con le crocette – per verificare se gli alunni hanno studiato le sue materie. Quei tipi di test hanno il pregio, tra l’altro, di essere uguali per tutti e di essere adatti anche agli studenti con un DSA (1), ma soprattutto offrono risultati confrontabili con quelli di altre scuole o di passate serie storiche, come succede oggi con i test INVALSI (2).
Il fatto che sia un ente esterno alle scuole a somministrare i test è un’ulteriore garanzia di imparzialità: gli studenti vengono valutati sulla base di una prova identica in tutta Italia. Si potrebbe quindi ipotizzare di somministrare i test INVALSI tutti gli anni, a tutti gli studenti italiani, nelle tre materie attualmente oggetto delle prove – italiano, matematica, inglese – per offrire agli insegnanti ma anche al Ministero dell’Istruzione una solida base per valutare il reale livello di apprendimento degli studenti. Verrebbe così evitato anche il fenomeno delle cosiddette “promozioni regalate”, in cui i docenti danno voti sufficienti (magari fin dalla scuola elementare…) a bambini che in realtà fanno fatica ad apprendere, senza neanche indagare i motivi per cui ciò avviene.
Purtroppo il fenomeno delle “promozioni regalate” è molto diffuso, soprattutto a giudicare dalla discrasia tra i risultati degli INVALSI ma anche dei test OCSE-PISA e i giudizi espressi invece dalle scuole. I cattivi risultati ottenuti in particolare modo dalle regioni del Sud e dalle Isole (3) non si riflettono in una maggiore percentuale di ragazzi che, per esempio, non vengono ammessi alla maturità. Da un articolo interessante di Tecniche della scuola, Scrutini finali i dati del MIUR: solo 1,5% di bocciati alle medie, boom di ammessi alle superiori in Puglia, al minimo in Lombardia, risulta infatti che tutte le regioni italiane si equivalgono in termini di ammessi alla maturità, addirittura con un risultato peggiore della Lombardia rispetto alla media nazionale, quando invece la Lombardia nel suo complesso raggiunge punteggi decisamente superiori nei test INVALSI rispetto alle regioni del Sud.
Non voglio certo sostenere la tesi secondo cui i bambini e gli adolescenti che hanno raggiunto un punteggio basso nei test nazionali debbano essere bocciati, ma di sicuro non sarà possibile promuoverli serenamente a giugno, senza neanche una nota in cui si segnalano le difficoltà dell’alunno, così da “nascondere la polvere sotto il tappeto”, ignorando il cattivo rendimento degli studenti in difficoltà (a volte si tratta di intere classi, se gli istituti sorgono in situazioni di diffusa povertà educativa).
Dai risultati dei test nazionali dovrebbero emergere SUBITO, già alle scuole elementari, quali sono i bambini e i ragazzi che hanno bisogno di un aiuto in più per frequentare con profitto la scuola. Si tratta spesso di bambini che vivono in aree economicamente disagiate. Ma se i loro cattivi risultati vengono ignorati dagli insegnanti, che li promuovono farsi senza troppi problemi, diventa impossibile programmare interventi mirati al loro recupero, magari con strumenti come quello del doposcuola. A volte si tratta di bambini con un DSA mai diagnosticato, perché gli insegnanti hanno per l’appunto preferito “nascondere la polvere sotto il tappeto”, senza segnalare ai genitori e alla scuola che qualcuno dei loro allievi aveva delle difficoltà di apprendimento.
Nessun alunno va male a scuola di propria iniziativa: chi mai potrebbe desiderare di prendere brutti voti? La scuola dovrebbe essere la prima a voler scoprire i motivi per cui un ragazzo fa fatica a imparare. Si tratta di allievi che abitano in zone caratterizzate da povertà e forti svantaggi sociali? Nella famiglia di provenienza si parla un’altra lingua? I bambini hanno un disturbo dell’apprendimento? Soffrono di un ritardo mentale? Mostrano i sintomi di problemi psicologici che varrebbe la pena accertare? O presentano una combinazione di questi fattori? E cosa deve fare la scuola per intervenire in questa molteplicità di casi? Che interventi deve programmare?
Esistono tra l’altro dei test di screening dei Disturbi dell’Apprendimento che possono essere somministrati già in prima elementare: in Italia ve n’è uno ideato da Giacomo Stella che consiste in un semplice dettato di 16 parole (4). Il test non ha valore diagnostico ma solo di screening e consente di individuare subito i bambini a rischio potenziale di soffrire di un DSA Capita invece che i ragazzi arrivino fino alle medie e addirittura alle scuole superiori senza che siano state indagate le ragioni delle loro difficoltà, mascherate da giudizi sempre sufficienti. Prima o poi arriverà la bocciatura, quando magari è troppo tardi per recuperare le lacune che si sono formate durante gli anni delle promozioni regalate.
Effettuare dei test annuali nelle materie principali potrebbe diminuire questo rischio, pur sapendo che i cattivi risultati, quando riguardano intere scuole o aree geografiche, sono il riflesso di problemi più grandi legati in genere a situazioni di povertà educativa ed economica. I test dovrebbero anche rilevare se non vi siano delle carenze legate alla didattica ovvero se gli insegnanti non stiano facendo bene il proprio mestiere.
Faccio un esempio: se alla fine della prima elementare, un’intera classe va male in matematica, mentre nella classe di fianco tutti gli studenti hanno raggiunto gli obiettivi previsti, bisognerà sospendere momentaneamente la maestra che ha mancato gli obiettivi. La maestra potrà seguire dei corsi di formazione e venire affiancata durante il training da colleghe più abili, fino a quando riprenderà l’insegnamento. Ma se al test successivo, la sua classe andasse ancora male in matematica, la maestra in questione deve cambiare lavoro: l’insegnamento non fa per lei.
Le proteste degli insegnanti italiani contro i test INVALSI nascono proprio dalla determinazione a proteggere i propri giudizi contro chiunque voglia esaminare gli studenti utilizzando delle tecniche di valutazione standardizzate che potrebbero produrre risultati diversi dai loro. È fondamentale invece disporre di entrambe le valutazioni – i test nazionali e i voti degli insegnanti – proprio per scoprire se non vi siano dei casi di falsi positivi: studenti con buoni voti (elargiti generosamente dai loro insegnanti) che in realtà hanno pessimi risultati nei test INVALSI (e sui quali vale la pena di fare degli interventi di recupero).
Se poi agli studenti italiani venisse effettivamente offerto in dotazione un computer, i test potrebbero essere estesi a tutte le materie, semplicemente collegandosi al sito dell’INVALSI. Oggi invece gli studenti delle superiori devono migrare a turno nelle aule di informatica per fare i test, mentre quelli delle elementari e delle medie li fanno ancora su carta. Se poi i test INVALSI venissero estesi a tutte le materie, potremmo disporre di un sistema certificato di valutazione, su base nazionale, grazie al quale misurare il polso della scuola – e di ogni singolo studente – una volta all’anno.
L’utilizzo dei test nazionali non vuole privare i docenti della facoltà di esprimere un giudizio sui propri allievi, ma aiutarli anche a ridurre le ore dedicate alle interrogazioni. Grazie alla somministrazione dei test diventerebbe possibile riservare più tempo a vere e proprie presentazioni degli argomenti di studio da parte degli studenti, che possono rivolgere a tutta la classe, intenta ad ascoltarli senza guardare le mosche che volano, come succede adesso durante le infinite sezioni di interrogazioni in cui l’ozio regna sovrano.
Una seconda proposta è di passare dal sistema dei voti numerici a quello basato sulle lettere dell’alfabeto. Alle elementari i voti numerici sono già stati eliminati in favore dei giudizi, ma bisognerebbe eliminare i voti numerici anche dai due cicli successivi. I voti basati sulle lettere alfabetiche – A, B, C, D, F – corrispondono a diverse percentuali di completamento degli obiettivi da raggiungere. Sono negativi i voti D e F, ma in generale, quando si usa questo sistema, si valuta anche l’andamento dei voti del ragazzo. Nel caso in cui abbia preso brutti voti all’inizio della scuola, ma sia lentamente progredito, mostrando una sequenza di questo tipo: “D, C, B”, allora il giudizio finale sarà sufficiente.
Perché escludere che uno studente migliori nel corso dell’anno e il voto sulla pagella non rifletta proprio questa progressione positiva? Quando si usa la media matematica pura, gli studenti che sono migliorati negli ultimi mesi di scuola potrebbero trovarsi con un giudizio negativo sulla pagella per via di voti presi all’inizio del quadrimestre.
Quando si utilizzano i voti espressi in lettere, il calcolo della media generale – GPA, Great Point Average (5) – ottenuta in ogni semestre e di quella finale del diploma di scuola superiore è affare assai complesso, al punto che ogni scuola può usare il proprio algoritmo. La media – soprattutto quella finale – viene “pesata” anche con i “crediti”, che corrispondono ai punteggi assegnati ai corsi frequentati. Più i corsi sono difficili, e più valgono in termini di crediti. I ragazzi che vogliono iscriversi all’università devono avere un GPA molto elevato, calcolato tenendo conto anche di tutti i crediti ottenuti nei quattro anni di scuola superiore.
Aggiungo che le lettere dell’alfabeto sono meno angoscianti dei numeri: oggi i ragazzi studiano per paura di prendere voti come tre e quattro, che suscitano subito la loro reazione impaurita, distogliendoli dalla possibilità di sviluppare un vero interesse per le materie che affrontano. Gli studenti verificano continuamente sul registro elettronico qual è la media dei voti, che diventa subito negativa appena compare uno dei temutissimi tre, con inutili picchi di disperazione in un’età complicata come l’adolescenza.
I voti negativi, tra l’altro, non spingono i ragazzi a studiare di più. Cesare Beccaria aveva dimostrato che la pena di morte non serviva a evitare i delitti, così come un tre in matematica non spinge i ragazzi a studiare di più, ma ha quasi sempre l’effetto contrario.
A volte sembrerebbe quasi che i docenti italiani non abbiamo mai sentito nominare l’espressione “intelligenza emotiva”, coniata da Goleman nel 1997 con il suo libro: “Intelligenza emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici”(6). Solo utilizzando doti come quella dell’empatia e dell’ascolto si può costruire una relazione di Cooperative learning, in cui le competenze vengono acquisite grazie a un canale di scambio caldo e affettuoso che si apre tra docenti e discenti.
In Italia, invece, si usa ancora la clava dei brutti voti come strumento educativo: “Ti do un bel tre così studi di più!”. Inutile poi lamentarsi perché ci sono pochi iscritti alle facoltà STEM – Science, Technology, Engineering and Mathematics – quando durante gli anni di scuola i ragazzi non sono stati stimolati ad avvicinarsi alle materie scientifiche perché prendevano solo brutti voti. Nei paesi anglosassoni gli insegnanti si interrogano su come comunicare agli studenti i loro insuccessi (in particolare nelle materie STEM) così da evitare che portino a nuovi insuccessi, mentre in Italia tali delicatezze sono considerate inadatte al mondo della scuola. Con i noti risultati: pochi diplomati, pochi laureati, moltissimi NEET, Not in Education, Employment or Training: ragazzi “sospesi” in attesa di trovare anche semplicemente dei corsi di preparazione professionale che consentano loro di entrare nel mondo del lavoro.
(1) INVALSI, Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione, https://www.invalsi.it/invalsi/index.php.
(2) Disturbi specifici dell’apprendimento: https://it.wikipedia.org/wiki/Disturbi_specifici_di_apprendimento
(3) Tecniche della scuola, Prove Invalsi, Italia divisa in due con divari territoriali sempre più ampi. In difficoltà Sud e Isole. Tutti i dati, luglio 2022
(4) Giacomo Stella, le 16 parole http://psicologiaeducazionedsaparma.it/2018/01/04/giacomo-stella-le-16-parole/
(5) David Goleman, Intelligenza Emotiva, Rizzoli, 2011.
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