Scuola
Supereroi della scrittura e del public speaking
UNA SCUOLA SUPERIORE UNICA PER TUTTI I RAGAZZI ITALIANI
Dieci proposte per una riforma democratica dell’istruzione superiore italiana
CINQUE
Saper scrivere e saper parlare (in pubblico) sono due facce della stessa medaglia. Se sei capace di scrivere da solo un buon discorso, puoi anche recitarlo efficacemente davanti a un’audience. Ma il convincimento ricorrente, spesso denunciato dai nostri giornali, è che i ragazzi di oggi non scrivono bene né tanto meno sono capaci di esporre brillantemente ad alta voce le loro opinioni. Ma se così fosse, sarebbe solo colpa loro? Secondo me, no. Tanto per cominciare, la scuola non insegna più a scrivere: non si fanno quasi più temi o se ne fanno pochissimi. Ai ragazzi vengono invece somministrate dosi ciclopiche di grammatica italiana senza che lo studio del nome dei quarantré complementi indiretti (il numero è inspiegabilmente aumentato nel corso degli anni…) abbia percettibilmente migliorato le loro abilità espressive.
L’atroce metodo di studio della grammatica nella scuola italiana prevede che un bambino delle elementari debba ricordarsi a memoria il nome di tutte le parti variabili e invariabili del discorso – verbo, pronome, congiunzione, ecc. – oltre a quello delle parti del discorso valutate per le relazioni logiche tra loro: il soggetto che compie l’azione, l’oggetto che la subisce, eccetera. Neanche io ricordo mai le definizioni grammaticali e ho dovuto di nuovo consultare il web per verificare se quelle appena usate sono corrette. Si può infatti parlare o addirittura scrivere in un ottimo italiano, senza sapere se stiamo usando un trapassato prossimo, un passato remoto o un complemento di moto a luogo invece che uno di moto per luogo.
La scuola dovrebbe semplicemente insegnare l’arte dello scrivere, che non si impara solo studiando la grammatica o ascoltando una delle fumose lezioni sul significante, il significato e la famiglia semantica che fanno parte dell’indigeribile programma di italiano delle scuole medie. I ragazzi dovrebbero essere guidati dagli insegnanti a esporre per iscritto le loro opinioni su argomenti precisi, anche di attualità, oltre che a cimentarsi sul filone della fantasia e della creatività. I docenti dovrebbero spronarli a scrivere temi, componimenti, discorsi, racconti, incoraggiandoli costantemente (pazienza se non si ricordano il nome di tutti i complementi indiretti). Ma non solo, gli studenti dovrebbero imparare anche a declamare i propri scritti, acquisendo sicurezza nell’esposizione in pubblico. A supporto di tutte queste attività, possono essere coinvolti anche dei volontari, come per esempio degli esperti di scrittura e di public speaking.
Gli studenti dovrebbero lavorare sui loro scritti insieme agli insegnanti, ma anche con i volontari, modificandoli, perfezionandoli, riscrivendoli fino a quando non sono venuti bene. Ma oggi non succede nulla di tutto questo. Quando i ragazzi scrivono un tema, l’insegnante lo corregge con una virgola rossa qua e là, e poi mette il voto sul registro. E basta. Le sue correzioni dovrebbero essere solo l’inizio del processo di collaborazione tra docente e discente che conduce a produrre un bello scritto. Nel caso in cui fosse possibile fare i temi al computer, diventerebbe ancora più facile lavorarci insieme – allievi, docenti, volontari – per riscriverli fino a quando non sono perfetti.
A Milano, anche durante il lockdown, il Centro Formazione Supereroi (1) composto da un gruppo di cittadini – li chiamo così, alla francese, ma sono scrittori, giornalisti, editor, professionisti della parola scritta – ha continuato a tenere dei laboratori gratuiti di scrittura, online naturalmente, con gli studenti delle scuole medie e delle superiori. I volontari del centro hanno proposto ai ragazzi di scrivere il diario del lockdown – “Diari dalla terra del coronavirus” – che è diventato un libro divertente, ma anche commovente e profondo su come i ragazzi hanno vissuto il periodo di clausura.
Prima di allora, i Formatori dei Supereroi avevano lavorato insieme agli studenti per scrivere dei libri collettivi che venivano poi autopubblicati anche con l’obiettivo di far sentire i ragazzi dei veri e propri “autori”. La missione dei Formatori non è di scoprire talenti in erba da lanciare nel mondo editoriale, ma di spingere i ragazzi a esprimere il proprio mondo interiore usando la parola scritta. I ragazzi capiscono all’improvviso di essere più potenti quando si rendono conto di saper raccontare la propria vita, ma anche una storia inventata. Riacquistano fiducia in se stessi, sanno come usare un potere che potrà servirgli ancora quando ne avranno bisogno.
Anche per quanto riguarda il tema del public speaking, bisogna riconoscere che oggi nelle scuole italiane non viene mai chiesto agli studenti di esporre in maniera ragionata e convinta degli argomenti di studio davanti alla classe. I ragazzi sono semplicemente chiamati a rispondere alle domande dell’insegnante durante le interrogazioni: borbottano sottovoce seduti di fianco alla cattedra mentre i compagni di classe aspettano che arrivi il loro turno. Ma chi potrebbe parlare con voce sicura e brillante quando c’è un professore che vuole solo mettere un voto sul registro?
In realtà, la tradizione latina vanta campioni di retorica come Cicerone, Catilina, Marco Antonio. Perché non insegnare ai nostri ragazzi a recitare i loro discorsi (tradotti in italiano, naturalmente)? E perché non far declamare agli studenti anche i discorsi più importanti della storia, come per esempio quello di Martin Luther King – I have a dream – alla marcia su Washington del 1963? Perché non organizzare anche dei tornei di oratoria nelle scuole, dove i ragazzi si sfidano (benevolmente) a scrivere e poi a declamare il discorso più bello su qualche argomento relativo a quella famosa educazione civica che consiste proprio nel saper esprimere (civilmente) le proprie opinioni?
Anche nel caso dell’oratoria, bisognerebbe ricorrere all’aiuto di volontari – attori, oratori, formatori – che illustrino agli studenti le regole per parlare in pubblico. Gli insegnanti dovrebbero poi abbandonare il sistema delle interrogazioni in cui lo studente espone date, concetti, eccetera, con l’obiettivo di verificare se ha studiato gli argomenti del programma. Meglio far presentare ai ragazzi dei piccoli saggi nelle singole discipline, utilizzando dei supporti informatici per illustrare i punti principali del discorso – come poi succederà sul lavoro – da proiettare sulle lavagne interattive (LIM).
Verrebbe così risolto anche il problema di tutte le ore perse durante le interrogazioni, in cui “la classe è immersa nell’ozio e nel terrore”(2), come scrivevano i ragazzi di Barbiana nella “Lettera a una professoressa”. Finalmente gli studenti avrebbero qualcuno da ascoltare: i loro compagni che pronunciano un’orazione sulle materie di studio e cercano gli occhi degli spettatori, come succede durante i public speech, perché il pubblico pensi che il relatore si stia rivolgendo a ciascuno di loro. Solo così, riusciremo a recuperare la nostra tradizione di campioni di retorica, studiata ancora nelle scuole di molti paesi del mondo (tranne che in Italia).
(1) Centro Formazione Supereroi, associazione no profit di professionisti della parola scritta (autori, editor, artisti, giornalisti) che organizzano laboratori di scrittura per gli studenti delle medie e delle superiori, https://centroformazionesupereroi.org/.
(2) Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, maggio 1967, p. 128.
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