L’élite francese al comando della Francia ( e dell’Italia)
In una corrispondenza da Parigi di qualche anno fa Massimo Nava traeva da alcuni fatti di cronaca politica degli spunti per allargare la prospettiva su alcuni aspetti della società francese.
I francesi, che si credono razionali, si sono scoperti passionali come gli italiani. Pronti a passare dall’ entusiasmo alla depressione come il cielo mobile di Parigi porta sole e nuvole nere nella stessa mattinata. Non vogliono un presidente monarca, ma continuano ad amare l’ idea della monarchia: decapitano chi abita i palazzi del potere, ma continuano a custodire le apparenze come una reliquia. Criticano la distante sacralità dell’ Eliseo, ma s’ imbarazzano se il presidente si mescola fra la folla e parla come al bar. Adorano la Rivoluzione, ma non i rivoluzionari. Si aspettano le riforme, ma guai a metterle in pratica senza rispettare corporazioni, sindacati, associazioni. Sono permissivi e sessualmente aperti, ma non applicano gli stessi criteri al presidente, al quale rimproverano di non rispettare la “tradizione”.
Il tema un tempo mi ha appassionato. Visitando la Francia diverse volte (mentalmente la visito quasi ogni giorno però, perché novanta volte su cento mi ritrovo con il libro di un francese in mano) ho avuto modo di riscontrare che la dialettica nel corpo sociale tra Movimento e Istituzione (per dirla con Alberoni), tra ieratica istituzione e incandescente movimento vorrei precisare, è palese, e riscontrabile in ogni dove. Fino a non molto tempo fa, ad esempio, la metropolitana parigina aveva una 1ª classe! Vi immaginate la mattina la torma dei pendolari che nella calca doveva evitare le carrozze di prima, solitamente meno affollate. Eppure succedeva: evidentemente “dietro” un fenomeno di questo genere di piccola vita sociale, c’era qualcosa di più solido e duraturo. Sicuramente un controllo dell’amministrazione della metropolitana in grado di multare i contravventori; sicuramente l’introiezione di una norma amministrativa; sicuramente l’esibizione di una “distinzione”, direbbe Bourdieu, del ceto benestante; sicuramente il suo desiderio di non mischiarsi con la pupulace.
La dialettica nel corpo sociale francese tra élite e masse è molto forte: nel senso che sono forti socialmente sia l’una che le altre, sia l’aristocrazia che i sanculotti, i quali di volta in volta si contendono la scena sociale. Forte è la rabbia dei sanculotti (che possono essere oggi anche i camionisti), altrettanto forte è la reazione del Pouvoir.
Tutta l’intellighenzia francese è polarizzata attorno ai due protagonisti della lotta sociale. Destra e sinistra non sono una marmellata di idee trasformistiche, ma un riflesso mentale della grande lotta che si recita nel teatro sociale. Attorno alla formazione di una élite da sempre in Francia si combatte una lotta che non è solo politica, ma ideale e finanche amministrativa (con tutto il carico sociale e politico che il droit administratif comporta).
Evidenti sono gli intenti polemici che in Francia l’intellighenzia riserva ai meccanismi di formazione e selezione della propria classe dirigente, o alla presenza invadente e pervarsiva dello Stato in tutti i gangli della Società. È singolare rimarcare che da Paul Nizan a Pierre Bourdieu vivo è il malumore antiistituzionale. Sono tutti Normalisti ma odiano l’École Normale. Ma è ‘normale’ verrebbe voglia di dire. Più un’istituzione è potente più suscita odi, perché è difficile entrarci, perché è difficile uscirne, soprattutto mentalmente. Ciò crea anche una vivace dialettica nel corpo sociale. Avercela dunque una Grande Monarchia per contrapporle, con una Rivoluzione, una Grande Repubblica; avercela una superciliosa Académie Française per contrapporle una grande Bohème o una grande Avanguardia; un Grande Romanzo per dar luogo all’ Antiromanzo etc. Le Istituzioni suscitano i Movimenti e dinamizzano la società, più forti sono le prime più incandescenti sono i secondi.
Ma nessuno è contento in questo basso mondo, nemmeno gli intellettuali parigini, che spesso si lamentano degli “Enarchisti” (Macron è uno di loro). Si vorrebbe allora ricordare a costoro che se nell’ Esagono sono i boriosi tecnocrati fuoriusciti dalle Alte Scuole a dettare i destini della nazione, che, se sarà vero che lo Stato soffoca ogni respiro della Società, si accetti almeno il fatto che il sistema di formazione della classe dirigente tramite le Alte Scuole è da preferire al sistema dello Stivale dove l’élite si forma per cooptazioni familistiche, per relazioni (il calcetto del ministro Poletti, o per la legge romanesca del “Ciònamico”) o peggio sotto la protezione di organizzazioni occulte massoniche o di organizzazioni palesi, ma corporative, quali gli Ordini, i Collegi, gli Albi, i Sindacati, etc, e che la vigilanza di uno Stato con tutta la sua Grandeur e presenza ossessiva è da preferire ad uno Stato assente dalla formazione della sua classe dirigente (escluso qualche alta scuola, quale la Scuola Normale di Pisa, voluta… da un francese).
Neanche le parole ci aiutano. Loro hanno il termine (élite) intraducibile perché hanno la cosa; noi quando vogliamo indicare la probabile nomina di qualcuno ad un’alta carica diciamo che è “papabile”. Cattolici dentro.
Tutto ciò ha anche una scioccante traduzione visiva, allorché sintonizzandosi in un albergo parigino su un TG italiano, si assiste in un servizio da Parigi all’inaugurazione d’imponenti opere pubbliche volute dalla discutibile sindrome del faraone del presidente francese di turno, mentre il servizio successivo informa, dall’Italia, sulle indagini giudiziarie sul brigante siciliano di turno. Insomma ogni Paese ha le sue metafore ossessive (diceva Charles Mauron), il retaggio storico gioca brutti scherzi a tutti; ma se la Francia s’interroga sulle persistenze monarchiche nel sistema repubblicano, da noi è disperante constatare che siamo ancora ai briganti, ai pugnali e ad i veleni, come ai tempi di Stendhal e della de Staël.
Senza tacere il fatto che le Alte Scuole, come annota Sabino Cassese (Lo stato introvabile, Modernità e arretratezza delle istituzioni italiane, Roma 1998) «hanno alimentato, nello stesso tempo, democrazia e formazione delle élites. La prima perché, grazie ad un sistema di selezione degli allievi basato sul merito, le scuole sono state un metodo per consentire l’accesso ai vertici dello Stato anche a chi, avendo il talento non possiede altri mezzi di fortuna. La seconda perché, grazie alla mobilità stabilitasi tra i vertici amministrativi, quelli politici e quelli economici, si è così prodotta una noblesse d’Etat che ha avvantaggiato non solo l’amministrazione, ma anche la politica e l’economia (sia pur producendo qualche incoveniente, ma minore rispetto ai benefici)». Da noi già si formano le barricate, pronti a sparare contro la somministrazione dell’Invalsi, chissà cosa si farebbe davanti al feroce sistema selettivo di accesso alle Alte Scuole francesi, che a loro volta richiedono un periodo di frequentazione in scuole preparatorie per accedervi (khâgne) …
E infatti sono le élite francesi che si stanno pappando l’Italia: Bnl, SMA Rinascente, Parmalat, Bulgari, Luxottica, Gucci, Telecom, e domani Mediaset… Et voilà.
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Nella foto di copertina, cerchiati, alcuni Enarchisti futuri capi di governo o ministri.
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