Scuola

Il Covid-19 e la filiera essenziale del capitale umano

16 Ottobre 2020

L’impennata della pandemia nelle prime due settimane di ottobre 2020, nonostante tutti gli sforzi messi in atto da istituzioni, amministrazioni pubbliche, imprese, famiglie e singole persone, rischia di portarci a un nuovo lockdown totale.

La comunità scientifica ci dirà se sarà necessario e ci supporterà per uscirne, con i vaccini e con i suggerimenti sui comportamenti da tenere.

Nel frattempo, la politica e i policy makers si trovano a prendere decisioni urgenti e con poche informazioni, perché è anche dalla loro prontezza decisionale che dipende il controllo o la diffusione del contagio.

Anche se in modo asimmetrico, da fine febbraio 2020 in poi quando la pandemia si è palesata in modo imprevedibile, fulmineo e paralizzante ci sono stati esempi virtuosi di capacità di prendere le decisioni giuste per le persone e per le imprese.

In quelle drammatiche settimane di marzo 2020, la politica, i policy makers e le Parti Sociali hanno anche fatto dell’altro:

  • hanno avuto il coraggio di mettere nero su bianco quali erano i settori e le filiere essenziali, che dovevano necessariamente continuare a lavorare per permettere a tutti noi di mangiare, di essere protetti e curati, di accedere ai servizi di base;
  • hanno avuto il coraggio di dettare una regola generale e di ammettere eccezioni motivate on demand, per poter rientrare nei codici ATECO delle attività essenziali o per agganciarsi a una filiera che rientrava in tali settori.

Oggi, Filiera del Capitale Umano merita lo stesso trattamento.

Oggi il Governo dovrebbe inserire la Filiera del Capitale Umano tra le attività essenziali dell’Italia.

Questa scelta politica avrebbe l’immediata conseguenza di responsabilizzare tutta la comunità che ruota attorno alla Filiera del Capitale Umano (alunni, alunne, studenti, studentesse, docenti, staff amministrativi e tecnici, governance, fornitori, famiglie, comunità) per fare in modo che chi ha il privilegio di poter continuare a insegnare, a imparare, a studiare, a fare ricerca si impegni per fare in modo che ci siano comportamenti responsabili e maturi (a prescindere dall’età).

La scorsa primavera, le imprese che sono rimaste in attività hanno dimostrato di saperlo fare.

Lo saprà fare anche la comunità della Filiera del Capitale Umano.

Dalla scelta politica alle implicazioni gestionali, il passo è semplice (ma veramente semplice).

Alle chiusure generalizzate si possono sostituire le (eventuali) chiusure segmentate, che tengono conto delle esigenze di apprendimento delle persone in formazione.

Si possono introdurre forme di didattica a distanza a rotazione, a prescindere dall’andamento della pandemia ma come scelta di organizzazione dell’anno scolastico o universitario, con benefici effetti anche in termini di minore pressione sulla rete dei trasporti e di regolarità dei flussi di potenziali clienti per le attività commerciali (che in questo modo potranno meglio dimensionare gli organici e organizzare i turni di lavoro).

Si possono supportare le famiglie sia a seguire l’apprendimento di figli e figlie durante i periodi di didattica a distanza sia a organizzare gli spazi domestici per far convivere homeschooling forzato e vita familiare.

Si possono rendere disponibili i materiali didattici, in tutte le forme, le modalità e i linguaggi in linea con le esigenze delle persone in formazione (e non con quelle di chi insegna).

Insomma, si possono impostare strategie adeguate alla complessità del problema, che non è solo sanitario, ma è anche sociale ed economico.

Lo si è fatto per le imprese.

Lo si faccia anche per il Capitale Umano.

 

Nota | Il bimbo in foto è Kena, mio figlio, lo scorso 14 settembre 2020 nel suo primo giorno di scuola. Quello che ho scritto è per lui e per tutte le persone della sua età, alle quali non può essere in alcun modo negato il diritto di imparare nei luoghi adeguati e con le modalità corrette

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