Scuola
È solo una pretesa degli insegnanti che le loro valutazioni siano “oggettive”
LA VALUTAZIONE SCOLASTICA: DEGLI ALUNNI O DEI PROFESSORI?
Riflessioni di un genitore su come dovrebbe cambiare la valutazione nella scuola italiana.
UNO
Siccome in questa serie di articoli racconterò il punto di vista di un genitore sulla valutazione scolastica, devo fare una premessa: quelle che ha ricevuto mio figlio sono state tutte valutazioni numeriche. Non c’è stato un singolo anno del suo percorso di studi in cui il poverino non abbia ricevuto che voti numerici, e quindi parlerò di quattro e di otto, e non dei colloqui – mai pervenuti! – che mio figlio avrebbe potuto tenere con i suoi insegnanti, che gli avrebbero dovuto spiegare quali erano i suoi punti di forza e di debolezza, e in quali aree avrebbe potuto migliorare.
No, mio figlio ha sempre e solo ricevuto un profluvio di voti numerici, anche ottanta, cento all’anno, con una media di due o tre voti alla settimana. Sostanzialmente, un voto un giorno sì e uno no. Orrore…
Bisogna dire che non ho mai avuto l’impressione che i voti numerici dispiacessero ai docenti di mio figlio: “Ti do un bel quattro, il perché lo so io, anzi lo puoi capire anche tu dalla quantità di segni rossi sul tuo compito!”, e la questione finiva lì: “State zitti per favore, prendetevi il vostro bel quattro, senza contestazioni, perché non si disturba il manovratore”.
Ma siccome sono dislessica come mio figlio e conosco molto bene la legge 170 sulla dislessia, ho avuto l’ardire di entrare nelle scuole a questionare proprio sulla valutazione, ritenuta da sempre prerogativa esclusiva dei docenti. Con la legge 170 può invece verificarsi il caso di un genitore o di uno stesso studente che contestino un voto perché non riflette il fatto che alcuni errori, come per esempio quelli di calcolo, non siano da valutare (ovvero non diventino un segno rosso) ma si tenga invece in considerazione se la procedura di svolgimento di un’equazione sia stata rispettata, anche se il risultato non è corretto perché sono stati fatti degli errori di calcolo. Lo stesso dicasi per gli errori di ortografia: un bel tema pieno di errori di ortografia potrebbe ugualmente ricevere una valutazione molto positiva, se l’alunno è dislessico (userò sempre questo termine per indicare chi sia affetto anche solo da uno dei possibili disturbi dell’apprendimento che coinvolgono l’ambito delle competenze di lettura, scrittura, calcolo e grafia).
In un certo senso, quindi, come genitore di un dislessico, ho sempre considerato la valutazione un’opinione e quindi opinabile. In tutte le prove “aperte”, dove l’alunno può rispondere quello che vuole ai quesiti posti dal suo insegnante (scritti o orali), il voto (o il giudizio) esprimono in grande misura le caratteristiche della personalità del docente (oltre a un’altra serie di fattori che illustrerò). Un alunno potrebbe ricevere valutazioni diverse a seconda di chi lo valuta, eccezion fatta per i test a crocetta, con domande chiuse e risposte chiuse, che sono un modo grossolano – ma molto utilizzato nei paesi anglosassoni e nel Nord Europa – per “fotografare” lo stato delle conoscenze di uno scolaro ed eventualmente fare una comparazione con quelle degli altri, magari tra studenti di paesi diversi, oppure tra studenti che vogliono iscriversi alla stessa università (e devono superare dei test a crocette, considerati i più “neutrali” possibili).
Quando si parla del “fattore umano” nella valutazione, è importante considerare che se il docente somministra una verifica scritta con “risposte aperte” (dove lo studente ha la libertà di esprimere le proprie idee, piuttosto che scegliere tra risposte predefinite), allora è lecito aspettarsi che la valutazione possa variare notevolmente rispetto a quella di un altro insegnante che esamini la stessa prova. Le ragioni di queste discrepanze sono molteplici. Innanzitutto, ogni docente è unico e porta con sé un bagaglio di idee, attitudini e tratti di personalità che influenzano in modo significativo il modo in cui giudica un allievo.
Nel linguaggio comune esistono persino espressioni che descrivono queste diverse attitudini degli insegnanti, come per esempio quella di essere di “manica larga” o di “manica stretta”, riferendosi rispettivamente a coloro che tendono a essere più generosi nelle valutazioni e a quelli che, al contrario, si mostrano particolarmente severi. Anche gli studenti sono consapevoli del fatto che il voto rappresenta un’opinione, e per questo motivo è considerato contestabile. Spesso, infatti, gli alunni si trovano in disaccordo con le valutazioni ricevute, proprio perché sanno che possono essere influenzate non solo dalla personalità del docente, ma anche dai suoi eventuali pregiudizi (parleremo anche di questo argomento).
Questa percezione comune e istintiva che non esistono valutazioni “oggettive”, insindacabili come un giudizio divino, è stata convalidata da uno studioso, Henri Pieron, il quale ha condotto un’analisi approfondita sulle differenze nelle valutazioni effettuate da circa cento docenti sulle prove del baccalauréat francese (che corrisponde alla nostra maturità) nel 1965. Pieron ha fondato una disciplina nota come docimologia, ovvero l’arte della valutazione, e si è rivelato pioniere nell’utilizzare metodi empirici per dimostrare l’esistenza di notevoli differenze nei giudizi espressi dai docenti.
Nella sua ricerca, Pieron ha confrontato i voti assegnati da trenta commissari d’esame del baccalauréat a cento elaborati scritti in sei materie diverse, tra cui francese, matematica e filosofia, utilizzando una scala di votazione da uno a trenta. I risultati emersi furono sorprendenti: in alcune discipline, specialmente quelle letterarie, le valutazioni differivano anche di 12-13 punti. Anche nelle discipline scientifiche vennero rilevate variazioni anche notevoli, seppur di minore entità di quelle nelle materie letterarie.
Pieron fu quindi il primo a dimostrare che la valutazione non è univoca e oggettiva ma varia in base al valutatore, risentendo di una serie di fattori. Ad esempio, i correttori tendevano a considerare aspetti diversi negli elaborati a loro sottoposti, attribuendo un valore diverso a ciascun voto, in base alle loro personali linee guida e le loro diverse sensibilità.
In sintesi, la valutazione scolastica è un processo complesso e soggettivo, fortemente influenzato dalle peculiarità e dalla personalità del valutatore, il che solleva interrogativi significativi sull’equità degli attuali sistemi di valutazione in Italia, basati solo sul personale punto di vista dei docenti.
Oggi la docimologia viene insegnata nelle università e sono stati fatti numerosi passi avanti da parte delle scienze sociali per capire se non vi siano dei possibili vizi all’origine di quelle definibili come vere e proprie distorsioni valutative. Abbiamo addirittura a disposizione una serie di definizioni per descrivere i vizi nella valutazione.
Ne citerò qualcuna. La prima si chiama “stereotipia”: quando l’insegnante si lascia influenzare dalle valutazioni precedenti. Un alunno che inizia l’anno prendendo un paio di tre in matematica, potrebbe finirlo senza essere riuscito a migliorare quei primi voti. Un caso di stereotipia a cui ho personalmente assistito è quello del figlio di un amico che prendeva sempre cinque nei temi, sia quelli fatti in classe che quelli svolti a casa. Fino a quando, un giorno, sua madre, che insegnava lettere in un liceo, non si decise a fare un tema a casa al posto del figlio (che poi lo aveva ricopiato con la sua scrittura). Indovinate quanto ha preso il ragazzo in quel tema: cinque!
Ma questo è solo un esempio di quanto la valutazione degli insegnanti possa essere influenzata da fattori esogeni e endogeni. La valutazione è tutto fuorché oggettiva, insindacabile, giusta, corretta per definizione. La valutazione è un’opinione e quindi in quanto tale dipende da una serie molto complessa di fattori.
Stay tuned per scoprire quanto contano i “pregiudizi” dei docenti quando devono valutare un alunno…
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