Scuola
Didattica a distanza: preferirei di no
Mi presento: sono la madre di uno studente della scuola secondaria di secondo grado, anzi, grazie a Dio, di un ex-studente, perché mio figlio ha appena fatto la maturità.
Tirato quindi un possente sospiro di sollievo – “Il ragazzo è maturo!” – vorrei fare qualche considerazione sulla didattica online, detta anche DAD, ovvero didattica a distanza, che la scuola italiana si fregia di aver portato avanti con onore nei mesi della pandemia.
Ho avuto infatti un assaggio diretto – grazie a mio figlio chiuso in camera per quattro mesi davanti al PC – della DAD, definita persino come “una risorsa straordinaria per la scuola italiana, da sviluppare ancora”. Insomma un tale e acclamato successo che potremmo correre il rischio di ritrovarcela l’anno prossimo, in tutte le scuole di ordine e grado, appena i numeri dell’epidemia dovessero tornare a crescere o nel caso in cui gli studenti non entrassero (fisicamente) nelle classi, in virtù del fatto che anche nella scuola italiana dovranno essere applicati i criteri del distanziamento sociale.
Criteri, quelli sul distanziamento, sempre un po’ macchinosi, visto che negli istituti scolastici dovrà essere rispettato il metro di distanza fra le “rime buccali” degli alunni, ovvero tra le loro bocche.
Il calcolo di quanti metri quadrati saranno necessari per infilare nelle classi i circa otto milioni di studenti italiani, compresi i bambini che frequentano le scuole per l’infanzia, è stato affidato a un non meglio conosciuto “software ministeriale” (così definito sui giornali).
Il conto è presto fatto: applicando il principio del metro di distanza tra le rime buccali, resteranno fuori dalle scuole circa il 15% degli studenti.
Che ne faremo di quel 15% in sopravanzo?
Cosa ne sarà di quell’eccedenza, insomma di quel sovrappiù di studenti? Bene, tra le varie soluzioni che si sta andando ad approntare ci sono ricette interessanti come la requisizione di cinema, teatri e musei, dove gli studenti potranno fare lezione (sempre nel rispetto della distanza di un metro tra le rime buccali), così come promesso dal Ministro Azzolina che ha perlomeno il merito di voler riaprire a tutti i costi le scuole il prossimo 14 settembre.
Ma nonostante l’impegno dichiarato di voler confiscare il patrimonio museale italiano per adibirlo a classi scolastiche, i sindacati hanno già avvisato il Ministro dell’Istruzione: “Oggi le condizioni per cui le scuole riaprano in presenza non ci sono”, così ha detto lo scorso 17 luglio Francesco Sinopoli, segretario della FLC CGIL, dove l’acronimo iniziale sta per “Federazione Lavoratori della Conoscenza”, rubato forse a un romanzo di Bulgakov.
Sinopoli ha messo subito le cose in chiaro: “I dirigenti scolastici sono a caccia di spazi; serve un organico straordinario che al momento non c’è. La preoccupazione che sta nascendo è che siccome il tempo scuola si ridurrà, si tornerà alla didattica a distanza”.
Detto in parole semplici, i “Lavoratori della Conoscenza” non hanno intenzione di rimettere piede nelle classi a settembre, che nel frattempo saranno diventate troppo affollate grazie al nuovo parametro del metro di distanza fra le rime buccali, non solo fra gli studenti, ma anche fra studenti e insegnanti. Aggiunge inoltre Sinopoli che mancano (come sempre, ma questa non è una novità) supplenti e insegnanti, e quindi la “scuola in presenza”, con gli insegnanti in carne ed ossa che si presentano il mattino alle otto, ce la dobbiamo scordare.
Non tutti i passaggi logici sono chiarissimi, ma Sinopoli è sicuro: il tempo scuola si ridurrà (perché, poi?), ovvero le ore di insegnamento verranno ridotte, ma soprattutto si tornerà alla DAD: un tale successo formativo che varrà senz’altro la pena ripetere.
Si noti bene che Sinopoli non dice che i professori non torneranno in classe se dovesse ripartire l’epidemia e si rendesse quindi necessario un nuovo lockdown.
No, Sinopoli dice che non ci torneranno e basta, perché “non ci sono le condizioni”, e qui verrebbe da aggiungere un “infattamente” e magari anche un “qualunquemente”.
E poi, cosa c’è di meglio della DAD, una risorsa straordinaria ancora tutta esplorare nella sua infinita efficacia ed efficienza?
Ma le patacche al valore della DAD che si sono attribuiti i discenti italiani provocano in noi, genitori dei discepoli, un autentico moto d’orrore.
Non solo perché gli studenti che verranno di nuovo benedetti dalla didattica online dovranno restare a casa, con un genitore/nonno/zio/tata che se ne occupino (gratis, a pagamento, chissà…) se hanno meno di quattordici anni. Per i più grandi, invece, la lontananza dalla scuola significherà un aumento della dipendenza dagli intrattenimenti tecnologici (videogiochi, social network, eccetera), che simulano un’interazione sociale, ma solo digitale, visto che quella fisica non è possibile, essendo la scuola il luogo di elezione dove i ragazzi costruiscono le relazioni sociali.
Ma la parola DAD provoca in noi genitori un moto di terror panico anche per un altro motivo: sappiamo che le ore dedicate dai professori alla didattica online sono state in realtà molto poche.
La didattica online è partita (nella scuola di mio figlio, ma non solo nella sua…) un mese dopo l’inizio dell’epidemia. E una volta che faticosamente si è messa in moto, le lezioni online non sono mai state più di sei, sette ore alla settimana, nonostante le materie insegnate nella classe di mio figlio fossero sette. E nonostante le ore curricolari della scuola che frequentava fossero trentadue.
Evviva la DAD!
Durante la pandemia, nella classe di mio figlio, sono quindi mancate alla didattica un numero impressionante di ore, senza che peraltro nessuno se ne sia lamentato più di troppo.
I ragazzi ronfavano volentieri fino alle undici, dopo aver passato la sera davanti al computer.
La Dirigente Scolastica ha chiuso un occhio, anzi li ha chiusi tutti e due, e non ha mai verificato se i professori facessero per davvero lezione (così come non lo ha fatto nella classe di mio figlio, non lo ha sicuramente fatto neanche nelle altre…).
I genitori hanno (probabilmente) mugugnato, ma non si sono spinti a lamentarsi dei professori dei loro figli, forse per timore di rappresaglie.
E i “Lavoratori della Conoscenza” si sono autoridotti le ore di DAD nella quiescenza generale, generata anche dalle ragionevoli paure legate alle pandemia che non spingeva certo all’iperattività.
Ma la DAD, anche a volerla fare per davvero, non è poi questa gran bellezza. Cito solamente qualcuno dei problemi legati alla DAD, analizzati in un recente documento di OCSE, “L’apprendimento a distanza quando le scuole sono chiuse: in che misura gli studenti e le scuole sono preparati?“. Secondo OCSE, perché l’apprendimento online sia efficace, è necessario anzitutto che gli studenti abbiano a disposizione un luogo tranquillo dove studiare, ma soprattutto dispongano di un PC e di una connessione Internet.
Bastano queste tre precondizioni per capire che non c’è nulla di più potenzialmente discriminante nell’accesso all’istruzione della DAD: basta che uno studente divida la camera da letto con un altro fratello (nel 90% dei casi in Italia), perché le sue lezioni online siano disturbate da quelle in contemporanea dell’altro fratello (ammesso che ciascuno dei fratelli abbia il PC e la famiglia disponga di una buona connessione Internet).
Insomma, la vecchia e cara scuola, in cui studenti e professori dividono un’aula scolastica, almeno fino al completamento del ciclo degli studi superiori, non è ancora stata superata da nessun’altra forma di didattica alternativa. Tanto meno quella online, se non vogliamo crescere un esercito di Hikikomori, gli adolescenti “socialmente ritirati”, manifestatisi per prima in Giappone, ma che stanno diventando un fenomeno mondiale.
Quella del lockdown è stata un’esperienza dolorosa anche per gli adolescenti, privati delle occasioni sociali che rappresenta la scuola.
Solo il ritorno dell’epidemia potrebbe giustificare il ritorno della DAD, forse la più insalubre delle esperienze didattiche che si possano immaginare per un ragazzo, per non parlare dei bambini che non hanno altre risorse se non quella della scuola per stare insieme ai loro pari.
Professori Missing in Action
Ma cos’è successo, veramente, durante la DAD? Premetto che il mio racconto è di parte, nel senso che conosco bene solo l’esperienza di mio figlio, esperienza che ora mi accingo a descrivere.
Il primo dato importante da segnalare è che alcuni insegnanti sono letteralmente SCOMPARSI: Missing in Action, M.I.A., come si diceva dei soldati americani spartiti durante le missioni militari in Vietnam, magari prigionieri in qualche remoto e rustico carcere Vietcong.
I professori M.I.A. non si sono mai palesati né hanno fatto UNA SOLA LEZIONE ONLINE.
Nella classe di mio figlio, ci sono state ben due professoresse SCOMPARSE che si sono semplicemente limitate ad assegnare i compiti da svolgere a casa agli studenti, utilizzando il registro elettronico per comunicare ai ragazzi quali fossero i compiti in questione, registro elettronico sul quale le due professoresse peraltro elencavano diligentemente gli argomenti che NON avevano svolto durante le lezioni online che NON avevano fatto.
La doppia negazione non deve trarre in inganno. Le due insegnanti non facevano lezione, ma segnavano ugualmente sul registro elettronico gli argomenti che “in teoria” avevano svolto. Inutile dire che tutte e due hanno FINITO il programma, ovvero hanno segnato sul registro di classe tutti gli argomenti contenuti nei libri di testo.
Bisogna dire però tutta la triste verità: una delle due insegnanti (quella che “insegnava” Italiano e Storia) non avrebbe fatto di meglio in classe, perché la sua unica attività, quando era a scuola con i ragazzi, era di LEGGERE A VOCE ALTA LE PARTI DEL LIBRO DA SOTTOLINEARE, sulle quali avrebbe poi interrogato gli studenti.
Anche prima di inabissarsi nel vuoto della DAD, l’insegnante in questione non ha quindi MAI fatto una lezione, intesa come l’esposizione ragionata di un argomento di fronte a un gruppo di uditori, ma si è sempre e solo limitata a leggere a voce alta il libro di testo.
Gli altri quattro insegnanti sono invece apparsi – online, naturalmente – dopo un mese dalla sospensione delle lezioni. Con molta esitazione, hanno cominciato a fare qualche lezione, ma poi hanno immediatamente cominciato a interrogare gli studenti su argomenti che di fatto non erano stati svolti, oppure erano stati trattati molto male (viste le poche ore di lezioni fatte).
Ma il problema delle troppe ore dedicate a interrogare gli studenti (troppe rispetto a quelle dedicate all’insegnamento vero e proprio) era tale anche prima della didattica online. Bastava infatti dare un’occhiata veloce al registro elettronico per notare che alcuni insegnanti dedicavano un terzo o addirittura la metà delle ore curricolari alle interrogazioni, a detrimento del tempo che invece dovrebbe essere dedicato alla didattica.
Il registro di classe era punteggiato da innumerevoli voti, espressi in una varietà di colori diversi: quelli blu, per esempio, erano voti provvisori che dovevano essere sommati con altri voti blu per poi essere divisi per ricavarne quindi la media e diventare finalmente rossi (negativi) o verdi (positivi).
Anche durante la DAD ho notato quest’interesse ossessivo degli insegnanti per interrogare, valutare, misurare, eccetera, un apprendimento che di fatto non era sostenuto da un adeguato impegno didattico. L’eccesso di valutazioni mette tra l’altro i ragazzi nella condizione di pensare solo se hanno la media del 5,9 o del 7,1, dimenticandosi che la scuola dovrebbe servire a ben altro.
L’unica gloriosa eccezione, nella classe di mio figlio, è stata quella del professore di Informatica, che non solo ha fatto un discreto numero di lezioni durante il lockdown, ma ha somministrato solo un paio di verifiche scritte, senza perdere tempo prezioso per la didattica.
Il professore in questione era peraltro il più CARO e AMATO dai suoi studenti anche prima della pandemia. Niente di nuovo sotto il sole. Gli insegnanti (uno, nel caso di mio figlio) che avevano un buon rapporto con gli studenti, oltre che un forte senso etico, hanno continuato a darsi da fare anche durante la quarantena.
Gli altri invece hanno veleggiato a vista, senza cazzare la randa, e aspettando che un po’ di venticello li portasse alla fine dell’anno scolastico.
Ci sono stati anche dei lati positivi, ammettiamolo
Il fatto che la professoressa di Italiano e Storia non sia mai apparsa su uno schermo, durante la pandemia, per leggere con tono – immagino – tristo e monotono i paragrafi da sottolineare è stata sicuramente una fortuna per i ragazzi, che si sono ingegnati a studiare da soli il programma di Italiano e Storia.
Li sentivo, al di là della porta sempre chiusa delle stanze degli adolescenti, impegnati in lunghe sessioni online in cui ripetevano a voce alta le vicende della Seconda Guerra Mondiale, interrogandosi a vicenda, in un’encomiabile opera da autodidatti che mai la scuola sarebbe stata in grado di insegnargli.
Benvenuta quindi la pandemia, perché gli studenti hanno potuto sperimentare la Peer Education, seppure a distanza, in cui appunto si aiutavano tra di loro a IMPARARE. In questo caso, la scomparsa dell’insegnante ha avuto un effetto positivo.
Bisogna però riconoscere all’insegnante in questione di essere stata di manica larga con i voti, DATI IMMAGINO A CASO, sui compiti assegnati sul registro elettronico, e che i ragazzi dovevano inviarle per email.
NOTA BENE: l’insegnante non ha mai risposto alle email dei ragazzi, anche solo per segnalare che aveva letto i loro scritti, ma distribuiva i sei, sette e otto, secondo gli umori del momento o forse seguendo le serie storiche precedenti alla pandemia.
La seconda professoressa Missing in Action è invece riapparsa dieci giorni prima della fine della scuola per interrogare gli studenti sul programma che NON aveva svolto. Sul registro di classe bisognava far comparire qualche voto, e così è stato. Estratti a sorte dal pallottoliere o più probabilmente repliche di voti già dati nel primo quadrimestre.
Per favore, non generalizziamo!
Bene, immagino che a questo punto qualcuno potrebbe dire: “Ehi, ma gli insegnanti non sono tutti uguali! Ce ne sono di ottimi, anche se ogni tanto può capitare che ve ne sia qualcuno che, in genere per degli ottimi motivi, soffre di burn out e non ce la fa più!”.
Nel senso che dopo tanti anni di FATICOSO insegnamento, costui o costei si sono giustamente stancati di passare le loro giornate in mezzo ai barbari nostri figli.
E tanto meno hanno avuto voglia di buttarsi nella DAD, con tutti quegli ammennicoli tecnologici faticosi da usare.
Vero, verissimo! Così come vi sono sicuramente stati moltissimi insegnanti che invece hanno sostenuto i loro alunni durante la pandemia, dedicando molto tempo alle lezioni online, con uno sguardo empatico sugli adolescenti e sui bambini che all’improvviso si sono trovati da soli, chiusi nelle loro camerette.
Senza dimenticare che ci sono tantissimi professori italiani che hanno caricato le loro lezioni su YouTube, in tempi non sospetti, ben prima della pandemia. Lezioni utilissime per tutti, consultate anche da mio figlio, addirittura insieme ai suoi compagni di classe. I ragazzi usavano infatti una piattaforma da videogamer per guardare in contemporanea la stessa videolezione (su YouTube) e commentarla in diretta.
Insomma, se ci fosse da parte dei professori italiani la volontà di pubblicare sulle piattaforme tecnologiche della loro scuola o sullo stesso YouTube le loro lezioni, tutti ne gioiremmo. Gli studenti potrebbero riascoltarle ogni volta che vogliono. Sono benvenute le nuove modalità digitali che consentono di rinnovare la didattica.
I guai nascono quando dietro la parola DAD si nasconde la sostanziale scomparsa dei Lavoratori della Conoscenza, com’è successo nella scuola di mio figlio, un Istituto Tecnico di Milano, e come temo sia successo in molte altre scuole italiane, a giudicare dai racconti di altri genitori.
Qualche consiglio pratico
Se il destino a settembre, per qualsivoglia ragione, ci dovesse ancora riservare la DAD, il Ministero dell’Istruzione dovrebbe perlomeno mettere a punto qualche strumento di controllo sull’operato dei docenti.
Basterebbe anche solamente inserire una voce in più nel registro elettronico, chiamandola per esempio “Lezioni on line”, dove i docenti dovrebbero segnalare tutte le lezioni online che hanno svolto. Diventerebbe così possibile verificare con esattezza quante ore di lezione sono state effettivamente svolte.
Nel registro elettronico della scuola di mio figlio esiste invece un’unica voce, “Agenda di classe”, dove sono liberamente mescolati gli elenchi degli argomenti che le professoresse Missing in Action non hanno svolto, insieme agli avvisi che si sarebbe tenuta per davvero una lezione online. Il risultato finale è quello di una specie di minestrone dove non si distingue tra i diversi ingredienti, aggiunti un po’ alla rinfusa: lezioni vere (online) e lezioni finte (mai svolte).
Solo Sherlock Holmes riuscirebbe a capirci qualcosa del file Excel dell“Agenda di classe” che si può tuttora scaricare dal registro elettronico della classe di mio figlio, dove una delle due professoresse M.I.A. scriveva cose del tipo: “Compiti italiano Ripassare: Naturalismo e Verismo Verga: biografia (cenni), poetica e pensiero. Opere: Vita dei campi, I Malavoglia, Novelle rusticane. Testi: Rosso Malpelo, brani da Malavoglia ( vedere programma), La roba.”, mentre il più onesto professore di Informatica, che invece le lezioni le faceva, si limitava a un più semplice: “Videolezione INFO”.
Ma anche se finalmente riuscissimo a separare il grano dalla zizzania, grazie ad una voce sul registro elettronico dedicata solo al grano (le lezioni online), chi controllerebbe che le ore di lezioni svolte online siano tante quante quelle previste dal programma scolastico? Chi prenderebbe per le orecchie i docenti che hanno fatto meno ore di didattica online di quelle che avrebbero fatto se la scuola si fosse svolta “in presenza”, come si usa dire adesso?
L’insegnante responsabile del coordinamento dei professori che compongono la classe?
Non credo proprio, perché nel caso della classe di mio figlio, la coordinatrice era una delle due professoresse Missing in Action, e dubito molto che si sarebbe punita da sola.
I Dirigenti Scolastici, allora?
Forse sì, anche se dobbiamo ammettere che avrebbero potuto accorgersi che qualcosa non andava anche durante il lockdown, ma nessuna voce critica si è levata in Italia, se non appunto per contribuire al peana collettivo sulla bellezza della DAD.
Il Ministero dell’Istruzione?
Sicuramente sì, il Ministero potrebbe mettere in atto un sistema di ammonizioni e perchè no, licenziamenti, per i casi più gravi, sempre nel caso in cui tornassimo alla DAD, se gli insegnanti si autoriducono o addirittura cancellano tutte le ore di lezione previste
E i genitori degli studenti potrebbero avere anche loro voce sulla questione?
No, i genitori no, perchè ormai nei dibattiti sulla scuola che hanno infiocchettato le pagine della cultura sui giornali nazionali, i genitori sono considerati tra i peggiori responsabili (non ho ancora capito perchè…) dell’incombente disastro della nostra scuola, registrato con accuratezza dall’indagine PISA, acronimo di Programme for International Student Assessment, svolta dall’OCSE, l’ultima delle quali nel 2018.
La scuola italiana sta peggiorando
Copio dal rapporto dell’OCSE: “Nel 2018, l’Italia ha ottenuto un punteggio inferiore alla media OCSE in lettura e scienze e in linea con la media OCSE in matematica.
La prestazione media dell’Italia è diminuita, dopo il 2012, in lettura e in scienze, mentre si è mantenuta stabile (e al di sopra del livello osservato nel 2003 e 2006) in matematica.
Il rendimento in lettura è diminuito in particolare tra le ragazze (ed è rimasto stabile tra iragazzi).
Il rendimento in scienze è diminuito in modo più marcato tra gli studenti con i risultati più elevati, in misura simile sia per i ragazzi sia per le ragazze”.
Insomma, ci salviamo solo in Matematica, ma potrei annunciare altri cattivi risultati registrati dall’indagine PISA, come per esempio il fortissimo divario nelle abilità di lettura tra Licei e Istituti Tecnici e Professionali, e quello tra Nord e Sud dell’Italia.
Le ragioni di una tale decadenza sono molto complesse, e non è questa la sede per discuterne. Mi sembra però evidente che un altro anno di DAD o addirittura di “riduzione del tempo scuola”, come preannuncia Sinopoli, potrebbero essere il colpo ferale per il nostro sistema dell’istruzione.
Chiedo quindi ai Lavoratori della Conoscenza di mettersi una mano sul cuore e TORNARE IN CLASSE, il prossimo 14 settembre, a meno di novità drammatiche nell’andamento dell’epidemia, che dovessero di nuovo richiedere misure drastiche come quelle del passato lockdown.
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