Scuola
Consigli ai professori sulla valutazione (prima parte)
LA VALUTAZIONE SCOLASTICA: DEGLI ALUNNI O DEI PROFESSORI?
Riflessioni di un genitore su come dovrebbe cambiare la valutazione nella scuola italiana.
SETTE
Esistono paesi come la Norvegia, la Finlandia, la Svezia e la Danimarca che hanno abolito per legge la bocciatura fino ai sedici anni, se non in casi eccezionali, come succede appunto in Norvegia, dove si può bocciare un ragazzo solo se ha fatto una lunga serie di assenze o a fronte di lacune molto gravi nell’apprendimento (1). Bocciare comporta infatti dei costi, sia per lo stato che per le famiglie che devono mantenere i figli più a lungo. Non solo, in quei paesi, si considera la bocciatura un evento assolutamente da evitare, perché potrebbe comportare un abbandono scolastico.
In Norvegia, la bocciatura “eccezionale” viene decisa insieme a un team di psicologi e ai genitori. Si potrebbe ingiustamente dedurre che i professori norvegesi non valutano e non danno voti. In realtà, in Norvegia, gli insegnanti cominciano a dare i voti ai ragazzi quando entrano nella scuola secondaria superiore (a dodici, tredici anni). Prima di allora la valutazione ha solo una funzione formativa, per comunicare agli alunni come migliorare il loro rendimento scolastico (visto che i docenti sono costretti ad ammetterli comunque alla classe successiva). La valutazione perde cioè il suo potere di discriminare tra bocciati e promossi, sommersi e salvati, almeno fino a sedici anni, ma serve ad aiutare gli studenti a impegnarsi di più, a volercela mettere tutta per diventare più bravi, soprattutto se vogliono frequentare l’università.
Chi non sceglie infatti di iscriversi a una scuola professionalizzante, compiuti i sedici anni e concluso il ciclo uguale per tutti della scuola secondaria superiore, ma decide di proseguire gli studi, sa che la media dei voti conseguiti nel biennio successivo sarà utilissima per ottenere l’ammissione a facoltà difficili come medicina e ingegneria.
Ecco, cari professori italiani, immaginate di essere in Norvegia, spogliatevi del potere di scegliere fior da fiore i migliori dei vostri studenti, per poi liberarvi degli altri (quelli che vanno male) a colpi di quattro. Immaginate di doverli salvare tutti, restando al loro fianco, incoraggiandoli, spronandoli, perché, fino a sedici anni non li potete bocciare. Certo, siamo in Italia e non in Norvegia, e quindi voi potete bocciare i vostri studenti, ma evitate di farlo, PER FAVORE, la scelta è in mano vostra: salvateli!
Un ragazzo bocciato – in genere un simile evento è statisticamente più frequente nel biennio degli istituti tecnici e professionali – ha maggiori probabilità di lasciare la scuola. Aiutatelo invece ad andare avanti, non ascoltate chi vi dice che dovete essere inflessibili e severi: costui (mi riferisco al Ministro dell’Istruzione Valditara) non sta facendo gli interessi dell’Italia, anche se si proclama il più italiano di tutti.
E poi, ricordatevi, cari docenti, che nessun bambino e nessun ragazzo va male a scuola perché lo desidera. Chi non vorrebbe essere il vostro preferito, quello che lodate davanti a tutti perché ha fatto il compito migliore? Anche voi, cari maestri e cari professori, avete aspettative, simpatie e pregiudizi verso i vostri studenti: cercate per favore di metterli da parte. I ragazzi sanno riconoscere gli insegnanti a cui piace il loro lavoro e che hanno l’accortezza di trattare con delicatezza il fragile materiale umano loro affidato.
Non c’è bisogno di usare i voti come una clava: siate benevolenti e vedrete che i vostri studenti riconosceranno la vostra autorità quando gli dite che hanno fatto male un compito. E per favore non usate quei voti crudelissimi come due, tre, quattro o “gravemente insufficiente”, alle scuole primarie. Sono voti che demoralizzano e scoraggiano. Certo, se uno studente vi consegna un compito in bianco, bisognerà capire cosa c’è che non va. Perché non ha studiato niente? C’è qualcosa in famiglia che non va? Cosa gli sta succedendo? Insomma, dimostrate un po’ di empatia anche per gli “asini”: siano loro i vostri preferiti, quelli a cui vi dedicate con maggior vigore, perchè non lascino la scuola e rimangano nella vostra classe, insieme ai loro compagni.
Usate tecniche più creative per valutare i ragazzi, non fateli sedere di fianco alla cattedra a bisbigliare le risposte alle vostre domande, durante le interrogazioni, mentre nella classe tutti chiacchierano o si annoiano. Chiedete ai vostri ragazzi di dimostrarvi che padroneggiano un argomento che hanno studiato. Domandate ai bambini e ai ragazzi di esporre a voce alta e chiara, davanti a tutta la classe – che deve rimanere in silenzio! -, un ragionamento o una piccola tesi, di modo che tutti i vostri studenti si abituino a parlare davanti agli altri, senza paura, con chiarezza, come dovranno fare da adulti.
Sul lavoro nessuno ti interroga, ma se sai spiegare le tue idee, se le sai sostenere, saprai farti valere, saprai convincere, e non resterai tutta la vita all’ultimo banco. Se invece ti aspetta un lavoro in fabbrica, e sai parlare bene, ben consapevole di cosa vuoi dire, saprai far valere i tuoi diritti, saprai come chiedere un aumento di stipendio, riuscirai a convincere i tuoi colleghi a sostenerti quando ti batti anche per loro.
I nostri nonni Antichi Latini erano maestri di retorica, ovvero dell’arte di parlare in pubblico e di persuadere. Com’è possibile che i nostri figli non sappiano spiaccicare due parole di seguito con un po’ di sicurezza, mentre sono stati invece costretti a mandare a memoria quintali di date di storia? Orsù, cari docenti, incoraggiate i vostri allievi a diventare dei retori, non dei vasi vuoti dove riporre qualche nozione che verrà dimenticata in fretta, dopo averla sussurrata davanti a voi.
Diradate, per favore, tutte le attività esplicitamente rivolte alla valutazione (interrogazioni, compiti in classe, eccetera) perché tolgono tempo all’insegnamento e mettono i bambini e i ragazzi (e i loro genitori) in un continuo stato di allerta, anche grazie a quei maledetti registri elettronici. Credo che in realtà bastino un paio di valutazioni a quadrimestre, che sono pur sempre ventisei voti sul registro di classe nel biennio degli istituti tecnici. Non mettete quaranta voti a quadrimestre e non date un voto a tutto quello che fanno i vostri studenti: compiti a casa, compiti in classe, disegni, interrogazioni, ricerche, perchè neanche a voi piacerebbe essere continuamente valutati, come del resto (diciamo la verità) non piacerebbe a nessuno.
Siate parchi di voti, ma parlate con i vostri studenti, spiegategli cosa possono fare per migliorare, senza limitarvi a rimarcare che sono andati male in qualcuna delle vostre verifiche. Vi ricordo che esiste un docente che, d’accordo con i suoi colleghi, si è impegnato a seguire questo modus operandi, senza neanche il bisogno di chiedere particolari autorizzazioni al Ministero dell’Istruzione. Mi riferisco alla sezione sperimentale, “Sezione delle relazioni e della responsabilità”, del liceo Morgagni di Roma dove insegna il professor Enzo Arte, autore del libro “Crescere senza voti” (2).
Quella di Enzo Arte è una sezione sperimentale ma non fuorilegge, anzi è più che tollerata dal Ministero dell’Istruzione, e nessuno ha mai cercato di fermare la sua sperimentazione. I voti compaiono solo sulle pagelle, due volte all’anno, come faceva la mia rivoluzionaria maestra delle elementari. Nelle classi vengono usati strumenti didattici come l’insegnamento tra pari: il ragazzo che ha capito bene un argomento lo spiega ai suoi compagni. Agli studenti viene anche chiesto di autovalutarsi, ovvero devono capire da soli se hanno fatto un buon lavoro, se hanno studiato abbastanza un argomento, se gli piace il risultato a cui sono arrivati. Che poi è quello che devi fare all’università: ti senti pronto per dare un esame? Nessuno è così stupido da andare a fare scena muta. Ma anche sul lavoro è così: pensi di aver fatto un buon lavoro o c’è qualcosa che potresti migliorare? La risposta te la dovresti dare da solo, senza chiedere ogni volta al tuo capo. Altrimenti rimarrai fermo al punto in cui eri quando hai cominciato a lavorare.
La parola “autonomia” deve avere un valore positivo, anche a scuola. Purtroppo, non vi è nessuna autonomia degli studenti se non hanno la capacità di autovalutarsi: pensano di aver studiato abbastanza, potrebbero ancora migliorare? Uno studente “autonomo” non è pericoloso, ma è il miglior studente che dovrebbe uscire dalla scuola italiana.
(1) Sistema scolastico norvegese.
(2) Enzo Arte, Crescere senza voti, Mondadori, Milano, ottobre 2023.
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