5×1000 alla scuola: rubare ai poveri per lasciare tutti più poveri
Il Governo Renzi pare ami divertirsi al gatto col topo con il Nonprofit. Mentre si discute in Parlamento la riforma del Terzo Settore ecco che, dalle maglie strettissime della “discussione” sulla #buonascuola, esce un magnifico trappolone che rischia di sprofondare molte organizzazioni in una crisi paurosa. L’idea, perversamente geniale, è quella di finanziare il rilancio della scuola attraverso il 5×1000, facendone la nuova panacea di tutti i mali: dalla ristrutturazione edilizia all’acquisto della carta igienica, dalla cronica mancanza di pc, all’istituzione di laboratori e corsi extra curricolari.
“Ma come?” insorgono (per la verità un po’ tiepidamente) i rappresentanti delle organizzazioni di volontariato, delle associazioni di promozione sociale e delle Organizzazioni non Governative: “dopo anni di lotte, azioni di lobby, lettere aperte, campagna pubblicitarie, finalmente eravamo riusciti ad alzare il tetto assegnato dal Parlamento al 5×1000 fino a 500 milioni e ora, con un piccolo codicillo (l”articolo 15 del disegno di legge sulla riforma della scuola) improvvisamente ci ritroviamo, a parità di risorse disponibili, davanti al raddoppio della platea dei beneficiari?”
Proprio così, avete capito bene, perché con l’inserimento dei circa 46.000 istituti scolastici della penisola, i destinatari del 5×1000 passano come per magia da 50.000 (e dentro ci sono anche i Comuni!) a quasi 100.000!
Facciamo velocemente un calcolo: 500 milioni diviso 96.000… Fanno 5.208 euro a testa. Mmmmm… Già, ma come sappiamo la statistica in questi casi è ingannevole. Come insegna Trilussa, i polli per la statistica sono due, ma non è detto che siano equamente suddivisi. Però una qualche idea di come cambia lo scenario credo sia facile farsela: improvvisamente per il welfare privato (quello di sussidiarietà), già pesantemente colpito dalla riduzione dei contributi pubblici e ansimante sotto i colpi della crisi economica che riduce la disponibilità delle famiglie, anche la stampella del 5 per mille diventa sempre più traballante. Il rischio, come è evidente a tutti, è che molti servizi finiranno per essere e travolti: dall’assistenza ai disabili alla ricerca medica, dai servizi di pronto soccorso all’accompagnamento ai disabili, fino alla lotta e contrasto alla povertà o ai centri antiviolenza.
Detto allora che l’inserimento del 5×1000 non è una buona cosa per il Nonprofit italiano, lo è almeno per riuscire ad avere una Buona Scuola? Secondo me no e provo a elencare una serie di ragioni che mi vedono recisamente contrario.
La difesa della costituzione
Innanzitutto giova ricordare che l’istruzione, ai sensi dell’art. 34 della Costituzione Italiana, è obbligatoria e gratuita, per almeno 8 anni. In altre parole, fatta salva la scelta individuale di preferire un insegnamento privato a pagamento, le famiglie non dovrebbero essere chiamate a sganciare un euro in più per l’educazione dei propri figli. Questo significa anche che le infrastrutture e le loro riparazioni, i servizi minimi indispensabili (tra questi permettetemi di mettere la carta igienica), le dotazioni indispensabili all’esercizio dell’insegnamento (lavagne, computer, proiettori…) dovrebbero essere a carico della fiscalità generale senza essere piegate a logiche di scelta da parte dei contribuenti. È lo Stato (Governo, Parlamento, Enti locali) che deve scegliere la Scuola come priorità allocando le risorse necessarie perché la scuola sia finalmente una Buona Scuola! Noi cittadini dovremmo scegliere votando, non mettendo una crocetta sulla dichiarazione dei redditi nella speranza che anche altri lo abbiano fatto (e tanti), che nessuno abbia barato sui redditi dichiarati, che il Tesoro non ci metta 4 anni nelle procedure di verifica, conteggio, liquidazione ed erogazione è che, nel frattempo, con tipico gioco delle tre carte che abbiamo già vissuto, non sparisca per strada qualcosa di quei 500 milioni promessi.
Invece con la riforma accade esattamente il contrario acuendo, tra l’altro, la già forte disparità fa istituti scolastici proprio per il meccanismo stesso del 5×1000 che premia quegli enti che hanno non solo più sostenitori, ma anche sostenitori più abbienti e/o più rigorosi nello stilare la propria dichiarazione dei redditi.
Ma secondo voi, tra una scuola pubblica del quartiere Parioli a Roma o nella zona tra Conciliazione e Pagano a Milano e una ubicata a Scampia a Napoli, o nel quartiere Croci a Foggia, quale si avvantaggerà maggiormente del meccanismo del 5×1000? Alla faccia dei meccanismi perequativi delle diseguaglianze che la nostra Costituzione dovrebbe promuovere.
Il fundraising costa
Da cittadino a me basterebbero queste ragioni per dire no all’introduzione del 5×1000, ma si da il caso che sia anche un Fundraiser (potenzialmente interessato a un nuovo mercato sicuramente più gratificante di quello politico dal punto di vista umano) e che, a differenza di chi crede che raccogliere fondi sia solo il frutto di fortuna o buone conoscenze, ho imparato sul campo come il mio mestiere sia soprattutto (almeno nel lungo termine) frutto di strategia, posizionamento sul mercato (che nella scuola significherebbe diversificazione dell’offerta), capacità di coinvolgere i portatori di interesse, professionalità e… RISORSE DA INVESTIRE. Già, perché per raccogliere soldi bisogna investire altri soldi e, come spesso capita in questi casi, bisogna affrontare anche il rischio che l’investimento non produca i risultati attesi. Questo tipo di cultura, sia chiaro, è poco diffusa anche nel terzo settore, ma pensate che la scuola arrivi minimamente pronta alla sfida sempre ammesso, e non concesso, che sia giusto spingerla nell’agone per un 5×1000 dove dovrà scontrarsi con oltre 90.000 competitor agguerritissimi?
Lo spazio del fundraising a scuola
C’è uno spazio allora per il fundraising a scuola? Durante le mie testimonianze, smettendo per un attimo gli abiti del presunto esperto di marketing e comunicazione, insisto sempre sul valore etico del fundraising lì dove questo riesce a creare (e per questo ha successo) valori condivisi e senso di appartenenza. In questo senso ben venga, complice il coinvolgimento nelle attività di raccolta fondi, una maggiore partecipazione dei genitori e della comunità di riferimento alla vita scolastica. Abbiamo un gran bisogno che la scuola torni a essere centrale nelle nostre comunità e se questo può aiutare la scuola anche a garantire computer più potenti, corsi extrascolastici per aiutare i talenti dei nostri figli a esprimersi in tutto il loro potenziale e migliori servizi agli stessi genitori, ben venga. Ma non facciamo diventare la raccolta fondi la foglia di fico di un disimpegno dello Stato dal suo dovere di garantire il diritto universale all’istruzione gratuita: sarebbe la fine di un modello che, con tutti i suoi limiti, è il fondamento stesso delle democrazie europee.
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