Ci meritiamo un Giornalismo diverso
È sempre strano veder accostati due termini come “pandemia” e “positivo”, eppure, forse, qualcosa di buono proprio grazie al COVID19 sta emergendo nell'(e)lettorato medio.
L’anno che abbiamo passato ha visto un dilatarsi dei tempi che spendiamo per noi stessi all’interno delle mura domestiche: cresciuti gli ordini di mobili e oggettistica online, cresciute le ricerche su “come si fa il pane in casa” e “didattica a distanza”, cresciute le liti domestiche e la disoccupazione. In questo marasma di crescite più o meno edificanti, si è innestata nel frattempo in sordina una nuova consapevolezza di vecchi tempi, talmente crescente e condivisa da lasciare quasi meravigliati, abituati come siamo ai Social-battibecchi, agli scambi dialettici urlati di maggioranze e opposizioni, di destre e di sinistre, di Consob e di Ferragnez; datemi un parere e scatenerò un thread su Twitter, “no matter what”.
Eppure in queste settimane assistiamo ad un fenomeno che ha dell’incredibile: il fronte del lettore medio, con ritrovata lucidità, non impreca più contro l’avversario ma grida ai giornali “abbiamo bisogno di un giornalismo diverso“.
C’è chi sberleffa i titolisti di Repubblica, rei di carenze grammaticali nel continuare ad utilizzare le maiuscole dopo i due punti pur non essendoci le eccezioni necessarie per ammetterlo, e chi riprende severamente il Corriere della Sera quando ripropone (a sua detta per errore / a sentore dei lettori per sospetta strumentalizzazione volontaria) dichiarazioni vecchie di Brunetta spacciandole per attuali; sorte meno lodevole tocca all’Huffington Post, che copia/incollando le notizie del Corriere si becca dai lettori del “giornalaio, non giornalista” per non aver verificato le notizie di altri prima di ripubblicarle come sue.
Ma questa Rivoluzione Popolare contro la mancanza di Giornalismo Vero non invade solo le testate dei quotidiani: è di pochi giorni fa il magistrale silenziamento di Selvaggia Lucarelli ad opera di Margherita Fronte dopo una serie di considerazioni della prima sull’inconsistenza professionale della seconda, colpevole di non essere abbastanza conosciuta dalla prima per essere valutata come giornalista; lo scontro termina con l’accusata che porge sul tavolo dell’accusante una carriera ben più vasta, effettiva e lunga di quella della Lucarelli, con tanto di riprova Google (che comunque non è stata sufficiente all’accusante per riconoscere la collega, non avendola trovata nella tentata ricerca).
Virologi che pronosticano futuri personali contraddicendosi, titoli e titoli X che diventano Y in poche ore, notizie come quelle di Ronaldo che prende il suo jet privato eludendo il Lock Down per salvare il suo cane accanto alla conta dei morti; Zingaretti sì, Zingaretti no, Zingaretti che omaggia Barbara d’Urso, baluardo dell’inciviltà mediatica – anche lei un tempo giornalista, poi dimissionaria dall’Albo – inconciliabile con l’ideale di Cultura di Sinistra quanto le tende da campeggio accampate sotto i profili di Berlinguer; e poi ancora COVID e vaccini, COVID e vaccini, COVID e vaccini con modifiche DPCM. Parentesi di cronaca nera coi casi Benno/Fabbri e poi ancora COVID e vaccini… L’informazione necessaria è una, ma si trova il modo di condirla in Cinquanta Sfumature di Nulla. Eppure là fuori il mondo c’è ancora, le cose per cui vale la pena resistere e aspettare il meglio ci sono ancora, cose altre di cui sarebbe utile venire a conoscenza per capire il mondo un po’ di più e diventare anche noi un po’ migliori.
Come è possibile che si riescano a girare ore di programmi ripetendo all’infinito la stessa informazione, chiamando a contribuire sempre gli stessi ospiti? Se “il mio linguaggio è il limite del mio mondo”, le informazioni cui sono sottoposto quotidianamente e che entrano a far parte dei miei pensieri, che io le ricerchi volontariamente o meno, sono il limite della mia capacità di prospettiva. Per questo abbiamo bisogno di un giornalismo diverso: un giornalismo che non si limiti ad essere il pulpito prestigioso di una firma blasonata, ma che torni ad essere un fornitore di informazioni pure su cui poter sviluppare un pensiero critico autonomo; un giornalismo che sappia darsi un limite e sia più consapevole del peso che le informazioni hanno sulla mente e sulla quotidianità delle persone, delle loro azioni; un giornalismo più etico, che smetta di privilegiare i click e sappia discernere quel principio su cui si basa il Diritto dell’Informazione: il socialmente rilevante per terzi.
Abbiamo bisogno di un giornalismo responsabile che la smetta di giocare a chi è più letto in termini numerici e che invece aiuti il lettore e la società stessa ad essere partecipe e attiva selezionando e differenziando meglio la propria offerta.
Come (e)lettori, ci meritiamo un giornalismo diverso. O se non altro, ci meritiamo di essere risparmiati da certe castronerie.
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