Dopo tutta questa Resistenza non è detto ci aspetti la Liberazione
Mai come quest’anno il mio desiderio di celebrale il 25 aprile è forte. Non sarà un 25 aprile come tutti gli altri, sarà un Festa della Liberazione in una prigione senza sbarre, quella casalinga. Sarà una non Liberazione.
Il nostro 25 aprile davanti agli schermi, tendando di partecipare a qualche videoconferenza, alla ricerca dell’incontro, non sarà che una brutta copia delle feste collettive cui siamo abituati.
Il nostro 25 aprile in attesa della fase 2, con la bava alla bocca come il cane addomesticato davanti all’osso, che resta seduto, resiste inerme, sebbene vorrebbe strappare quell’osso con violenza dalle mani del padrone, è un 25 aprile di resistenza priva di successiva liberazione. Sì, perché dopo tutta questa resistenza, non è detto che ci aspetti una liberazione, tutt’altro.
Le strade si riempiranno di macchine, non saliremo sui mezzi pubblici per paura. Un’altra occasione per la svolta ecologista l’abbiamo persa.
Le strade si riempiranno di disoccupati o sottopagati, perché un piano per lo stabilirsi di condizioni dignitose sul lavoro non aleggia nell’aria, sebbene il confinamento casalingo ha fatto emergere e ha evidenziato le disuguaglianze che sussistono nella popolazione. Chi non ha diritti sul lavoro continuerà a non averne come prima. Le condizioni in quarantena sono state molto diverse tra persona e persona, non solo per le dimensioni dell’appartamento, ma soprattutto nella dimensione delle prospettive future: per alcuni non sono cambiate molto, per altri l’assenza di prospettive ha logorato ogni giorno di confinamento casalingo.
Le modalità di insegnamento nelle scuole non cambieranno, almeno fino a settembre e ne usciranno, in ogni caso, modificate, traumatizzate. Molti bambini saranno rimasti indietro, con possibili problemi di socializzazione. Due mesi per un bambino sono un tempo infinito. Mi ricordo bene che il tempo non aveva la stessa velocità del mondo adulto.
Le Università vuote sono degli spettri. Le Università senza incontro, confronto, pacche sulle spalle e mani alzate sono edifici insensati, una coltre di uffici e carte senz’anima.
Il mondo dello spettacolo è fermo. La sua brutta copia online non mi piace. Il tentativo di sopravvivere in altra veste potrebbe rivelarsi un colpo basso. Forse, una sua totale sospensione avrebbe generato una rinascita successiva. In momenti tali, l’ispirazione può essere più fertile, ma se non trova luoghi e mezzi per esprimersi, diviene frustrazione collettiva, delusione, mancanza di prospettive.
Infine, rivolgo il mio 25 aprile a coloro che in questi mesi hanno lavorato in ospedale, non per ringraziarli: hanno fatto il loro dovere, non sono eroi e lungi da me chiamarli tali. Mi rivolgo a loro perché hanno una responsabilità in più rispetto a noi che siamo rimasti a casa tentando di rimanere lucidi e spesso fallendo. La responsabilità di cui parlo è quella di pretendere (tramite ogni possibile canale, che sia politico, interno, ospedaliero, di piazza o semplicemente di oculate scelte elettorali) un sistema sanitario pubblico, nazionale, con più risorse, dotato dei mezzi e degli strumenti affinché non si debba più riproporre in futuro un lessico di guerra.
Buon 25 aprile!
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