Sanità
Di cosa abbiamo bisogno per sconfiggere il populismo dei No Vax
La corsa al vaccino
Non era mai successo, nella storia dell’umanità, che si riuscisse a produrre un vaccino in così poco tempo. La pandemia da SarsCoV2 si è diffusa nei primi giorni del 2020, nella regione cinese dell’Hubei e in particolare nella città di Wuhan. In qualche mese si è estesa a tutto il mondo: in assenza di cure e di vaccini gli Stati sono ricorsi a quelli che, in letteratura, sono definiti NPIs. Ovvero Interventi Non Farmaceutici: mascherine, distanziamento, restrizioni alla mobilità.
Queste misure sono risultate efficaci nel contrasto alla pandemia. Ma queste restrizioni hanno anche un costo. A partire dalla salute mentale: nonostante la situazione fosse già preoccupante- nonostante la difficoltà di misurare il fenomeno- la pandemia ha avuto effetti pesanti sul benessere psicologico delle persone. Non sappiamo ancora se saranno duraturi, nonostante le precedenti esperienze con l’epidemia di N1H1 ci confortino.
Le chiusure, inoltre, hanno avuto un impatto più forte sui più deboli, esacerbando le disuguaglianze già presenti nel nostro sistema. A partire dal lavoro domestico: la nostra economia si regge sul lavoro non retribuito svolto per la maggior parte dalle donne, che hanno subito un contraccolpo maggiore anche dal punto di vista dell’occupazione, diversamente da quanto successo con la crisi finanziaria della fine del decennio scorso. Anche le disuguaglianze economiche hanno giocato un ruolo fondamentale, tanto che i ricercatori hanno studiato in che modo rendere queste restrizioni più sopportabile per le persone meno abbienti.
Per questo gli stati, consci del costo ingente di queste necessarie misure per contenere la pandemia, hanno mobilitato le loro forze per sviluppare un vaccino in tempi brevi, collaborando con le aziende private.
Il ruolo dello Stato in questo è stato fondamentale. Non solo per gli investimenti pubblici nella prima fase- quella più incerta- ma anche perché, come hanno insegnato Nelson e Winter, l’innovazione è un processo cumulativo. Senza il lavoro decennale del NIH, il vaccino sarebbe stato tecnologicamente impossibile.
Lo sforzo congiunto di pubblico e privato ha permesso quindi di sviluppare non uno ma più vaccini- di diverse tipologie, da quelli a mRNA come Pfizer e Moderna a quelli a Vettore Virale.
Un problema persistente: i no vax
Da tempo ormai persiste il problema no vax, anche nel nostro paese. Durante la precedente legislatura, il governo Gentiloni approvò il cosiddetto decreto vaccini che rendeva obbligatori svariati vaccini per i minori di 16 anni. Dopo una fase di calma tra gli anni ’40 e gli anni ’80, i movimenti anti vaccinisti sono ricomparsi sulla scena. In particolare dopo l’articolo del 1998 di Wakefield: in questo articolo l’autore sosteneva una presunta correlazione tra i vaccini e l’autismo. Lo studio si è dimostrato debole e infondato nel corso degli anni.
I movimenti no vax sono stati supportati anche a livello politico. In un editoriale del The New York Times, il Movimento 5 Stelle venne accusato di aver sposato cause vicine ai no vax, in particolare attraverso le dichiarazioni del suo leader Beppe Grillo. Prima della sua sospensione, il profilo di Donald Trump su Twitter aveva funzionato da aggregatore per i no vax.
Non è un caso che la retorica dei no vax vada a braccetto con quello che, piuttosto impropriamente, abbiamo definito populismo: entrambi si basano su una retorica fortemente emotiva, su un forte senso di appartenenza e sfruttando i canali dei social media. I dati americani mostrano un legame ancora più forte tra questi due movimenti. Il GOP- un tempo il partito di Lincoln, Nixon e McCain- è stato fortemente influenzato dalla presidenza di Donald Trump. E non a caso sono proprio gli elettori GOP quelli più restii a vaccinarsi.
Entrambi i movimenti hanno rifiutato evidenze scientifiche in più campi, mostrando analogie con narrazione post moderna del “Non esistono fatti, ma solo interpretazioni”.
Questo in qualche modo è stato l’assunto su cui si è basato il contrasto ai no vax in Italia. Nel corso degli anni a polarizzare il dibattito ha giocato un ruolo cruciale Roberto Burioni. La strategia è stata quella di un attacco frontale, basato su una sorta di moderna rivisitazione dell’Ipse Dixit. La competenza del Dottor Burioni contro l’inconsistenza scientifica degli anti vaccinisti. Il problema, però, è ancora una volta un approccio semplicistico.
Innanzitutto è necessario distinguere tra No Vax, nel senso proprio del termine, e coloro che sono diffidenti. Mentre la retorica dei no vax- una percentuale comunque minoritaria, come vedremo dopo- è scarsamente scalfibile con argomentazioni logiche o appelli emotivi, quella dei diffidenti può essere invece trattata, riconoscendo alcuni dei fattori che concorrono alla diffidenza. Due sono quelli su cui è necessario agire, attraverso canali differenti: la contrapposizione naturale/chimico e la diffidenza nei confronti delle case farmaceutiche.
Nel primo caso, come hanno fatto notare Reich e Levinovitz sul The Washington Post, un ruolo fondamentale lo giocano i pediatri e i medici. Questo perché la diffidenza non viene da argomentazioni scientifiche: ogni cosa è, in qualche modo, chimica. Il medico invece gioca un ruolo di fiducia ed emotivo, incorporato nella società. Di certo l’importanza di amici e parenti nella formazione di un’opinione gioca un ruolo fondamentale. Ma la figura del medico non è da sottovalutare: il legame di fiducia sopra citato dà un ruolo importante nella diffusione di idee. Si tratta degli opinion leader, quelli che hanno più peso nei modelli di formazione del consenso (un esempio è il modello di De Groot, in cui il medico o il pediatra avrebbe quindi un valore più elevato nella matrice di transizione).
Il secondo, invece, è ben più complesso. Perché effettivamente la diffidenza nei confronti delle case farmaceutiche, seppur per motivi diversi, è giustificata: in questi anni, come ha scritto abbondantemente Mariana Mazzucato, le case farmaceutiche hanno fatto affidamento su un sistema ultrafinanziarizzato. Si prenda, ad esempio, il tentativo d’acquisto di Astrazeneca da parte di Pfizer. Gli interessi privati ancora oggi giocano un ruolo fondamentale, come dimostra la questione dei brevetti. Un tema di vitale importanza, come ha sostenuto Andrea Roventini, in particolare per aumentare la capacità di produzione dei vaccini e per i paesi meno sviluppati.
Quanto aiuterebbe, nella lotta per convincere i diffidenti, un atteggiamento più deciso da parte degli Stati nel contrastare l’approccio ultra finanziario delle case farmaceutiche? A questa domanda, oggi, non è dato rispondere.
Ma i no vax sono davvero così tanti?
Il fenomeno dei No Vax, comunque, è altamente sovrastimato dai media. Uno sguardo ai dati ridimensionerebbe il fenomeno. Il progetto Response Covid 19 ha come obiettivo quello di monitorare la situazione dell’opinione pubblica nei confronti del vaccino. Le indagini sono state svolte in tre periodi: nell’estate del 2020, quando ancora non era stato annunciato il vaccino; nell’inverno del 2020 in cui il vaccino era stato annunciato ma non ancora somministrato; nella primavera del 2021.
I risultati mostrano come da dicembre 2020 sia cresciuta, dal 60% all’80%, la disponibilità a vaccinarsi. In particolare si nota, anche a seguito delle somministrazioni, un calo di coloro che avevamo definito scettici nei confronti dei vaccini. I contrari alla vaccinazione infatti passano dal 12% al 5%. Non solo: coloro che sono contrari al vaccino in generale rappresentano solo il 2%. Gli scettici sono preoccupati, in particolare, degli effetti collaterali del vaccino.
Si tratta quindi di una sparuta minoranza, quella dello zoccolo duro dei no vax. Per le altre persone una campagna di informazione circa i rischi sarebbe necessaria.
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