Sanità
Sulla Sma va avanti la ricerca vera
E’ stata una delle malattie che sono finite in prima pagina durante la vicenda Stamina. Davide Vannoni e i suoi sostenevano di poter curare l’atrofia muscolare spinale, soprattutto nella sua forma più grave, la Sma 1, quella che colpisce i bambini fino a due anni di età. I familiari dei bambini affetti da questa grave malattia, per la quale non c’è cura, si sono divisi. In pochi hanno creduto a Vannoni. La stragrande maggioranza, invece, delle circa duemila famiglie coinvolte hanno persistito nella via di una guarigione attraverso la ricerca. E grazie a questo atteggiamento, che ha voluto dire campagne di comunicazione, di raccolte fondi (200 mila euro per la sola sperimentazione) oggi possono dire che anche l’Italia è coinvolta nel tentativo di trovare una cura per la Sma. Con due studi partiti a novembre dello scorso anno.
Quello in fase avanzata si chiama Isis, un acronimo scientifico. Per Isis siamo alla fase tre: il farmaco, che ha dunque passato sia la verifica in laboratorio che sui modelli animali, ora verrà somministrato ai malati. E per Isis si tratterà dei più piccoli, quelli che hanno le forme più gravi di Sma.
I risultati preliminari hanno evidenziato l’assenza di effetti collaterali significativi si è osservato un aumento della funzione (la capacità compiere azioni e muoversi di un malato di Sma, ndr).
Il secondo studio, a cura di Roche si chiama Moonfish. Obiettivo: creare un farmaco che modifichi il gene malato dei pazienti di tre tipologie di Sma.
“Finalmente dopo tanti anni di studi preclinici su modelli animali – dichiara il neuropsichiatra infantile a capo del gruppo di ricerca italiano, il professor Eugenio Mercuri del Policlinico Gemelli di Roma,- si sta compiendo il grande salto, quello di poter valutare l’efficacia di alcuni composti promettenti nei bambini e adulti affetti da SMA, seguendo dei rigorosi protocolli di ricerca. Questa possibilità, che fino a pochi anni fa sembrava solo un sogno lontano, è stata anche resa possibile dal continuo lavoro di collaborazione tra i Centri italiani e stranieri, che ha permesso all’Italia di entrare in questi studi fin dalle prime fasi”.
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