Sanità
SALUTE SPA, in un libro le insidie della sanità integrativa
Nel capitolo del cosiddetto welfare contrattuale la parte del leone finora l’hanno fatta i fondi pensione. Ma i tagli alla sanità pubblica e la contrattazione nazionale spingono sempre più i lavoratori nelle braccia anche della sanità integrativa. Di questo e più in generale dell’assalto delle assicurazioni alla sanità parliamo con Massimo Quezel e Francesco Carraro, autori di un volume sull’argomento appena uscito in libreria.
Lo chiamano ‘welfare contrattuale’: previdenza e sanità integrative, ma anche altri pacchetti di prestazioni e servizi offerti da fondi di categoria e compagnie assicurative ai lavoratori di un’area contrattuale, talvolta di una singola azienda o di un territorio come effetto della contrattazione nazionale o aziendale e sempre più spesso sotto forma di salario indiretto. Facciamo un esempio: l’azienda paga il premio di produzione facendo un versamento al fondo pensioni di categoria e così facendo risparmia sul costo del lavoro perché beneficia di esenzioni e agevolazioni fiscali, le assicurazioni entrano in un mercato che finora stenta a decollare, il sindacato si trasforma progressivamente in sindacato dei servizi e gestore del welfare, ricavandone i relativi benefici, ma il lavoratore che sempre più spesso viene iscritto forzosamente a un fondo previdenziale o sanitario attraverso la cosiddetta ‘adesione contrattuale’ cosa ne ricava? Per quanto riguarda la previdenza integrativa si può affermare che se alcune fasce di lavoro dipendente potrebbero ricavarne un piccolo utile economico, in generale non vale la candela (cfr Fondi pensione e nuovo welfare: affare o trappola?).
L’uscita del volume Salute Spa. La sanità svenduta alle assicurazioni. Il racconto di due insider (Chiarelettere), in libreria dal 13 settembre, è l’occasione per approfondire invece il capitolo relativo ai fondi sanitari di categoria. Ne parliamo con gli autori Massimo Quezel e Francesco Carraro, i due insider appunto (il primo è patrocinatore stragiudiziale, il secondo avvocato).
Secondo la CGIL gli iscritti ai fondi sanitari contrattuali in Italia sono oltre 6 milioni, mentre si arriva a più di 9 milioni se si considerano anche fondi extracontrattuali: ne esistono di vari tipi – aziendali, territoriali ecc. Sempre secondo la CGIL, che cita uno studio del 2016, questi fondi sottraggono circa 18 miliardi miliardi all’erario, rispettivamente 15,5 attraverso le agevolazioni fiscali di cui beneficiano le prestazione intermediate e 2,6 come effetto del pagamento delle prestazioni alla sanità privata invece che al SSN. Denaro – sottolinea Quezel – che se andasse a finire nella fiscalità generale e al SSN potrebbe contribuire ad avere una sanità pubblica migliore per tutti.
Potete completare il quadro coi vostri dati?
In Italia la spesa sanitaria ammonta a circa 150 miliardi l’anno. Di questi 113 miliardi rappresentano la quota pubblica e il resto, 37 miliardi, la quota privata. Di tutta la spesa sanitaria privata in Italia solo il 12%-13% viene intermediata da fondi e assicurazioni, il resto è il cosiddetto out of pocket, cioè il cittadino va nella struttura privata e paga la prestazione di tasca sua. Una cifra molto bassa rispetto non solo come gli USA, dove siamo al 76% di spesa intermediata, ma anche alla Francia, dove siamo al 65% e alla Germania, dove siamo al 43%. Quindi ci troviamo anche in questo caso, come con la previdenza, in un settore che stenta a decollare. La contrattazione – come sottolineate voi – è uno degli strumenti con cui si cerca di porre rimedio. Nel libro parliamo del contratto integrativo di Poste Italiane, che incentiva i dipendenti a iscriversi a un fondo sanitario integrativo.
Possiamo dire anche che alla riduzione del finanziamento alla sanità pubblica corrisponde una crescita della sanità privata?
Assolutamente sì. Tanto più che in Italia i dati sul finanziamento alla sanità pubblica sono clamorosi. Mentre dal 2000 al 2008, quindi prima della crisi finanziaria, il finanziamento alla sanità pubblica era cresciuto del 14%, negli 8 anni successivi la spesa è aumentata solo dello 0,6%. Invece la spesa in sanità privata nel quinquennio 2013-2017 è cresciuta del 9,3%. Il risultato è stato sottolineato qualche giorno fa dal Ministro della Salute Giulia Grillo e cioè che la quota di spesa sanitaria che il cittadino è costretto a pagare di tasca sua è ormai giunta al 25%. Mentre gli studi ci dicono che quando si supera il 15% c’è il rischio che la gente finisca per non curarsi, che poi è proprio quello che sta succedendo.
Come funzionano i contratti tra il fondo e l’assicurazione e quanto costano, cioè quanta parte di ciò che versa l’iscritto va all’assicurazione?
Uno dei problemi da prendere in considerazione rispetto alla sanità integrativa è quanto essa si comporta da fondo e quanto da assicurazione. Perché un’assicurazione ha una vocazione al business, è una società di capitali che opera per fare profitto, mentre un fondo dovrebbe avere una vocazione di carattere mutualistico. Secondo alcune fonti in Italia il rapporto tra fondi e assicurazioni è 50-50, ma secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità siamo a un 65% di spesa sanitaria intermediata da polizze assicurative. Poi per capire quanta parte di ciò che versa un lavoratore va a finire in profitto della compagnia assicurativa bisognerebbe chiederlo alla compagni assicurativa ed esaminare il singolo caso. Io ho trovato fonti che parlavano di un 40%, una percentuale alta. Ma ovviamente bisognerebbe fare un’indagine accurata.
Per quanto riguarda la previdenza integrativa Beppe Scienza, docente all’Università di Torino ed esperto in materia, dice che in generale non conviene, ma entrando nel dettaglio conviene a chi guadagna di più e ha più anzianità. Nel caso dei fondi sanitari avete fatto delle simulazioni?
In base a tutte le interviste che abbiamo fatto possiamo dire che in termini di spesa per il cittadino la scelta migliore è sempre il pubblico. Il privato ti può dare di più sulle prestazioni di contorno, ad esempio sul servizio, sulla qualità delle stanze ecc. In Veneto il governatore Zaia ad esempio ha introdotto una pratica interessante, cioè il cittadino riceve la prestazione e nel certificato di dimissione viene informato di quanto è costata al SSN, anche se lui non la paga. D’altra parte il problema è che la scelta spesso non è libera. Nelle interviste che abbiamo fatto la chiave di volta è la visita specialistica o l’esame diagnostico. Nel pubblico sono le liste di attesa che speso spingono il cittadino verso la struttura privata.
Poi c’è la copertura che varia e copre di più quanto più si spende, giusto? Ci segnalano casi in cui il rimborso viene negato senza dare spiegazioni. Come difendersi? Ci sono molti contenziosi?
Contenziosi ce ne sono parecchi e spesso capita anche che una prestazione non venga rimborsata perché non è previsto dal contratto o perché c’è una franchigia al di sotto della quale non c’è rimborso. L’impressione che spesso emerge dalle interviste è che i contratti voluminosissimi possano essere studiati proprio per prestarsi alle eccezioni. La soluzione potrebbe essere quella di introdurre un tipo di contratto per cui vengono rimborsate tutte le prestazioni tranne quelle che sono espressamente escluse.
Passiamo a un bilancio più generale. Nel libro voi dite sostanzialmente che le assicurazioni stano cercando di uscire dal mercato dalle polizze RC fatte alla sanità pubblica, che non sono più remunerative, a quello della sanità integrativa per i singoli cittadini.
Sì, in alcuni documenti ufficiali delle assicurazioni è scritto espressamente che il mercato delle polizze con cui le strutture pubbliche si coprono dal rischio di eventuali errori non è più redditizio, perché i cittadini sono più attenti ai propri diritti e i giudici sono più sensibili ai diritti dei pazienti, per cui alla fine i risarcimenti che le compagnie sono costrette a pagare sono bassi rispetto ai premi che incassano dalla sanità pubblica. In altre parole quello – dicono le assicurazioni – è un mercato che sta andando fuori controllo, un po’ come i derivati. Ma la questione centrale che affrontiamo nel libro è che nel momento in cui i professionisti del rischio si apprestano a uscire da questo mercato, la sanità pubblica invece, che non ha alcuna competenza in materia, ci entra con l’introduzione della pratica dell’autoassicurazione.
Potete spiegarvi meglio?
L’anno scorso il Parlamento ha approvato a larghissima maggioranza, con l’astensione di Lega e M5S, una legge con primo firmatario il deputato del PD Federico Gelli, che permette alle singole strutture pubbliche di scegliere se stipulare una polizza oppure ‘autoassicurarsi’ e risarcire direttamente eventuali danni. E’ come se tu dicessi a un automobilista che può decidere di non pagare più la RC auto. Significa risparmiare molti soldi, ma se poi provochi un incidente? Noi abbiamo chiesto a un gruppo di esperti di statistica di fare una proiezione che riguarda la Regione Toscana, la prima che ha scelto di adottare l’autoassicurazione. Abbiamo chiesto loro di calcolare quanto potrebbe pagare la sanità toscana una volta che essa vada a regime. Il risultato è che pagherebbe circa 80 milioni di euro l’anno di indenizzi, invece di premi assicurativi per 52 milioni l’anno.
Avete toccato l’argomento della politica, che nel vostro libro ne esce male e appare completamente subalterna al potere delle assicurazioni, a prescindere dal colore di chi sta al governo.
Se ti leggi la normativa in materia RC auto e sanità dal 2000 a oggi potrai constatare che ogni atto legislativo approvato in questo lasso di tempo non ha fatto altro che ridurre i diritti dei cittadini a tutto beneficio delle compagnie assicurative.
Quali sono le compagnie che controllano il mercato della sanità integrativa?
Le due maggiori compagnie sono quelle di Generali e Unipol, che stipulano polizze rispettivamente per circa 600 e 550 milioni di euro l’anno.
C’è però un problema di malasanità.
Sì, ma è un circolo vizioso alimentato dalla politica. Io taglio i fondi alla sanità pubblica, così le prestazioni peggiorano e a quel punto io, invece di investire di più per invertire la tendenza, taglio ulteriormente e spingo i cittadini nella braccia delle assicurazioni. E’ vero – come sottolineano i centri studi della assicurazioni – che c’è una massa di italiani, l’equivalente di un partito politico del 25%-30%, che è insoddisfatta o persino arrabbiata nei confronti della sanità pubblica. Detto questo ci sono due soluzioni: una è quella di affidarsi alle compagnie assicurative, l’altra, che è alla base del nostro libro, è quella di tornare a investire sul pubblico per avere una sanità migliore accessibile a tutti.
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