Sanità
Perché, anche se i vaccini funzionano bene, dobbiamo tracciare le varianti
Da inizio giugno il Regno Unito sta assistendo a un incremento dei casi giornalieri, dovuto alla diffusione della variante Delta. Oltre a un R0 maggiore, compreso tra 5 e 6, questa nuova variante sembra essere mostrare un incremento nel secondary attack rate e un aumento del 60% rispetto alla household transmission. Non solo: i vaccini sembrano avere, dopo una dose, un calo dell’efficienza. Questo ha messo in allerta le autorità, che l’hanno subito classificata come VOC.
Nel nostro paese, come rileva l’ultimo rapporto dell’ISS, la prevalenza della Variante Delta sarebbe all’incirca dell’1%. Ma, proprio in virtù di una maggior R0, potrebbe presto diventare prevalente. Negli Stati Uniti il tempo di raddoppio è di 7-10 giorni.
Anche in Russia i casi ricominciano a salire. Per far fronte a questo nuovo aumento, il sindaco di Mosca ha imposto il ritorno del lavoro da remoto.
Una situazione simile in Sud Africa, dove però solo l’1% della popolazione è stato vaccinato.
La situazione italiana, tra vaccini e stagionalità
Giusto qualche giorno fa, è emerso un caso di variante delta nel nostro paese. Il focolaio è stato ricondotto a una palestra. Uno dei contagiati avrebbe già effettuato le due dosi di vaccino. Probabilmente la variante Delta è già ampliamente diffusa nel nostro paese. A falsare, però, il numero dei nuovi contagi potrebbe essere la strategia di testing accoppiata con l’effetto delle vaccinazioni. Poiché i vaccini agiscono sulla prevenzione della malattia sintomatica, il sistema di testing implementato dal nostro paese potrebbe di fatto perdere di vista un notevole numero di contagiati. Gli asintomatici infatti non vengono, solitamente, testati. Soltanto in particolari condizioni, come contatti diretti et similia. Questo, come ipotizza il ricercatore Luca Ferretti, potrebbe in qualche modo falsare i numeri. Si tratta di un problema già affrontato più volta nel corso di quest’ultimo anno. Una strategia di testing troppo incentrata sui casi sintomatici porta a una visione distorta del contagio. In un primo momento, ad esempio, si pensava che i giovani non si contagiassero. Questo però era dovuto al fatto che, durante la prima fase, i tamponi erano effettuati soltanto per forme sintomatiche, spesso gravi o post mortem. Paesi come la Corea del Sud, il cui campione era invece più rappresentativo, mostravano che in realtà non solo i giovani si contagiano, ma in virtù di maggiori interazioni sociali, tendono a contagiarsi di più.
Questa dinamica della pandemia, che scorre silenziosa per mesi, è uno degli aspetti più pericolosi, come fatto notare da Alessandro Vespignani. E, nonostante l’entusiasmo di molti, la stagionalità non è abbastanza per bloccare la diffusione del virus. Questo era già chiaro l’estate scorsa: paesi simili a noi come la Spagna hanno visto un aumento dei casi considerevole già nel mese di agosto. Il flesso che ha portato i numeri a salire fino alla seconda ondata, nel nostro paese, è avvenuto nella metà di agosto.
Ma anche la strategia di testing non basta.
Dopo la scoperta fortuita della variante Alpha, l’NHS ha cominciato una massiccia campagna di sequenziamento per studiare la distribuzione delle varianti e una loro eventuale comparsa in UK. Anche esperti più ottimisti, come Bassetti, spingono per questa strategia.
Ci troviamo in una situazione, per ora, propizia. Il numero di casi è in discesa e l’indicatore più affidabile, il tasso di positività, è abbastanza basso da permettere un tracing ottimale. Con una campagna di testing e di sequenziamento il problema della variante delta potrebbe essere stroncato sul nascere.
Le dichiarazioni di Mario Draghi a margine del G7, però, non fanno ben sperare. Il presidente del Consiglio ha infatti dichiarato che si prenderà in considerazione la quarantena per chi arriva dal Regno Unito soltanto quando i casi aumenteranno. Questa strategia del tergiversare si è già rivelata fallimentare in passato, vista la natura esponenziale del contagio e il ritardo con cui vediamo i positivi.
Ci sono però due buone notizie, entrambe sul fronte vaccini.
La prima è che il nostro paese ha vaccinato prevalentemente con Pfizer, un vaccino a mRNA più efficace contro la variante Delta rispetto ai vaccini a vettore virale. Come mostra il grafico sotto, le dosi inoculate di Pfizer sono quasi 30 milioni.
La seconda, come ha fatto notare Lorenzo Ruffino su Youtrend, è che proprio grazie ai vaccini questa ondata, qualora dovesse arrivare, sarà comunque meno letale.
Quali conseguenze economiche?
L’eventualità di una quarta ondata nel periodo estivo rappresenta una grave minaccia all’economia italiana. Il turismo da solo contribuisce al 6% del PIL italiano, come certifica Pagella Politica su dati ISTAT. Ma il peso dell’intero indotto, che comprende anche attività di bar e ristorazione, arriva a pesare il 13%.
Qualora dovessero venire a mancare i turisti inglesi, scrive la Coldiretti, i costi sarebbero stimati attorno al miliardo e tre. Ma è necessario prendere cum grano salis questa cifra, proprio perché si tratta di dati estremamente difficili da raccogliere e stime alquanto approssimate.
Non solo: se è vero che il contributo dei turisti inglesi è vitale per molte attività, una situazione fuori controllo dal punto di vista epidemiologico avrebbe conseguenze di enorme portata sull’economia italiana. Qualora la variante delta dovesse diffondersi nel nostro paese nei mesi estivi, questo significherebbe un clima di diffidenza da parte dei turisti che quindi opterebbero per altre mete. A ciò si deve aggiungere che difficilmente le restrizioni sortirebbero l’effetto voluto, perché le persone non le rispetterebbero: sia per via della calura estiva che renderebbe insopportabile restare in casa sia per il ridotto numero di morti.
L’unica strategia che rimane al nostro paese, quindi, è quella della sorveglianza attiva.
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