Sanità

I giorni dell’abbandono

25 Aprile 2020

Ormai è ufficiale: il particolato atmosferico fa da vettore al virus.

Ma è anche nelle lacrime o in piccolissime tracce nell’acqua, nell’aria inquinata o in quella degli ambienti chiusi, nelle goccioline di saliva, quelle più minuscole dell’aerosol e poi sulle maniglie delle porte, sui tasti dei bancomat o degli ascensori e infine sulle dita delle mani fino al contagio.

Ma poi chi sono i malati? Gli asintomatici? I falsi negativi, quelli col siero positivo ma con risposte anticorpali bassissime o addirittura i defunti con tamponi negativi?

Chi potrebbe gestire una sistema sanitario in grado di contrastare una situazione così complessa?

Sicuramente qualcuno che abbia almeno due requisiti fondamentali: preparazione e visione.

Regione Lombardia, che ha in carico il suo sistema sanitario, ha mostrato di non averne nessuno dei due.

Abituati all’agone politico, come generali improvvisati che mettendosi in testa uno scolapasta iniziano a dare ordini, i vertici di Regione Lombardia sono parsi spaventati, insicuri e addirittura infastiditi.

Abituati al mondo della rivalsa e della strategia politica si sono ritrovati un avversario smisuratamente immenso, e sia chiaro, non è che altri politici avrebbero potuto garantire risultati diversi.

La classe dirigente del paese si è formata nelle aziende (adesso arriva Colao), magari surfando  beghe legali o districandosi tra uffici stampa conditi da eminenze grigie non proprio eminenti.

Un evento che viene paragonato a una guerra e che si configura nei termini di medicina delle catastrofi, trova comunque una classe dirigente che della guerra o delle catastrofi non può ovviamente averne memoria ma che, forse, dovrebbe averne cultura.

Insomma chi comanda non ne ha nè la storia nè la stoffa, la preparazione tecnica non serve senza quella culturale e in definitiva, il virus si vince prima culturalmente che scientificamente.

Ci sono state settimane nelle province ormai note, in cui le persone malate sono state abbandonate a se stesse, senza che nessuno le potesse visitare a domicilio, solo una telefonata in cui si consigliava di prendere tachipirina e la raccomandazione di chiamare il 112 in caso di insufficienza respiratoria.

Un viaggio che ha cambiato per sempre la vita di chi, in quel terrore calmo, si è fatto la promessa di non dimenticare e quindi, di non ricominciare la stessa vita.

I giorni dell’abbandono scrivono una sentenza prima che una storia.

Se chi ha coordinato questa emergenza ha dimostrato di non saper fare molte cose che adesso sappia farne almeno una: chiedere scusa.

 

 

 

 

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