Sanità
Fare, uguale
La sanità è sicuramente il capitolo di spesa più importante nel bilancio della Regione Lombardia: circa 20,3 miliardi di euro (tra spesa sanitaria e socio-sanitaria) su un totale di 23,8, cioè più dei quattro quinti.
Per questo, il punto fondamentale su cui valutare un candidato Presidente è il suo programma su questo tema: quali sono le linee di indirizzo secondo le quali intende gestire una massa di denaro così ingente?
Sotto la guida dei governi regionali di destra (in particolare con la riforma del 1997 dell’allora giunta Formigoni e con le successive) la Lombardia ha sviluppato per prima un modello peculiare, basato sulla libertà di scelta e sulla sussidiarietà, nel quale la Regione paga (in uguale modo) i servizi sanitari erogati da aziende ospedaliere indifferentemente pubbliche o private accreditate.
Da allora abbiamo assistito (nella nostra regione come in altre) a due effetti deleteri: da un lato l’aziendalizzazione degli ospedali pubblici, gestiti con logica manageriale, che ha permesso di conseguire una maggiore efficienza economica per sostenere la concorrenza del privato, ma ha visto peggiorare altri aspetti fondamentali (i ritmi e i carichi di lavoro degli operatori, la qualità di alcune funzioni esternalizzate); dall’altro il proliferare di cliniche private (in alcuni casi-limite rapacemente interessate al business della salute) e la nascita di grandi gruppi che tendono a monopolizzare il “mercato” dell’offerta sanitaria.
Di recente, l’introduzione di nuove prestazioni nei LEA (Livelli Essenziali delle Prestazioni) stabiliti dal Ministero della Salute unita ai tagli nei trasferimenti alle Regioni ha messo in crisi la tradizionale efficienza della sanità lombarda, causando l’allungamento delle liste d’attesa e il sovraccarico per alcune strutture e perciò obbligando i pazienti a pagare di tasca propria; infine, la riforma della cronicità voluta dalla giunta Maroni ha ampliato ulteriormente il ruolo del privato nell’assistenza ai pazienti più fragili. L’impressione è che si stia puntando a una progressiva privatizzazione della sanità: gli ospedali pubblici vengono accorpati, chiusi o ridimensionati e i rimborsi per le prestazioni specialistiche si riducono mentre, dall’altro lato, si incoraggiano i cittadini e le imprese a sottoscrivere assicurazioni sanitarie, avvicinando così il “modello lombardo” a quello americano.
Per chi, come me, pensa che questa deriva vada assolutamente fermata è una vera doccia fredda leggere il programma di Giorgio Gori, il più quotato competitore del candidato di destra Fontana: per quanto riguarda il rapporto tra pubblico e privato nella sanità regionale e l’indirizzo sull’assistenza integrativa, l’intenzione è di assoluta continuità con quanto fatto finora:
“Il sistema sanitario in Lombardia ha un settore ospedaliero pubblico di grande qualità, ma siamo in presenza anche di un settore privato che è fatto da grandi gruppi (…) Il dibattito quindi qui oggi non può essere quello di mettere in discussione la presenza di erogatori privati ed il loro peso percentuale, ma la regione deve saper programmare l’offerta sanitaria (…) e deve inoltre saper scegliere chi offre la migliore qualità ed efficacia nell’erogazione: pubblico e privato devono poter fare ciò sanno fare meglio e, soprattutto, nella misura in cui le loro prestazioni davvero servono ai loro pazienti”. Le proposte sono quindi: “ Definizione nella programmazione annuale di obiettivi e risultati comuni, da inserire nei contratti assegnati a tutte le strutture del sistema sociosanitario regionale, con il principale scopo di stabilire una sinergia fra pubblico e privato evitando duplicazioni inutili e costose. Estendere le iniziative di “welfare aziendale” volte alla assistenza sanitaria integrativa che si stanno sempre più diffondendo, attraverso strumenti di credito contributivo ai cittadini e incentivi alle imprese.”
Dal mio punto di vista, la salute è un bene individuale e collettivo assolutamente fondamentale, garantito dalla nostra Costituzione; affidarla a chi, legittimamente, si propone il fine di realizzare profitti comporta il rischio di snaturare il servizio pubblico. Per questo va mantenuto un equilibrio che passa necessariamente da un investimento nella sanità pubblica, sia in termini infrastrutturali che di risorse umane e dalla rinuncia alla progressiva sostituzione del welfare “di Stato” con quello aziendale, come si legge nel programma della lista Liberi e Uguali:
“Serve un forte rilancio del finanziamento della salute e dell’assistenza sanitaria, per riallineare progressivamente la spesa sanitaria pubblica italiana alla media dei paesi dell’Europa occidentale e garantire investimenti pubblici per il rinnovamento tecnologico e l’edilizia sanitaria, da finanziare con 5 miliardi in 5 anni. È necessario inoltre porre un freno alla diffusione delle polizze sanitarie nei contratti integrativi, attraverso regole più precise e/o evitando di sostenerla con la fiscalità generale che rischia altrimenti di portare progressivamente ad un indebolimento del sistema pubblico. Vogliamo mettere in campo un piano triennale di rafforzamento del personale dipendente, che passi anche per la riduzione del lavoro precario, delle collaborazioni esterne e dell’appalto di servizi.”
Sono due impostazioni profondamente diverse, entrambe legittime; l’importante è che ai cittadini lombardi che il 4 marzo eleggeranno il prossimo Presidente della loro Regione sia chiaro chi ha intenzione di cambiare rotta e chi invece intende proseguire sul cammino già tracciato.
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