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#Coronavirus. Stato di Emergenza vs Stato di Polizia

2 Aprile 2020

Abbiamo accettato di derogare ai diritti più scontati e a libertà fondamentali. Abbiamo subìto misure restrittive, spesso arbitrarie (il limite di 200 mt per l’attività motoria, il divieto di “ora d’aria” per i bambini) non sempre coerenti con l’obiettivo di arginare il rischio epidemiologico, né necessariamente efficaci (nel raggio di 200 mt da casa posso essere più esposta al contatto sociale di quanto non lo sarei spostandomi 1 chilometro più in là, in un’area vuota). Ma abbiamo accolto queste coercizioni anche irrazionali, che come fine dovrebbero avere il “distanziamento fisico” tra le persone non la repressione, per paura e per senso di responsabilità.

Questa inedita condizione esistenziale pandemica non ci trova preparati né come individui né come comunità – e dobbiamo ancora capire che forma dare allo spazio democratico che in questo momento appare come sospeso.
In Ungheria, in nome dell’emergenza è stata abrogata la democrazia. In Italia abbiamo per il momento sospeso “solo” la libertà di movimento e “solo” il diritto di accesso agli atti pubblici garantito da una legge dello Stato, il Foia. Non è poco e non è ancora tutto.

In stato di emergenza si prendono decisioni rapide, si bypassano verifiche e controlli. Le responsabilità e i poteri sono accentrati nelle mani di pochi. La trasparenza degli atti è necessaria come non mai. L’unico modo per prevenire e scongiurare truffe, abusi, vessazioni da parte del potere; l’unico modo per tutelare i diritti e le libertà fondamentali dei cittadini è la possibilità, in Stato di Emergenza, di conoscere. Se viene meno la possibilità di conoscenza e scritinio pubblico, viene meno anche lo Stato di Diritto che è quello che fa la differenza tra la Democrazia e l’autoritarismo plebiscitario di Orbàn.

In nome del diritto alla salute di ciascuno di noi, siamo disposti ad accettare anche di essere tracciati in modalità digitale, attraverso l’amico-spia che portiamo sempre con noi, lo smartphone. Una invasione della nostra più intima dimensione privata altrimenti possibile solo sotto responsabilità della magistratura. Eppure siamo in attesa della nuova app governativa per avere – forse – la speranza di uscire più rapidamente da questo stato di reclusione, che da emergenza promette di diventare una nuova condizione di esistenza. Se dobbiamo conviverci a lungo, la soluzione non può però essere la reclusione permanente né il controllo totale generalizzato.

Siamo disposti a cedere enormi spazi di libertà perché non ci sembra nemmeno esserci partita tra diritto alla salute e diritto alla privacy. Facebook, Google ecc non ci consentono più da tempo di considerare la riservatezza della nostra sfera intima ed il controllo delle informazioni sensibili, beni ancora disponibili. Non avrebbe alcun senso curarsene ora, in emergenza epidemia, visto che oltretutto i dati che cederemmo attraverso una app di tracciamento sanitario non andrebbero ad arricchire una multinazionale monopolista globale ma a beneficio non-economico della comunità scientifica e delle autorità sanitarie impegnate sul fronte della guerra al virus.

In mano alle autorità vanno i dati sulla salute incrociati con gli spostamenti, i contatti sociali, la carta di credito, le celle telefoniche, le telecamere di sorveglianza, i wifi, ed è come avere un poliziotto alle calcagna h24 che riprende tutto e annota tutto, compresi gli stati d’animo e la temperatura corporea, senza che si possa accedere, controllare, rettificare, cancellare quelle informazioni che, in Stato di Emergenza, sono invece a piena disposizione del potere costituito in deroga a quell’intralcio che sono i diritti civili e umani. Il potere costituito quelle informazioni può usarle contro noi stessi. La questione quindi non è affatto salute vs privacy, è Stato di Emergenza vs Stato di Polizia.

I dati che vengono devoluti per l’emergenza Covid-19 attraverso una app – qualunque essa sia – devono rispettare i principi costitutivi dello Stato di Diritto: essere raccolti, trattati e protetti solo dalle autorità riconosciute, solo per un tempo limitato alla durata dell’emergenza, solo con la protezione delle garanzie democratiche, solo nel rispetto dei Diritti umani.

Se così non fosse quei dati potrebbero essere conservati, il tracciamento potrebbe continuare anche fuori dall’emergenza (o in uno stato di emergenza permanente) e potrebbero essere usati non a fini di prevenzione del contagio ma per scopi di polizia. Ad esempio per “beccare” un trasgressore che corre all’alba oltre i 200 metri da casa e sanzionarlo o magari esporlo alla pubblica gogna, come avviene in Cina.

Le principali organizzazioni internazionali per i Diritti Umani – tra queste Article 19, Privacy International, European Digital Rights (EDRi) – hanno fatto appello agli stati perché la tecnologia dello Stato di Emergenza non sia impiegata per sovvertire lo Stato di Diritto. Leggetelo e, come si dice in questi casi, fate girare!

Europa, governi nazionali e governi locali si stanno però muovendo in maniera scoordinata e caotica, moltiplicando le app e i centri di raccolta dati. Questo è pericoloso. La Regione Lombardia – che come sempre primeggia – ha già aggiornato al Covid-19 la app della Protezione Civile per raccogliere informazioni sanitarie sensibili dei cittadini attraverso un questionario. Apparentemente innocua, la app promette addirittura l’anonimizzazione dei dati personali. Non si esclude però in futuro di integrarla anche con la funzionalità di tracciamento. In tal caso si scoprirebbe che l’utente che ha formulato il questionario “anonimo” non era anonimo per niente. Di lui però intanto la Regione sa di tutto, di più: sa troppo.

La migliore garanzia per tutti noi è che questi sistemi di tracciamento sanitario digitale siano sottratti ai poteri locali, vengano sviluppati a livello europeo e sottoposti ad un’autorità che ne garantisca univocamente il monitoraggio, il controllo e il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini.

Non caschiamo nella trappola – sempre la stessa – di cui la ragione autoritaria dissemina la via delle buone intenzioni. Lo scambio non è tra salute e privacy: è tra diritti umani e potere, tra democrazia e stato di polizia.

@kuliscioff

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