Sanità

Coronavirus, gli slogan e i lenzuoli ai balcone non cancellano la paura

14 Marzo 2020

I prossimi 10 giorni, secondo quanto è stato comunicato ieri dal commissario alla sanità dell’Emilia-Romagna, Sergio Venturi, saranno i peggiori da quando l’epidemia coronavirus ha stravolto la nostra vita.
I numeri dell’evoluzione sono impietosi. Il virus attacca tutti, colpendo in maniera più pesante le persone anziane, senza risparmiare dalle conseguenza gravi in taluni casi i giovani. Una malattia che è stata sottovalutata in un primo momento dal Governo e da molti amministori locali che sbeffeggiavano superficialmente chi parlava di una tragedia in arrivo.
Tutti noi oggi abbiamo la consapevolezza della battaglia che ci aspetta, consapevoli che difficilmente prima dell’estate l’Italia si sarà liberata di questa pandemia.
Sappiamo che il solo modo per contenere la diffusione del virus è limitare quanto più possibile i rapporti interpersonali ravvicinati e che quindi è fondamentale restare in casa limitando allo stretto necessario gli incontri con altre persone.

In questo contesto chi è in prima linea, penso in modo particolare alle persone che si stanno occupando degli ammalati soprattutto quelli gravi, ospedalizzati, ha tutta la nostra riconoscenza. Come sempre l’hanno quei medici e quegli infermieri che si prendono cura di noi e dei nostri cari nei momenti più delicati della vita. Persone che svolgono quotidianamente, tutto l’anno, da sempre, un lavoro che molti considerano una missione, imprescindibile per la vita il benessere e la serenità di tutti.

È per questo, per la  riconoscenza che naturalmente rivolgiamo a questi lavoratori, che trovo in qualche modo fuori luogo e stonate le lenzuolate ai balconi accompagnate dal canto dell’Inno nazionale, peggio ancora le cosiddette tammurriate viste in queste ore. Capisco la voglia di evasione e di essere ugualmente comunità, ma non ci servono i tamburelli, canti o balli dai balconi, per alleggerire, fintamente, questo tragico momento. Non sono un tamburello o una cantata collettiva che servono ora alle persone in prima linea nel contrasto al coronavirus. Servono invece la nostra consapevolezza piena del problema, serve che ognuno di noi metta in pratica le istruzioni operative che ci sono state consegnate, serve un senso civico, smarrito, che forse terminata quest’emergenza, potrà farci ritrovare come una comunità vera e solidale.
Serve mantenere la lucidità, cosa credo non facile perché anche il solo rimanere chiusi in casa è un esercizio che mette a dura prova i nostri equilibri.
E servono, soprattutto, subito più posti in rianimazione e attrezzature mediche, respiratori, per tentare di salvare tutte le vite colpite dalla malattia. Per evitare che nessun medico sia costretto ad arrendersi di fronte ad una vita da salvare.

Appaiono quindi superflui tutti gli slogan vuoti, in alcuni casi suggeriti in modo omologato anche ai bambini, tra i primi a subire il sacrificio dello stare in casa. I bimbi sì, viceversa, potrebbero offrire visioni diverse, libere, frutto dei loro pensieri e lontane dagli schemi. Perchè autoconvincersi che questo male verrà debellato con un tamburellare tra una lenzuolata e l’altra è impresa sterile.
‘Andrà tutto bene’, ‘Ce la faremo’ si legge sulle finestre dei nostri terrazzi, cartelli che le stesse amministrazioni locali invitano ad appendere. Sì, certo che ce la faremo, come sempre è accaduto a tutti i popoli nella storia. E certo non è semplice ottimismo, è realtà. Ma come e quando ce la faremo è tutto da vedere. Dipende, come detto, da che tipo di reazione emergenziale saremo in grado di mettere in campo in termini di posti letto e di strutture per la terapia intensiva. E poi che ripercussioni avranno i provvedimenti economici adottati per il coronavirus lo vedremo. Un paese, il nostro già fortemente indebitato e in crisi, per quanto tempo potrà permettersi questa situazione?

Non è il tempo per le polemiche, vero. Ma le pur comprensibili manifestazioni collettive a distanza non possono lenire la paura trasmessa dall’appello, per esempio, del commissario Venturi, con il richiamo all’Università di diplomare più infermieri il più velocemente possibile per arruolarli in corsia. Così come l’appello rivolto ai medici in pensione a tornare temporaneamente a lavoro per far fronte a questa emergenza. Fa rabbia pensare che siamo 69esimo posto nel mondo per il rapporto tra numero di abitanti e numero di posti letto in terapia intensiva. E di fronte questi numeri non vi è nulla di cui andare orgogliosi e cantare ai balconi. Tanti amministratori nel corso degli anni hanno continuato a risparmiare tagliando sulla sanità pubblica e oggi queste sono le conseguenze.

Oggi non possiamo far altro che pensare all’emergenza e l’unico appello che instancabilmente deve essere rivolto – ripetiamolo – ad ognuno di noi è quello di evitare con i nostri comportamenti personali il propagarsi del virus. Ricordiamoci, anche per questo, tutte le persone che stanno garantendo che le settimane di pandemia che stiamo vivendo non cancellino 1000 anni di civiltà. Abbiamo citato i medici e gli operatori sanitari, ma un pensiero va a tutte le categorie di lavoratori che oggi sono costrette a lavorare. A partire dalle forze dell’ordine, polizia, carabinieri, polizia locale, vigili del fuoco… A coloro che lavorano nelle farmacie, nei supermercati, nei punti vendita rimasti aperti e agli operai delle fabbriche in attività. E un pensiero particolare agli autotrasportatori, che pur spesso in mancanza di protezioni personali, continuano quotidianamente a garantire gli approvvigionamenti dagli ospedali ai supermercati, dai distributori di carburante alle farmacie.

Avevamo dimenticato quanto siamo fragili di fronte alle malattie e alla vita stessa e, forse, con umiltà, è questa consapevolezza, questo preghiera laica o religiosa, il guardare a Dio per chi crede, che può aiutarci, senza trombette e maschere di cartapesta, a vivere uno dei momenti più difficili della storia della nostra comunità.

Cinzia Franchini

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