Salute mentale

Psicopolitica: le previsioni ondivaghe dell’elettorato

23 Agosto 2019

Ho vissuto per tanti anni una situazione politica nella quale esistevano due blocchi partitici ben differenziati, comunisti e democristiani, correlati alla minacciosa contrapposizione internazionale Est-Ovest, nella quale la differenziazione di appartenenza di classe e di robusto substrato ideologico era ben marcata. Poi qualche altro partitino, in cerca di residui di potere, ondeggiava qua e là, per accaparrarsi le briciole del suddetto potere.

Poi tutto è cambiato. Possiamo quindi costruire un paradigma semplicistico storico che parte dalle innovazioni scientifiche, queste confluiscono nella produttività tecnologica che infine si allargano a dismisura nella distribuzione economica sociale. Lo so che le anime belle si offendono e vedono le trasformazioni sociali sotto l’incalzare delle “idee”, ovvero le ideologie, ma basterebbe prendere in mano il nostro telefonino (chi ne è sprovvisto?) per accorgersi che questo come molteplici altri aggeggi micro o macrodimensionati, sono i feticci animistici dell’impatto esplosivo di trasformazioni scienti-tecno-economiche.

Ma cosa c’entra questo con la prevedibilità elettorale dei popoli (che in questa ora contingente appare interessante per il Popolo italiano)? C’entra perché tale impatto violento, immediato e caotico, aggiunge delle variabili eterogenee ai tentativi di modelli esplicativi e, soprattutto predittivi, dei comportamenti sociali. Qualsiasi metodologo della scienza sa che per cercare di costruire un modello di prevedibilità, bisogna depurare, dall’impianto causale, tutte le variabili eterogenee, cioè non si possono contare insieme le pere con le mele, a meno di attribuirle ad una classe superiore, quella dei frutti, perdendo così le informazioni di ogni specie. Per questo nelle scienze “esatte” ci sono i laboratori dove ci si sforza di diminuire al massimo le variabili eterogenee, estranee. Ma noi, poveri cultori delle scienze “umane”(o sociali, ecc.ecc.) non abbiamo laboratori né microscopi, né reagenti o simili. Abbiamo solo i comportamenti (anche il linguaggio è un comportamento), che presuppongono degli atteggiamenti (consci, semiconsci, sfuggevoli, inconsci ecc.ecc.). Ora se ci attardiamo a cercare di costruire risposte predittive sui comportamenti futuri, sia pure quelli che sembrano estremamente semplificati come mettere una croce sul simbolo di una scheda elettorale, ci imbattiamo in una serie di ostacoli metodologici che farebbero paura anche ai solerti astronomi che cercano di capire dove vanno a finire le onde gravitazionali nei terribili “buchi neri”. E questo perché abbiamo strumenti superficiali, tipo i sondaggi che sono il massimo di quanto sono a disposizione. Oddio come psicoanalista posso anche dire che dopo una decina di anni di analisi abbiamo molte più informazioni al riguardo, ma ovviamente a questo riguardo siamo solo a livello di pochade. Forse la prospettiva si realizzerà in un futuro nel quale sondaggi e sedute analitiche saranno superate da aggeggi elettronici che ci daranno in tempo reale la ricostruzione e la fissazione in efficaci algoritmi di quanto la nostra massa informe e gelatinosa dei neuroni, instancabilmente (finché siamo vivi) produce.

In questa desolante panorama attuale vorrei però avanzare una modesta riflessione, approssimativamente esplicativa, su quella che possiamo definire in termini di volatilità dei comportamenti politici. Cioè ogni ideologia partitica fa leva su quello che viene definito lo zoccolo duro degli aderenti più o meno impegnati. Si tratta di “tifoserie” che possono dare anche la vita (non sto scherzando) per le proprie idee politiche e quindi per i comportamenti conseguenti. Noi “psico” nella nostra infinita cattiveria, pensiamo che un oggetto interno abbia ottenuto una supremazia assoluta sugli altri oggetti (sempre psichici ovviamente) che costituiscono l’interna costellazione degli atteggiamenti, caotica e fluida, che quotidianamente ci hanno colonizzato. Questo avviene per la fervida adesione politica, come per le tifoserie, per le religioni, per la fissazione sul volto delle persone amate e simili.

Costoro certo non è che si occupano solo di politica, ovviamente amano, possono avere sentimenti religiosi o simili, gioire o soffrire per la loro squadra di calcio o essere totalmente prese o presi da come sia meglio fare il risotto con i funghi. Ma quello che contraddistingue questi zoccoli duri è la continuità della loro passione e la fedeltà che magari con qualche scivolata può durare nel tempo. Sono in genere degli onnivori di dibattiti televisivi, di news televisive e sui social, di titoli e articoli della carta stampata, di dibattiti personali appassionati con altri che possono trasformarsi anche in risse da Far West. Ma, probabilmente non costituiscono la maggior parte degli elettori probabili. Questi altri e cioè quelli per i quali l’oggetto “politico” non è così dominante, hanno un’economia psichica più bilanciata dalle varie facce dell’impatto della loro vita reale. Non li sto elogiando in quanto esempi di una genuinità alla Rousseau, che vale come i personaggi di Paolo Villaggio. La politica, per fortuna o purtroppo, decide dei destini di tutti e in modo fondamentale e veramente costitutivo dell’esistenza. Il problema è che questa grande maggioranza silenziosa è poco “convertibile” o fluttuante sulla base di stimoli contingenti che sanno suscitare reazioni difensive magari per pericoli inesistenti, come se i radar della Difesa aerea decodificassero uno stormo di uccelli migratori come un potenziale attacco nemico,facendo così scattare le contromisure. Per questo l’unica modalità che sembra avere un poco di affidabilità è quella di somministrare loro stimoli di forte e semplificato contenuto emotivo. Ma che non perdureranno nei loro effetti, ricomponendo una predisposizione, anche questa labile, a qualcosa di nuovo,poiché il loro appetito è insaziabile. E si tratta della maggior parte dei potenziali votanti…

 

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