Salute mentale
Povero e nudo vai Ateneo
Proviamo a fare un po’ di conti. Dunque, l’Italia è già fanalino di coda in un’Europa che richiede innovazione e sperimentazione, anche nei settori tradizionalmente umanistici ma che invece affrontano sfide importanti come l’utilizzo delle moderne tecnologie applicate ad esempio all’archeologia o allo studio dello sviluppo delle lingue. Alla ricerca scientifica nel 2011 veniva accreditato un 1.25% del Pil, contro una media europea stimata al 2% e ipotizzata al 3% in previsione al 2020 (Alberto Magnani – Il Sole 24 Ore, Più ricerca, più crescita, 24 febbraio 2014) contro il 2.9% della Germania, 2.25 della Francia e 1.78 dell’Inghilterra.
L’ipotesi lanciata da LeU di abolire le tasse agli studenti universitari non allevia questa criticità anzi contribuisce ad aggravarla. Il mancato introito, previsto attorno a 1.6 mld , contribuirebbe a ridurre ulteriormente i fondi disponibili nelle Università per il cui funzionamento il Fondo Finanziamento Ordinario (F.F.O.) stanziato del MIUR non basterebbe più. Di prassi e soprattutto per legge, il contributo versato dagli studenti non dovrebbe superare il 20% della dotazione FFO ministeriale. Di fatto ogni Ateneo utilizza il meccanismo della indipendenza e autonomia finanziaria e statuale, agendo sulle tasse studentesche per limitare il proprio deficit. Naturalmente che si sforasse il su citato 20% era quasi la prassi per molti Atene, ma nella spending review del governo Monti era contenuta una norma che scorporava dall’ammontare quello relativo ai fuoricorso, su cui l’Ateneo poteva applicare tassazioni extra. Con questo meccanismo si manteneva la rigidità di bilancio con la flessibilità a carico degli studenti fuori corso.
I conteggi effettuati ( vedi articolo di Maria Russo su Universita.it del 4.11.2013) indicano che “le tasse universitarie hanno subito un aumento medio del 63 per cento in dieci anni (dal 2003 al 2012), facendo passare l’ammontare totale della contribuzione studentesca da 1,2 a quasi 2,1 miliardi di euro”.
Ben oltre dunque dal 1.6 mld invocato dal LLeu (Leader di Leu).
Inimmaginabile dunque che gli Atenei possano con una ancora più brusca contrazione degli introiti mantenere il livello standard di didattica e ricerca.
Ancora più difficile la situazione per i Dipartimenti di Medicina e Chirurgia. Ogni Ateneo in regime di convenzione, secondo la Legge Bindi –Zecchino L.517/1999, gode di crediti vantati sull’Azienda Ospedaliera Universitaria di riferimento, cifre in genere consistenti, spesso utilizzate per il funzionamento dei laboratori, e quanto la ricerca richiede per il suo standard di esercizio. Nella pag. 37 del Bilancio di Esercizio 2016 detto credito dell’Azienda Ospedaliera (di diretta emanazione dell’Assessorato Regionale Sanità) è così espresso:
“Crediti verso AO < 12 m 2.495.348,49 1.602.411,65 -892.936,84”
La prima cifra è il credito 2015 la seconda il credito contabilizzato al 2016. Come si vede, è un‘elevata domanda finanziaria che potrebbe ulteriormente crescere con l’ablazione delle tasse agli studenti di Medicina. Sarebbe inevitabile un aumento del disavanzo dei Dipartimenti Medici che a loro volta per mantenere gli standard di didattica e ricerca non possono che far leva sull’Azienda Ospedaliera per compensare il deficit o su Aziende esterne, a scapito della indipendenza della ricerca.
L’ipotesi di LeU presenta dunque più ombre e incognite di quante luci possano illuminare lo splendido percorso marxista di questa compagine
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