Salute mentale
Omicidio fidanzati Mestre: il desiderio oscuro e la vittima ridotta a oggetto
Un omicidio studiato attentamente. Tuttavia, si sa, le cose non vanno sempre come da programma. Per cui l’assassino è stato preso subito. Ma intanto due persone sono morte. Parliamo del duplice delitto di Mestre: un professore di inglese, Stefano Perale, 50 anni, avrebbe invitato a cena la sua ex allieva ed ex innamorata Anastasia Shakurova, trentenne, e il di lei attuale fidanzato Biagio Buonomo, 31, li avrebbe drogati, avrebbe violentato e filmato lei in pose oscene per poi strangolarla, mentre avrebbe cercato di soffocare e poi ucciso a martellate Buonomo. Lei era incinta di cinque mesi.
I particolari dell’orrore di questa storia sono ancora tutti da scrivere, perché non è ancora sicuro che Perale abbia commesso la violenza su Shakurova prima o dopo averla ammazzata.
Una storia di una violenza apparentemente incomprensibile. Abbiamo cercato di capire insieme a Marco Montanari, esperto in psicologia dello sviluppo e nuove tecnologie presso l’Università la Sapienza, attualmente iscritto al Cipa di Roma (la prestigiosa e antica scuola italiana di psicoterapia ad indirizzo junghiano), cosa è scattato nella testa del professore.
Partiamo dall’inizio: perché la coppia ha sentito di accettare l’invito a cena dell’ex di lei? È possibile che una delle ragioni fosse il mito di dover restare in buoni rapporti con l’ex? Nessuno dei due ha riflettuto sull’opportunità di un incontro simile?
Dalle indagini non è ancora chiaro se davvero ci sia stata una relazione vera e propria tra Perale e Shakurova. Sembra piuttosto un’ossessione del professore verso di lei, che non si capisce neanche bene quanto fosse stata dichiarata. Appare quindi un caso di una persona più adulta e in posizione di potere/prestigio che si “innamora” di una giovinetta che era stata strutturalmente dipendente da lui in quanto studentessa.
Ho usato il termine “innamorato” ma è del tutto fuori luogo in quanto esclude tutta una serie di attributi importanti dell’innamoramento in sé. In effetti siamo di fronte a un’ossessione simile a quella dei tanti stalker che seguono la vittima perché “innamorati” salvo poi ucciderla. Il professore del nostro caso di cronaca, forte della sua posizione, non ha auto neanche bisogno di uscire da casa: come un ragno nella tana ha attratto le sue vittime.
La coppia poteva prevedere tutto? Non trattandosi di un ex ma, piuttosto, di un professore che, chissà, proponeva loro di aiutarli, sembra difficile ipotizzare tutto questo, soprattutto perché questo genere di persone (l’omicida intendo) spesso cela abilmente tale aspetto maniacale e sembra invece essere la persona più amabile e disponibile possibile.
Colpisce anche la violenza a cui Perale ha sottoposto la donna: l’ha stuprata, non si sa ancora se prima o dopo averla uccisa. Ma l’ha pure filmata in pose oscene. È un tentativo di dileggiarla?
Sicuramente l’atto è completamente fine a se stesso: non c’è desiderio di dileggiare perché l’altro non esiste. La violenza è più un atto atavitico di possesso, di “prendere” dalla donna tutto quello che ha: la gioia, la vita, la speranza. Anche il fotografare, il rendere brutto quello che è bello, fa parte di tutto questo. Il colpevole di queste azioni a volte ha una bassa autostima, ha desideri oscuri che lui stesso ritiene ripugnanti. Però ne è schiavo, e il fare cose ripugnanti abbassa l’oggetto desiderato al proprio livello. Ripeto, qui non c’è più la presenza di una donna con nome, cognome e una storia personale. Qui c’è un oggetto che riflette qualcosa dell’omicida, che nella sua malattia vuole raggiungere tale oggetto negatogli dalla donna con nome, cognome e storia personale. Faccio notare ancora come sia stato lo stesso omicida a chiamare la polizia: non ha provato a a scappare, a postare su facebook quello che aveva fatto, a negarsi. Una volta compiuta la cerimonia, tutto il resto si è rivelato inutile.
Questo delitto non è il solito femminicidio perché l’assassino ha sentito di dover uccidere anche il nuovo partner di lei: nonostante la campagna di sensibilizzazione c’è ancora tanto da fare per prevenire casi come questi?
Stiamo parlando di un’ossessione verso una ragazza che rappresenta altro da sé: cosa può vedere un cinquantenne che vive solo in un quartiere di periferia in una trentenne che sta costruendo la sua vita, che sembra avere un progetto, una prospettiva? L’omicidio sembra quasi un atto di rabbia, di rifiuto della felicità altrui, una reazione al grigiore della propria vita in senso distruttivo. Il compagno di lei è l’avversario ma non solo, è il sé che Perale sarebbe potuto essere.
La sensibilizzazione può poco in questi casi perché stiamo davanti a situazioni malate che necessiterebbero di supporto specializzato per prevenire queste tragedie.
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