Salute mentale

L’oggetto cattivo Coronavirus vince sull’oggetto buono (prospettiva kleiniana)

3 Aprile 2020

Una delle due donne (l’altra era la figlia Anna Freud), che divennero le maggiori eredi di Freud fu Melania Klein (nella Psicoanalisi abbiamo un evidente esempio, così ancora raro altrove, di parità di genere). Rispetto all’ideologia “edonistica” e “falllocratica”del fondatore essa rivendicò il ruolo fondamentale del rapporto bambino-madre nei primi mesi di vita, nella ineluttabile situazione dell’allattamento.

Sul piano ideologico questa prospettiva apriva, rispetto alla durezza anche cinica di Freud, la possibilità di una ipoteca affettiva come determinante dello sviluppo caratteriale. I suoi seguaci (Winnicot, Bion) si affrettarono ad impadronirsi dell’aspetto moralistico di tale visione, enfatizzando al massimo il ruolo dell’affetto e del contenimento protettivo nello sviluppo umano. Cioè con “il vogliamoci bene” come panacea universale (con qualche problema rispetto alle esplosioni d’odio e di violenza che anche tuttora coprono il mondo e la sua storia).

Ma non voglio parlare qui dell’assembramento ideologico che, come fatto sociologico, investe qualsiasi contenuto di pensiero, scientifico, non scientifico, aulico o quotidiano. Mi interessa solo applicare il paradigma di base kleiniano del seno “buono” e del seno “cattivo” al contesto attuale, intossicato e pervaso dalla reale diffusione del Coronavirus.

La M.Klein prospetta l’ipotesi che data l’assoluta preminenza del rapporto precoce essenziale di allattamento (ma anche di altri fattori di contatto fisico) tra la madre e il bambino, quest’ultimo si costruisce un’immagine esterna di un mondo legato a ciò che è “buono” (il seno che allatta, che gratifica) e ciò che è”cattivo” (il seno che nel momento della fame non c’è, che si nega). E qui può apparire una consapevolezza confusa che dietro ai “due”seni” ci sia un’intenzionalità, positiva o negativa.

Questo impianto di base del pensiero diventa poi lo schema di classificazione del buono e del cattivo al quale andrà incontro il suo sviluppo. Quando nella realtà la negatività, la distruttività, la violenza, tende a prevalere e a diffondersi, il nostro schema di riferimento è quello primitivo, e cioè l’oggetto cattivo prevale su quello buono con tutte le conseguenze psicologiche di tipo depressivo o paranoide-reattivo o di allontanamento maniacale che ne conseguono. In altri termini ciò che è reale scatena ciò che è psichicamente finora represso. C’è una collusione tra i fatti e i nostri meccanismi interni. E potremmo anche definire che questi ultimi sono dei “collaborazionisti”, cioè dei “traditori”.

Ora la storia della diffusione del Coronavirus, oltre all’oggettiva situazione drammatica che ne deriva, ha, anche qui riattivato l’oggetto cattivo interno, cioè quell’estrema angoscia dell’ineluttabilità di una distruzione del proprio Sè corporeo, che possiamo ipotizzare essere, in quel momento, l’unico assetto psichico del bambino di quei pochi mesi di vita. Ma, nella maggioranza dei casi, i bambini hanno anche madri sollecite che corrono a porgere il seno per allattarlo e così il seno buono prevale su quello cattivo.

Ma, nell’attuale situazione del Coronavirus (come in altre situazioni catastrofiche simili), le madri sollecite, tipo Governo, Stato, Regioni ecc. sono madri che hanno scarso latte e si può anche temere che siano anche un po’ carenti di reale sollecitudine. E lo stesso si può dire dell’apparato medico-scientifico che ad onta delle buone intenzioni appare abbastanza sterile.

Quindi il Coronavirus appare, paradossalmente anche nel suo aspetto fisico più o meno raffigurabile, come il seno “cattivo” che non dà latte o se ne dà è tossico e maligno.

Nota metodologica. A prescindere dall’uso o meno di metafore colorite, si potrebbe avanzare l’osservazione che un paradigma di questo tipo, con un dualismo tra buono e cattivo ed una riduzione di base alla fase dell’allattamento, come determinante di tutto uno sviluppo e reazioni conseguenti, è una visione troppo semplificata di processi così complessi come quelli psichici. Ma dobbiamo stare attenti perché la reiterazione di reazioni psicologiche sempre analoghe (per es. la gioia, la paura ecc.) indica che forse vi sono dentro di noi, dettati dall’evoluzione, schematismi ripetitivamente primitivi.

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