Costume

«Il giovanilismo allontana dalla felicità»

14 Novembre 2017

Quando finisce la giovinezza e inizia la maturità? È vero che l’età è solo un numero e ognuno ha quella che si sente davvero? Ma soprattutto: come si può evitare di rendersi ridicoli atteggiandosi a eterni adolescenti quando i capelli si stanno diradando e compaiono le prime rughe?

Il discorso sull’età è delicato, perché da sempre l’uomo ha paura di invecchiare e poi morire. E se da un lato è importante prendersi cura di sé, dall’altro, quello che dovrebbe essere un discorso incentrato sui temi sacrosanti della salute e dell’estetica può diventare uno stato mentale che comporta scelte forse anche deleterie per chi le fa e per chi lo circonda: un fenomeno conosciuto con il nome di giovanilismo.

È importante ricordare che il giovanilismo è sì una scelta personale, ma è sicuramente incentivato dalla società odierna e dai suoi modelli non solo estetici ma anche di stile di vita e affettivi che conosciamo bene e che sono saldamente inculcati nella nostra testa.

Abbiamo approfondito il tema con Emanuela Mazzoni, psicologa specializzata in counseling relazionale e coautrice del libro “La Scienza Relazionale e le malattie mentali”.

Tutto nasce dalla paura della morte.

«Esatto, e questo tema mi è molto caro, perché è quello che con autentica ricerca, ampiezza di conoscenza e grande amore, ha affrontato il mio maestro e prof. Vincenzo Masini nei suoi ultimi anni di vita e che lo ha condotto alla produzione di un opuscolo (prossimamente in stampa), in collaborazione con la teologa e direttrice della scuola di Prepos, nonché sua moglie, Emilia Scotto. L’introduzione a questo libello è contenuta nella lettera di saluto del Professore a questa vita, di cui mi piace citare l’incipit: “La morte è parte della vita, anzi è forse il momento più importante perché, liberandosi l’anima dai limiti corporei si può ottenere la piena realizzazione di se stessi nel mondo dello spirito che è qui, vicino a noi, anche se non riusciamo a vederlo per i nostri limiti”».

Mi sembra di capire che il giovanilismo nasce dal senso del limite che ogni individuo ha ed è un fenomeno che coinvolge meno chi crede nell’aldilà.

«I limiti corporei, mentali, affettivi sono ciò con cui ci scontriamo quotidianamente, nella realizzazione dell’agire. Questo scontro è avvertito da tutte le età: nei bambini diviene il non poter fare ciò che si vuole, negli adulti nel non riuscire a realizzare un certo obiettivo, negli anziani nel non riuscire più a fare cose del tutto scontate fino a qualche tempo prima.

Bimbi e anziani sono proprio coloro da cui non si possono pretendere risoluzioni di problemi pratici, iniziative operative e corsa al successo, obiettivi che è ovvio perseguire nel senso attuale e comune di cosa sia la realtà».

I più piccoli e i più grandi dunque sono considerati marginali nella società di oggi?

«Bambini ed anziani sono contemporaneamente i più vicini a ciò che c’è stato prima della vita ed a ciò che ci sarà dopo questa vita. Non hanno bisogno di autorappresentarsi, poiché sono occupati a vivere la pienezza e la fatica esistenziale del trascorrere le giornate, i primi con la percezione che ogni giorno non finisca mai, i secondi, sperimentando la brevità del tempo che resta. Non è un caso che bambini ed anziani, passino molto tempo insieme e che siano nelle famiglie sempre più spesso associati (quest’anno in Italia è stata indetta la festa dei nonni nel giorno del 2 ottobre), essi hanno in comune tra loro la possibilità di vivere un tempo di vita non sempre orientato al fare».

E gli adulti?

«Sono occupati dalla concretezza della vita, occupati a produrre, a costruire reti di relazioni, magari a ideare un futuro migliore».

In questo contesto come si inserisce il giovanilismo?

«Il dover sembrare, dover fare e dover essere giovani a tutti i costi, ci cristallizza nel bisogno di avere e ci distanzia da quello di essere, come indicava già Erich Fromm negli anni ’70. Proviene da un approccio alla persona vista come consumatore e non come essere umano, portatore di un valore in sé, unico e irripetibile.

Nel bisogno di apparire giovani a tutti i costi, si passa la maggior parte del tempo di vita ad occuparsi del proprio aspetto fisico, della propria immagine, del proprio successo. Elementi affatto trascurabili e senza dubbio degni di rilevanza, ma che hanno fatto passare in ultimo piano, altri temi molto più necessari nello svolgimento di una vita felice, come ad esempio il prendersi cura delle relazioni, l’ascolto di sé, la realizzazione delle proprie potenzialità».

Come si può riconoscere se si sta scivolando nel giovanilismo?

«È possibile comprendere se si è vittima di un eccessivo giovanilismo, facendo il conto delle ore di una giornata tipo e di quanti euro, vengano investiti per apparire (più belli, più firmati, più social e via elencando) e poi fare la differenza con quante ore o quanta economia, sia invece investita nell’essere (una buona madre, compagna, professionista, amica, figlia e così via)».

Cosa si rischia ad apparire più che ad essere?

«Il maggiore rischio è legato alla conservazione del corpo in uno stato inalterato dal tempo. Questo è anche l’indicatore più forte di paura della morte, che comporta invece il definitivo stacco dal corpo. Citando il “Fedone” di Platone: “questa purificazione […] la si raggiunge […] separando più che sia possibile l’anima dal corpo, esercitandola a restarne staccata, tutta in sé raccolta”».

Concretamente?

«Passare la maggior parte del tempo della vita lavorando allo scopo della conservazione del nostro corpo, non ci può che portare a essere infelici, poiché esso non potrà che invecchiare e da ultimo non potremo che lasciarlo. Scegliendo invece di investire il tempo di vita nello sviluppo di affettività, consapevolezza, buone relazioni, si ha una maggiore possibilità di essere felici in questa vita e… si sa mai, potremmo anche non perdere tutto questo lavoro una volta nell’aldilà».

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