Salute mentale

Il bullismo? Si alimenta di rabbia e indifferenza

25 Settembre 2018

Nonostante le tante iniziative per contrastarlo, il bullismo resta un fenomeno molto diffuso nelle scuole italiane. Secondo l’Istat un minore su due è vittima di bullismo e l’età più a rischio è quella compresa tra gli 11 e i 17 anni.

La situazione è tale che lo stesso Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha voluto parlarne all’inaugurazione dell’anno scolastico, evidenziando come vada contrastato anche il fenomeno del bullismo dei genitori, altrettanto in crescita e attuato con violenze fisiche e verbali contro gli insegnanti e i compagni di classe dei figli.

Abbiamo chiesto come fermare questa “epidemia” a Emanuela Mazzoni, psicologa specializzata in counseling relazionale e coautrice del libro “La scienza relazionale e le malattie mentali”.

Perché il bullismo è così diffuso e difficile da eradicare?

“Parliamo di un fenomeno sociale che è sempre esistito, poiché è una forma di violenza agita nei confronti di una persona debole. È molto presente nelle realtà comunitarie come scuole, comunità di recupero, orfanotrofi, caserme e via elencando.

Esso si compone di tre elementi chiave: il primo è la non rilevanza, il secondo è uno stato interiore rabbioso e il terzo è la distanza dai sentimenti dell’altro”.

In cosa consiste la non rilevanza?

“Intendo il fatto che, fino a qualche anno fa, l’atto del bullo era socialmente accettato, ovvero non era preso sufficientemente in considerazione. Oggi questo fenomeno è stigmatizzato e i comportamenti che possono causare danno ad altri componenti del gruppo sono presi in considerazione”.

E gli altri due elementi?

“Mi riferisco alle caratteristiche del bullo: sono la rabbia, l’egocentrismo e la distanza dai sentimenti dell’altro.

Quando si è arrabbiati infatti si perde di vista tutto tranne ciò che si vuole ottenere subito, che sia un panino, un cellulare, soldi ma anche la vendetta su qualcuno. La concentrazione su ciò che si vuole ottenere e la distanza dal proprio vissuto orientano l’attenzione della persona in modo egocentrico ed egoista, ovvero tutto ciò che importa è ciò che voglio io adesso.

La rabbia e l’egoismo portano la persona ad agire in maniera non ponderata e a commettere azioni anche gravi. L’altro non esiste più; esisto solo io”.

Qual è la differenza tra il bullismo di bimbi e ragazzi e quello dei genitori?

“Con i bambini e con i giovani si può intervenire tramite metodologie di stampo educativo; con gli adulti è necessario attivare percorsi di auto-consapevolezza, che conducano all’emersione dei motivi di tali comportamenti e allo spegnimento della rabbia.

Uno stato rabbioso esistente nell’interiorità di un bambino o di un giovane è spesso conseguenza di vissuti non ascoltati, di dolori non raccontati. I primi ad avere questo compito di ascolto sono i genitori”.

Cioè?

“Noi genitori infatti ci siamo concentrati nel non far mancare niente ai nostri figli da un punto di vista economico, del divertimento e dell’acquisto di oggetti e abbiamo dato meno valore allo stare con i nostri figli.

Tuttavia, i bambini imparano ciò che vedono fare ai genitori. Dobbiamo riappropriarci del nostro tempo con loro, perché è lo spazio relazionale tra genitori e figli il primo luogo della prevenzione. Dedicarci del tempo insieme, senza l’interruzione tecnologica, costruendo spazi di reciproco ascolto, chiedendo «Come stai? Cosa ti passa per la testa? Sei felice? Che ti succede?».

I social hanno esteso il fenomeno del bullismo?

“La diffusione della tecnologia e l’accesso ai social hanno aumentato la velocità d’azione e ciò amplifica ulteriormente gli atti di bullismo, aprendo, al contempo, nuove vie di espressione. Questo è il caso del cyberbullismo”.

Secondo lei l’idea della Regione Piemonte di organizzare corsi di “rialfabetizzazione sentimentale” può essere efficace?

“È una buona idea, poiché agisce in prevenzione, promuovendo una cultura del sentimento.

Molto grave sarebbe invece squalificare la formazione ai sentimenti verso una diffusione del sentimentalismo, che produrrebbe gli effetti opposti ovvero quelli di rinforzare i bulli.

Nei colloqui con i bulli è necessario proporre figure coraggiose e fortemente valoriali, che sappiano parlare dei sentimenti e agire di conseguenza.

Negli incontri con le vittime è necessario dare strumenti di contrasto della paura, consigli per la risoluzione della relazione con il bullo e formarli alla lotta per i diritti”.

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