Famiglia

I padri italiani? Sono migliori di come li immaginiamo

15 Novembre 2016

I padri italiani di nuovo al centro dell’attenzione. In questi giorni è in discussione in Parlamento un emendamento che estende il congedo obbligatorio di paternità da 3 a 5 giorni. E non si può dimenticare il vespaio suscitato dalla proposta del presidente dell’Inps Tito Boeri di portarlo addirittura a 15. Ma basta questo a fare di loro padri migliori? È provato scientificamente che la presenza della figura paterna favorisce nei figli lo sviluppo sociale, culturale ed economico, ma le classifiche internazionali dimostrano che i padri europei sono ancora troppo poco presenti, soprattutto dopo separazioni e divorzi.

C’è ancora tanto da fare, quindi? Lo abbiamo chiesto a Emanuela Mazzoni, psicologa, esperta di teoria delle relazioni, ex presidente dell’associazione dei Counselor professionisti e attuale presidente di Cna Professioni Arezzo. Mazzoni dal 2002 incontra genitori nei progetti scolastici di tutta Italia.

I padri italiani oggi sono complessivamente migliori rispetto a quelli della generazione precedente?

Vorrei prima esprimere un concetto: un conto è essere padri e un conto è sviluppare il sentimento di paternità che si colloca tra le relazioni evolute del maschile. Essere padre è per lo più un fatto biologico, sviluppare la paternità invece è una scelta relazionale. Questo vale sia per i padri del presente che per quelli del passato e, credo, varrà anche nel futuro.

L’espressione dei valori connessi alla paternità si modifica nel tempo, anche se i valori sono sempre gli stessi: la protezione, la guida, il sostentamento alla famiglia sono punti cardine della paternità. A seconda del periodo storico e del contesto socio economico e relazionale, in certi periodi storici ne può emergere con più forza uno rispetto a un altro. In questo caso, però, c’è anche il rischio che il valore si irrigidisca e scivoli in un eccesso e che si trasformi in comportamenti disfunzionali.

Faccio un esempio: i padri italiani ed europei attuali vivono in un contesto in cui la violenza è socialmente condannata e in cui il femminile ha sviluppato indipendenza e possibilità di auto sostentamento. Questa trama fa sì che sia più difficile per un padre scivolare nell’eccesso di autoritarismo, fatto abbastanza comune invece tra i padri delle generazioni precedenti.

In maniera simile a ieri, anche oggi i padri vivono in una posizione interiore di invisibilità, di colui che si incarica di sostentare e sostenere economicamente la famiglia, che può però scivolare in assenza perché non capita o verbalizzata o sostituita. Tale posizione è essenziale poiché su di essa si appoggiano i figli, in certi specifici periodi sensibili, per costruire la propria identità.

A questo proposito vorrei consigliare un approfondimento tramite la documentazione conclusiva del convegno “Padri presenti”, promosso dallo studio associato PREPOS – Prevenire è possibile, nel febbraio del 2015 a Roma.

Sembra che ancora molti uomini non riescano a condividere pienamente il lavoro in casa e non facciano abbastanza per essere presenti nella vita dei figli.

La raggiunta parità dei diritti tra uomo e donna è una conquista storica importantissima, a cui ancora deve seguire un passaggio psicologico e culturale di comprensione, riconoscimento e accettazione delle diversità del maschile e del femminile, a cui seguire ancora la riscoperta di tali diversità come ricchezze.

Solo alla fine di questo ultimo passaggio, l’aiuto reciproco nei lavori domestici può essere d’insegnamento per i figli su come sia possibile contribuire ciascuno con i propri mezzi alla conduzione della vita famigliare. I padri sono stati a loro volta figli, spesso poco coinvolti nella partecipazione attiva ai lavori di casa, pertanto su questo argomento è necessario costruire un accordo. In questi casi mi capita di consigliare di scrivere una lista di tutti i lavori che ci sono da fare in casa, partendo da quelli più consueti, e di far scegliere ai mariti quali pensano di potersi accollare. È necessario che questo avvenga un poco alla volta inserendo l’attività successiva solo dopo che la precedente è divenuta abitudine consolidata. È molto importante che anche i figli possano trovare dei piccoli compiti da svolgere a seconda dell’età. Inserendoli con la stessa modalità di un’attività solo dopo che la precedente è divenuta abitudine.

La giusta richiesta del femminile della presenza paterna nella vita dei figli non può prescindere dall’esplicitazione degli obiettivi che si desidera che siano raggiunti ed essi, una volta condivisi, debbono essere mantenuti saldi. È però necessario tenere presente che un conto sono gli obiettivi e un altro i modi in cui l’obiettivo deve essere raggiunto.

Faccio un esempio: mi capita sovente di incontrare madri che pretendono dai loro compagni una maggiore presenza, magari durante il week end con i figli, ma poi non riescono a esimersi dal dare consigli o dal dire cosa secondo loro dovrebbero fare o dove dovrebbero o non dovrebbero andare o rimangono esse stesse nei paraggi per controllare o verificare che le cose stiano andando nel verso giusto, vanificando ogni sforzo. In questi casi è utile proporre un temporaneo allontanamento della madre dal contesto relazionale. La quale può approfittarne anche per concedersi finalmente un po’ di tempo per sé.

Come sono i padri italiani rispetto agli altri europei?

Se dovessi riferirmi per grandi blocchi europei e alle personalità collettive dei paesi, direi che i padri del nord Europa tendono a sviluppare nei figli l’indipendenza, i padri dell’est puntano sul rispetto, noi del sud sul sostegno, nell’ovest sull’espressione di sé.

In questo quadro, le donne dove sbagliano?

Il femminile sbaglia a chiedere solo quando è arrivato al limite di sopportazione. Noi donne chiediamo tanto, talvolta troppo e soprattutto a noi stesse. Ci chiediamo di essere brave madri, ottime lavoratrici, intriganti amanti, essere in pari con i lavori domestici, avere sempre la giusta immagine e magari anche sviluppare con creatività alcune attività collaterali. In tutto questo ci siamo perse i momenti sospesi e i cicli lunghi del tempo del femminile, quello in cui uno stesso gesto, fatto sentendo di avere di fronte tutto il tempo del mondo, ottimizza insieme la cura per i figli, per il nostro uomo, per la casa e anche per noi stesse.

Cosa ne pensa della proposta del presidente dell’Inps Tito Boeri di introdurre un congedo di paternità obbligatorio di 15 giorni?

Ritengo centrale la figura del padre nei primi giorni di vita, certamente per l’innesco positivo della relazione con il figlio appena nato, ma soprattutto per la protezione della relazione tra la puerpera e il neonato dagli eccessi partecipativi che oggi spesso viviamo.

In questo senso la possibilità data ai padri di restare accanto alla famiglia è pregevole, però il lavoro oggi non è solo quello dei dipendenti, ma anche quello degli imprenditori, dei professionisti, degli stagisti e di coloro che lavorano a voucher, che non sempre, tra l’altro in uno stato di crisi economica come quello in cui viviamo, possono permettersi di restare a casa. Ancor meno in un momento così importante per il paterno come quello della nascita di un figlio, ovvero proprio quando la sua capacità di sostentamento della famiglia deve essere aumentata e la percezione di se stesso come di un uomo che si fa carico della su famiglia deve essere nuovamente consolidata.

Cosa ne pensa dei nuovi modelli di famiglia: davvero tutto è buono e va bene?

È buono ciò che rispetta e sostiene lo sviluppo biologico, di identità e affettivo dei figli. Oggi conosciamo abbastanza bene i pregi e i difetti dei vecchi modelli di famiglia e sappiamo dove intervenire per migliorare le relazioni. Sappiamo quanto la famiglia tradizionale sia alla ricerca di soluzioni per affrontare i grandi cambiamenti sociali e relazionali e quanto su questo tema si stia facendo.

Conosciamo invece troppo poco i rischi e le potenzialità dei nuovi modelli di famiglia, per poterne comprendere l’efficacia e la bontà e il rispetto dei bisogni minimi dell’individuo in costruzione. Non si può dunque affrontare il problema sulla base di slanci di entusiasmo o egualitarismo, ma procedere passo dopo passo con cautela e sulla base di relazioni di profonda condivisione di senso sulle necessità dello sviluppo della persona e della sua identità.

Un primo passo può essere quello di riuscire ad analizzare quali siano i rischi connessi a quello specifico clima famigliare e individuare una possibile strada di miglioramento. Questa semplice metodologia d’intervento è applicabile a qualsiasi tipo di famiglia che voglia intraprendere il percorso del miglioramento relazionale.

La famiglia è una istituzione in crisi?

La famiglia è il luogo da cui parte ogni crisi ma che contiene in sé risorse e potenzialità inespresse che potranno condurre a una nuova evoluzione relazionale. Io sono una concreta ottimista e, operando proprio in questo ambito, mi accorgo che è possibile fare molto affinché le relazioni nelle famiglie possano migliorare facendoci diventare esseri umani più consapevoli e più capaci di affettività.

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