Salute mentale
Guerra: la seduzione degli strumenti distruttivi
L’ampio uso nei media visivi delle scene belliche con gli scenari non solo di vittime, profughi, aree urbane distrutte, ma anche di reparti militari e anzitutto dei loro mezzi (carri, veicoli corazzati per la fanteria, artiglierie, missili, elicotteri, aerei e navi), hanno sommerso il pubblico in una fantasmagoria di macchine distruttive che, con tutto il resto, dovrebbe suscitare sdegno, persecutorietà, identificazioni proiettate nei poveretti che muoiano o fuggono e ansie personali per la propria e per altri, possibile vulnerabilità.
Tuttavia, proprio quell’effetto ipnotico che costringe a restare incollati alle immagini, può provocare un sentimento di fascinazione, come avviene anche per le scene morbose, scene dei film violenti, dell’orrore ecc.. Ora una persona “ben pensante”si rifiuterebbe di ammettere di provare certe sensazioni davanti a questi scenari. E non solo che per convinzioni ideologiche ma anche per sentimenti di disagio e di ripulsa emotiva,
Ma forse non è del tutto così. Incominciamo con il dire che davanti alle “grandi macchine” sia quelle belliche che quelle pacifiche (tipo locomotive, bulldozer, navi, aerei civili ecc.), ci sono piccoli gruppi di appassionati che se ne interessano, magari acquistando libri e riviste specializzate, e, a volte, diventando degli autentici esperti sui vari mezzi. Direi che, non a caso, è un fenomeno tipicamente maschile e vedremo poi il perché. Queste manie sono considerate per lo più innocenti, considerate tipiche di una mentalità che almeno in parte è restata infantile, e che si ritrova, quasi con nostalgia, nella realtà di quel mondo dei giocattoli, così denso di piaceri, della vita di ognuno.
Ma considerando questi nostalgici infantili dei giocattoli, quale può essere la spinta per tale attrazione? Forse perché hanno sempre un profondo significato di potenza E, nel caso delle macchine belliche anche una capacità distruttiva. E il fatto che sembra che attraggano di più gli uomini che le donne, potrebbe essere una delle conseguenze della società patricentrica nella quale viviamo.
Bene, ma se costoro sono innocui , lasciamoli pure giocare (come d’altra parte si fa per tante attività che uniscono la potenza alla competitività, come per esempio gli sport e simili). Solo che esiste un’ipotesi più fastidiosa e che trae origine , psicologicamente, dalla affermazione che quello che vediamo nei gruppi e/o negli individui, cosiddetti marginali, non è che il venire allo scoperto, di analoghi contenuti repressi nella maggior parte delle persone. E non è una repressione inconscia (così sarebbe più giustificabile…)ma è una repressione po’ troppo fragile. In altre parole: posso provare tutto il rifiuto nel vedere queste macchine di distruzione (come per gli scenari violenti) ma so di esserne affascinato, di ammirarli, di sentirmi sedotto. Poi posso anche vergognarmene e non comunicarlo agli altri, come tanti altri atteggiamenti ( ed anche comportamenti) che giudichiamo un po’ troppo perversi. D’altra parte chi manda sullo schermo questi contenuti, più o meno consapevolmente, si rende conto del loro potere di attrazione ( non potendo, per motivi ovvii , far vedere scene terribili, anche quelle però seduttive, aldilà della tolleranza sociale).
Infine, un’ultima notazione specificatamente vetero- psicoanalitica ( ma faccio parte di questa area…). Le grandi macchine sono simbologie falliche, maschili. E se sono anche distruttive come quelle belliche, viene rafforzata un’idea di potenza che è anche distruttiva. Di chi? Dei rivali, partendo dalla situazione edipica per arrivare a quell’ideologia della competitività che si insinua dovunque e rende il mestiere così difficile per l’analista che ne deve attenuare gli effetti nei pazienti.
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