Salute mentale
Forse sognare…
L’ultimo saggio pubblicato dallo psichiatra e psicanalista Vittorio Lingiardi (Milano 1960) è dedicato all’attività onirica, esplorata nella sua complessità neurologica, psichica, letteraria, culturale. “Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita”, scriveva Shakespeare ne La tempesta, assimilando l’impalpabile e misteriosa indeterminatezza che da sempre abita e agita le notti degli esseri umani (inquietandoli, interrogandoli) alla labilità della loro esistenza. Astratti, nebulosi, oscuri, difficilmente interpretabili, anticipatori di sorprese e presagi, ricordi ed emozioni, turbamenti o improvvise euforie, i sogni sono varchi che ci aprono alla conoscenza di noi stessi e del mondo.
Lingiardi suddivide la sua ricerca in tre sezioni, in cui espone i diversi punti di vista da cui poter esplorare il lavoro onirico nelle sue diramazioni (divinità, inconscio, cervello), utilizzando suggerimenti tratti dal mito, dalle religioni, dalla letteratura, dall’arte e dal cinema. L’umanità ha sempre sognato, e ha sempre cercato di descrivere e comprendere il significato delle visioni notturne: dall’epopea di Gilgamesh alla Genesi, da Omero ai tragici greci, da Platone ai poeti latini (Ovidio, Virgilio, Lucrezio), tutto il mondo antico ha elaborato una propria cultura del sogno, ritenuto spesso di derivazione divina, e in quanto tale profetico, a volte presagio di avvenimenti favorevoli, o al contrario ingannatore, e temibilmente sinistro: gli antichi Romani chiamavano Incubus (“che sta sopra”), i Greci Efialte (“che ti salta sopra”), quello più spaventoso, foriero di angoscia, paralisi e soffocamento. La duplicità di benevolenza e pericolo viene espressa da Penelope nel XIX libro dell’Odissea (“Straniero, sono inspiegabili e ambigui i sogni”), quando illustra a Ulisse come si presentino le porte da cui le immagini fanno ingresso nel sonno, una con battenti di corno, l’altra d’avorio: queste ultime avvolgono la mente di inganni, mentre le prime sono rassicuranti e veritiere. Se dall’antichità fino al Rinascimento si sono avuti interpreti e catalogatori di sogni propensi a crederli di origine divina (Macrobio, Elio Aristide, Artemidoro, Tertulliano, Silesio di Cirene, Macrobio, Achmet fondatore della oniromanzia islamica, Gerolamo Cardano, per non parlare delle cento e più citazioni contenute nell’antico Testamento e nel Talmud), era altrettanto nutrita la corrente razionalista, che dava della funzione onirica un’interpretazione fisiologica, meccanicista, con i suoi autori più rilevanti: Aristotele, Epicuro, Cicerone, Lucrezio, Tommaso d’Aquino, fino a Cartesio e alle spiegazioni laiche e scientifiche degli psichiatri e dei neurologi ottocenteschi.
Nella seconda parte del saggio, Lingiardi affronta (con “le mani nei capelli”) le diverse interpretazioni psicanalitiche dell’attività onirica, a partire da quelle di Sigmund Freud (autore nel 1900 della fondamentale Die Traumdeutung), che si proponeva di darne una definizione scientifica e razionale. Se gli antichi guardavano ai sogni in funzione del domani, come profezie o premonizioni, Freud li indagava in funzione del passato, in quanto produzione inconscia di residui diurni, paure infantili, legami perduti, associazioni involontarie derivate da traumi sequestrati nel corpo perché la mente non poteva ospitarli: un trucco per proteggere l’Io dalle forze oscure dell’inconscio, e insieme “appagamento di un desiderio” censurato a livello cosciente, perché ritenuto riprovevole per la sua natura sessuale o aggressiva. “L’ombelico del sogno è il punto in cui esso affonda nell’ignoto”, e rappresenta la “via regia per la conoscenza dell’inconscio”. Secondo il medico viennese, questo fenomeno psichico, rielaborato nel sonno attraverso processi di condensazione, spostamento, raffigurabilità, può riemergere nel reale significato attraverso la tecnica dell’analisi, e venire curato nelle sue manifestazioni nevrotiche. L’amico-nemico di Freud, Carl Gustav Jung, prese presto le distanze dalla posizione del maestro, sottolineando la dimensione mitica e collettiva del mondo onirico, di cui esaltava la finalità creativa non falsificata, in grado di esprimere “qualcosa che l’Io non sa e non capisce”, in un linguaggio allegorico intraducibile in termini logici. Più visionario e meno sistematico di Freud, Jung rivalutava l’alterità onirica in quanto forma diversa di pensiero, che ci aiuta a definire chi siamo attraverso un continuo lavoro al confine tra coscienza e inconscio. Il sogno dà accesso “all’uomo più profondo, universale, vero ed eterno, ancora immerso in quelle tenebre della notte primitiva in cui egli era ancora tutto e tutto era in lui”. Convinto dell’esistenza della dimensione archetipica dell’inconscio collettivo, sedimento di esperienza acquisite dagli antenati nel corso dell’evoluzione e trasmesse per via ereditaria, considerava l’inconscio non solo ricettacolo di ricordi personali rimossi, ma anche scrigno di nuovi pensieri non ancora coscienti, vitalizzanti e creativi.
Dopo aver esposto le contrapposte teorie dei due giganti Freud e Jung, Vittorio Lingiardi offre ai lettori un ricco elenco di seguaci e innovatori novecenteschi dell’indagine psicoanalitica sull’attività onirica. Partendo da Melanie Klein per soffermarsi in particolare su Bion, Hillman, Ogden, Bromberg, Fosshage (citando anche Kiefer, Kohut, Pontalis, Grotstein, Bollas, Fonagy, Fairbairn, Lacan), Lingiardi sostiene che la psicoanalisi contemporanea non considera più i sogni solo come “materiale cifrato da rivelare, ma come prodotti di un neurolaboratorio da cui emergono visioni e narrazioni che possono suggerire ipotesi sul nostro funzionamento psichico… Un modo di alfabetizzare sensazioni, percezioni, emozioni e trasformarle in matrici visive pensanti”. Dell’inglese Wilfred Bion (1897-1979) sottolinea l’importanza di aver intuito che il sognare è un elemento strutturante della vita mentale, un apparato per “pensare i pensieri”, non riducibile negli stretti confini del sonno notturno: processo attivo anche nello stato di veglia, ci permette di dare un senso a elementi altrimenti destinati a restare impensati e impensabili. Secondo le recenti prospettive cognitive e sociali, l’evento onirico viene sempre più considerato strumento di narrazione e relazione, studiato in quanto processo di pensiero che serve a elaborare informazioni vitali, esercizio psichico che ci prepara all’ignoto, modo di elaborare le preoccupazioni e testare la nostra resistenza alla minaccia, possibilità di risolvere i conflitti e riparare i traumi, mezzo per la regolazione affettiva nel complesso rapporto mente-corpo-cervello.
Negli ultimi decenni l’interesse per la funzione onirica si è straordinariamente sviluppato, focalizzandosi sull’indagine neurocognitiva dei circuiti cerebrali coinvolti, dei neurotrasmettitori, delle fasi del sonno e delle amnesie post-sonno: ed è nella terza sezione del libro che Lingiardi esamina l’argomento dal punto di vista scientifico. Il sogno come evento puramente neurale è stato asserito da numerosi e celebri fisiologi, che hanno duramente contestato le teorie psicanalitiche, affermando che il sogno è il risultato di un assemblaggio casuale di impulsi neuronali attivati soprattutto dal tronco encefalico, del tutto estranei a memorie del passato, censure, desideri rimossi. Si sono approfondite le ricerche sulla fase REM del sonno, in cui si modula l’80 per cento dei sogni, determinata da fattori puramente biologici: l’attivazione delle cellule che producono acetilcolina e la disattivazione di quelle che producono serotonina e noradrenalina. A tali cambiamenti sarebbero imputabili le immagini visive, vivide e allucinatorie che caratterizzano il sogno, provocando emozioni intense e acritiche dal contenuto illogico, difficili da ricordare al risveglio. Si è scoperto che i sogni che facciamo prima del risveglio sono i più intensi, che gli anziani sognano di meno, che esistono sogni collettivi e ricorrenti, provocati da fenomeni sociali condivisi (terrorismo, catastrofi naturali, epidemie). I contenuti più comuni riguardano “impotenza/incapacità, essere aggrediti/inseguiti, incidenti stradali, conflitti interpersonali, preoccupazione per salute/morte propria o di persone care”, e provocano ansia, tristezza, rabbia, disgusto, senso di colpa. Ciascuno di noi sogna ad occhi aperti, e il fenomeno del daydreaming si ripete con circa duemila episodi al giorno, rielaborando ricordi o creando mondi immaginari, fantasticando su vendette, successi, recriminazioni, in un continuo vagare narcisistico su sé stessi: il sogno, notturno o diurno che sia, è sempre egocentrico.
Comunque sia, sognare (funzione intesa in senso meccanicistico oppure come rielaborazione del proprio vissuto) rappresenta un altrove, un ambito in cui l’individuo incontra una diversa esperienza di sé: “I sogni sono nostri, l’ultimo spazio di vita privata, forse di libertà”. Teniamoceli stretti.
VITTORIO LINGIARDI, L’OMBELICO DEL SOGNO: UN VIAGGIO ONIRICO – EINAUDI, TORINO, p. 184
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