Costume
E se cominciassimo a dire “Grazie” invece di “Scusa”?
Non è una differenza da poco, come spiega in modo eccellente Yao Xiao, illustratrice cinese di stanza a New York, in una piccola striscia che nelle ultime settimane ha fatto il giro del mondo.
Se cerchiamo confusamente di spiegare il nostro stato emotivo a un’ascoltatrice attenta, meglio concludere con un riconoscente «Grazie per avermi dato retta!», piuttosto che con un mesto «Lo so, sono pesantissimo». Se abbiamo fatto aspettare un amico all’appuntamento, diciamo «Grazie per la pazienza!», anziché «Scusa del ritardo» (questo è più azzardato, soprattutto da parte dei ritardatari seriali, ma vale la pena di provare). E via dicendo.
La formula “grata” ammanta la situazione di positività e riconosce nell’altro un valore attivo. Viceversa, l’atteggiamento dispiaciuto conferisce all’atmosfera un’ulteriore sfumatura grigia, trasmette auto-svalutazione e quasi incoraggia l’interlocutore a sentirsi seccato e/o impietosito, comunque non smanioso di rivederci presto.
E se pensate che la pur sempre cortese abitudine di scusarsi spesso sia più anglosassone che italiana, così come più anglosassone è anche l’attenzione a ricercare nuovi linguaggi improntati alla positività, sappiate che il “sorry” e “thank you” dell’originale sono già stati tradotti in “perdón” e “gracias”, così come in 謝謝你e 對不起, e che la striscia è già comparsa sull‘Indian Times così come su un paio di riviste francesi.
Insomma il potere delle parole nel creare contesti emotivi e relazionali più o meno positivi e fertili è trasversale e internazionale, e a volte una piccola scelta lessicale può creare circoli virtuosi che vanno bel oltre la sfumatura.
Detto questo, se l’abbiamo fatta davvero grossa vale la pena di continuare a scusarsi. E, nel caso, aggiungere anche un «Grazie per essere ancora qui» non fa male.
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