Salute mentale
Covid: la paura superata dal senso di oppressione
La diffusione del Covid, permette anche (ne avremmo volentieri fatto a meno…) di approfondire sul piano psichico reazioni e meccanismi ben più complessi e strutturati di quanto appaia nella vulgata psicologica semplicistica che viene diffusa abbondantemente nella comunicazione di massa. Consideriamo anzitutto il problema della paura.
È evidente che l’evento virale, appartenente all’universo delle patologie e soprattutto di quelle gravi, susciti il forte timore che colpisca noi, i nostri cari, la popolazione tutta. L’efficienza (si fa per dire) nelle modalità di contagio, velocità e immediatezza di diffusione, accompagnate dalla scarsità dei rimedi clinici, potenzia l’immagine del virus, con un’evidente antropomorfizzazione in termini di creatura malvagia che ha come obbiettivo esclusivo quello di farci del male, fino al male estremo: la morte. È facile quindi assimilare la sua natura a quella dei terribili personaggi che sono dilagati nelle fantasie e negli incubi infantili, e che poi sono stati riverificati e confermati (e lo sono tuttora) nelle esperienze reali, anche se solo appartenenti ad altri, ma delle quali abbiamo avuto conoscenza.
Eppure una parte probabilmente maggioritaria supera questa paura o la minimizza, utilizzando i consueti meccanismi di difesa primitivi quali la negazione (cioè il non pensarci) o magari il tentativo di autoconvincimento affermando concetti esistenziali quali “se deve capitare, che capiti pure” oppure simil-statistici: “perché deve capitare proprio a me?”.
Per altre persone, che per loro sfortuna sono afflitte da ansie ipocondriache, l’azione del virus si inquadra nell’ampia e spesso ben diversificata gamma dei propri disturbi immaginati. Però questo non basta a spiegare il forte impatto emotivo, che trapela anche in presenza degli accorgimenti difensivi.
In altri termini: anche se con la malvagia creatura possiamo conviverci, c’è un forte senso di disagio che investe l’esistenza quotidiana. Questo senso di disagio, mi sembra, è identificabile nel senso di oppressione continua che sembra permanere nella vita di ogni giorno. Qualcosa è capitato e ci sovrasta. È analogo al senso di oppressione della gente nelle situazioni di guerra o nel momento che si è colpiti d una grave malattia. Qualcosa o qualcuno ci tiene legati ad un possibile pericolo, catastrofico. Ovviamente tutto ciò viene rinforzato dall’incidenza delle conseguenze reali, dei provvedimenti restrittivi e sanzionatori che si saldano quindi con le nostre fantasie, confermandole e bloccando qualsiasi tentativo difensivo di minimizzazione. Non è un caso che frange di negazionisti e di invocatori delle libertà cerchino di negare, attraverso il ribellismo, questa pesante cappa che tutto sovrasta con l’immanente minaccia di un improvviso crollo catastrofico.
Freud, nella cosiddetta seconda topica del 1923, aveva denominato come Super-Io questo meccanismo sanzionatorio di anticipazione che è rappresentato dall’incombente minaccia di una punizione per qualsiasi mancanza reale o inesistente. L’oppressione quindi è dentro di noi e gli eventi esterni minacciosi non fanno che concretizzare quanto da sempre abbiamo fantasticato e cioè la nostra drammatica dipendenza da un pericolo immanente.
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