Salute mentale

Come un virus fisico diventa un virus psichico

4 Febbraio 2020

Parlare del coronavirus nell’informazione generale che ne dà la comunicazione pubblica e personale, può sembrare noiosamente ripetitivo. Ma il problema è un altro. La diffusione della non tanto innocua creatura, speriamo tra poco debellata, non fa che ripetere sul piano psicologico un copione che dai tempi antichi, passando per le pittoriche immagini manzoniane della peste, fornisce ai nostri spiriti inquieti, anche un apparato scenico non di poco conto.

C’è una funzione dell’Io di origine freudiana, ripresa dall’analista tedesco Argelander, denominata funzione “scenica” che indica un processo di ricostruzione che l’Io fa, cercando di mettere “insieme” gli stimoli interni (fisici, psichici, esperienziali) con le realtà esterne, nel tentativo di gestire le situazioni emozionali che continuamente questi stimoli producono. Il povero Io poi non sempre ci riesce con effetti positivi, e spesso il risultato sono le storture caratteriali, i sintomi di sofferenza, le distorsioni mentali che possono raggiungere livelli elevatissimi.

Basta pensare alla follia dei nostri sogni, per averne una piccola personale esperienza. Ora il coronavirus si sta introducendo anche nella nostra psichicità quasi come se, forzando un po’ eccessivamente la metafora, agisse sulle nostre emozioni, sui nostri pensieri. È ovvio che non c’è nessuna realtà fisica in tutto questo (meglio chiarirlo, non si sa mai…).

Ma quasi in parallelo con il vero contagio sembra che si espanda anche un contagio psichico, che la comunicazione rafforza e si estende. Cioè le rappresentazioni sceniche che ne derivano vanno a pescare nel profondo della nostra esperienzialità angosce sempre vigilanti basate non solo sulla memoria di terribili paure, spesso infantili, ma anche con l’impressione di ineluttabilità di un evento.

I nostri meccanismi di difesa, probabilmente perfezionati nella selezione naturale, agiscono con una immediata reattività paranoide a qualsiasi sia pure indefinito e ambiguo segnale di pericolo creando scenari reattivi che uniscono alla prevedibilità del pericolo, tutti i possibili rimedi, anche fantasiosi. Si crea così un’ideologia che connette i vari scenari individuali in una rappresentazione collettiva anche apocalittica. E c’è chi, magari con una sottigliezza maligna, pensa di utilizzare queste situazioni per proprie politiche di interesse. E sa infatti di andare a colpo sicuro. Per esempio la ricaduta sugli atteggiamenti discriminatori nei riguardi delle diversità appare evidente nella propria cinica intenzionalità.

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