Relazioni
C’è chi cerca di migliorarsi e chi no. E chi “attenta” ai nostri sentimenti
Ogni giorno ci riflettiamo nello specchio del nostro bagno, notiamo i cambiamenti nel volto e nel corpo, magari studiamo piccoli miglioramenti estetici come un nuovo taglio di capelli. Quante volte, invece, ci osserviamo dentro, cercando di capire chi siamo, cosa vogliamo e come possiamo diventare migliori? Anche di poco, maturando e imparando a rapportarci in modo adulto con noi e con gli altri.
Nella vita di tutti i giorni si ha l’impressione che il mondo si divida in due parti: le persone che sono consapevoli di se stesse e lavorano per migliorarsi e quelle che rifiutano questo approccio. Il problema è che poi i due mondi devono convivere. Come sopravvivere alle persone “statiche” – che spesso ci sembrano anche negative – lo abbiamo chiesto alla dottoressa Emanuela Mazzoni, psicologa, esperta di teoria delle relazioni, ex presidente dell’associazione dei Counselor professionisti e attuale presidente di Cna Professioni Arezzo.
Dottoressa, c’è chi cerca di migliorarsi e chi no.
La consapevolezza è il più importante processo di ricerca nella vita di una persona, che si completa solo con il concomitante potenziamento dell’affettività. Nella vita di ciascuno di noi questi due movimenti della relazione, avvengono a salti e non in modo costante e armonico. Potremmo dire che avvengono per “salti quantici”, ovvero così come l’elettrone a seconda dell’energia accumulata salta da un orbitale ad un altro, così anche la consapevolezza necessita di caricarsi di significati, connettendoli in visioni complessive; si consolida una certa scoperta interiore, per poi passare alla successiva elaborazione.
Il percorso di ogni persona è ovviamente diverso dall’altra. Se immaginiamo i nuclei della consapevolezza come gli oggetti che popolano l’universo, noi avremmo persone più concentrate su se stesse e che conoscono molto bene il proprio “pianeta”, altre invece più orientate all’esplorazione di altri pianeti o altre galassie. In questa visione ognuno può dare un apporto significativo alla consapevolezza propria e degli altri, sempre che la sua ricerca sia autenticamente orientata alla comprensione e non all’utilitarismo egocentrico.
È sicuramente capitato a tutti almeno una volta di considerare qualcuno non alla propria altezza, per estrazione sociale, per credo, per applicazione professionale e scoprire, invece, dialogando con lui, che era portatore di una particolare comprensione su un aspetto della vita o sulla sua applicazione che ci hanno arricchito. A me ad esempio capita con tutti i miei pazienti. Avendo il privilegio di lavorare in profondità con le persone esco da ogni incontro più arricchita per aver assorbito qualcosa che mi mancava.
Altre volte accade che le persone siano sviate da “false piste di ricerca”, finendo in percorsi che non producono alcun reale cambiamento, ma che danno come effetto quello di permanere in una forma iperemotiva o di scissione dal reale, dall’alto della quale guardano il mondo pensando di non farsi toccare, ma aumentando di fatto l’egocentrismo e l’autoreferenzialità.
In questo senso non si può prescindere dalla ricerca del senso della vita: tutti siamo chiamati a dare un senso alla nostra permanenza su questa terra. È necessario, però, che ciascuno possa affrontarlo con gli strumenti che ritiene più opportuni e vicini al proprio sentire, ma che danno anche risultati tangibili di miglioramento della quotidianità. Mettere in crisi qualcuno che non si è mai posto il problema di questa ricerca è facilissimo, ma non si può pretendere da nessuno che segua pedissequamente il percorso fatto da un altro, anche se per l’altro questo è il migliore percorso possibile.
Per una discussione più approfondita sul tema della consapevolezza, rimando alla lectio magistralis del professor Vincenzo Masini, tenutasi durante il convegno “La consapevolezza” del 11 e 12 febbraio 2012.
Perché è così difficile guardarsi allo specchio, ammettere che non si è perfetti e cercare di cambiare?
La perfezione non appartiene a nessun essere umano… e per fortuna! Ciò che ci fa progredire interiormente, nelle relazioni, ma anche nella vita biologica è la ricombinazione, la ricerca di un miglior adattamento all’ambiente, anche in quello relazionale e anche nella relazione con noi stessi. Tendere alla perfezione è nell’uomo una tensione sintropica, come direbbe l’amico Ulisse Di Corpo, è la scoperta di quella parte di noi che tende verso un punto collocato nel futuro, che passa però dalla disponibilità di riconoscere i propri limiti. Riconoscere con umiltà la propria limitata umanità, saper parlare dei propri difetti è quel percorso che conduce a prendere da ogni situazione il meglio e la strada principale per arricchire la consapevolezza.
Le persone che non vogliono cambiare o fanno male a se stesse oppure agli altri oppure entrambe le cose.
Sì, le persone che non intraprendono alcun percorso, fanno del male a se stessi ed agli altri. Nella ricerca di sé, come nelle relazioni, chi non migliora non può che peggiorare. L’inesorabile avvitamento egocentrico conduce a forme primitive di relazione, che sono l’origine delle psicopatologie: diffidenza, impeto d’ira, amor proprio, dispetto, indifferenza, amarezza, collusione, sono i principali ostacoli all’evoluzione relazionale. Avere una relazione obbligata con chi permane nel proprio ambito di personalità auto-rafforzandosi con molteplici frasi fatte, come ad esempio: “Io sono fatto così”, significa dover utilizzare quotidianamente moltissime delle proprie energie per difendersi dagli attacchi relazionali, che sono veri e propri attentati ai sentimenti.
Cosa possono fare le persone più costruttive per convivere con quelle che lo sono meno? In certi casi, come in ufficio, i rapporti sono obbligati.
Essere meno costruttivi non è un danno di per sé, lo è solo se ci si fa vanto della propria immobilità e si passa dall’essere meno costruttivi all’essere distruttivi. Da un lato è necessario esercitare la pazienza con se stessi e con gli altri, poiché la ricerca ha tempi diversi per ciascuno e non sempre chi crede di essere avvantaggiato scopre di essere nel giusto. Dall’altro lato è necessario difendersi.
Difendersi da cosa?
Dagli attentati ai sentimenti come l’oppressione, l’intimidazione, la squalifica, la seduzione, la demotivazione, l’istigazione e la manipolazione.
Cosa si intende per seduzione sul posto di lavoro?
In maniera talvolta meno drammatica, su cui è ugualmente necessario riflettere, può accadere che in ufficio si sia “presi” da un/una proprio/a collega particolarmente brillante, bello/a o di potere. La dinamica è la stessa poiché porta alla prostrazione dell’uno ed all’innalzamento dell’altro, fintanto che ci si accorge di stare sacrificando troppo di se stessi per qualcosa che non lo merita. A quel punto solitamente partono le vendette. Anche in questo caso, valgono i parametri di riflessione sul proprio torna conto, sul confronto con coloro di cui ci fidiamo e sulle dicerie.
E quali sono i danni causati da questi “attentati ai sentimenti”?
Rompono quella connessione che esiste tra i valori e i sentimenti, che sono stati costruiti nella vita, e l’identità della persona. Tale punto di frattura deve poi essere risaldato; qualora si riceva numerosi attentati e non si riesca a riconnettere le due parti, l’identità si frantuma e la persona può sentire di essere perduta. La difesa dei propri sentimenti è un processo che passa dal riconoscere l’attentato che si subisce (si può fare partendo dal tipo di dolore provato) e mettere a punto una strategia per prevenire o fronteggiare l’attacco successivo.
Può fare un esempio su come fronteggiare questo attacco?
In questi anni di crisi ho visto un proliferare di individui che si propongono come punti di riferimento incrollabile, maghi, religiosi, ma anche professionisti della salute e del benessere. Questi signori “vendono” certezze, guarigioni, illuminazioni o comprensioni definitive della vita. Basta solo seguirli, cambiare la propria vita, talvolta rinunciare a tutti i propri averi e diventare loro “discepoli”. Si sono organizzati attraverso impalcature mentali che descrivono come scientifiche, ma che sono solo supposizioni. Questo è un caso in cui la seduzione, tramite il potere della parola, l’evocazione di immagini di pace o il bisogno di sentirsi finalmente arrivati, diviene plagio. Tutti coloro che sono alla ricerca di se stessi possono essere colpiti e attirati dalla seduzione in questa e in altre forme. In questi casi si può costruire degli “antivirus” facendo una lista di cosa ho ricevuto concretamente dall’esperienza fatta, chiedendo ai miei amici e ai miei cari come la valutano e leggendo cosa ne dicono in rete i detrattori.
E nella vita di coppia, che si tiene in piedi con l’impegno di entrambi, come si fa se uno dei due è immobile?
Nella vita di coppia la questione dell’evoluzione relazionale è davvero centrale. Il lavoro che faccio con le coppie in crisi, parte sempre dall’individuare se ci sono ancora speranze, ovvero se esistono nella coppia dei luoghi in cui la comunanza di impegno e la capacità residua di dare il proprio meglio possa avere senso per entrambi. In pratica cerco il famoso punto d’appoggio (“…per sollevare il mondo”), che possono essere i figli, le battaglie da portare avanti, i desideri da realizzare, la comunanza di vissuti, e molto altro, ovvero tutto ciò da cui si può ripartire per un prossimo tratto di vita insieme.
Anche in questo caso infatti è necessario comprendere che esistono dei cicli relazionali, con un loro avvio, una loro estensione, ma anche con una chiusura. Ad ogni chiusura si può ripartire con un altro ciclo oppure la relazione può essersi conclusa o può avvenire un cambiamento verso una forma relazionale diversa (eravamo fidanzati da così tanti anni che eravamo ormai come fratelli). Questi ovviamente non sono cambiamenti indolore e tra uno stato e l’altro può essere necessario far passare un certo tempo, nel quale la relazione interiore che ognuno ha con l’altro possa generare una nuova affinità. Quando due persone si separano danno oggettività a un conflitto, il quale si cristallizza in una specifica forma. Quel conflitto e quella forma relazionale saranno comunque presenti in ciascuno, fintanto che non si sarà riusciti a “cambiare di stato”. La “soluzione” relazionale trovata, diverrà bagaglio di ciascuno e potrà essere utilizzata come forma preventiva nelle prossime relazioni.
Dovremmo andare tutti in analisi? Molti dicono che “non serve” oppure “non funziona”. Chi ci va sa quanto sia faticoso e a volte frustrante, ma difende l’esperienza.
C’è un fatto simpaticissimo che mi capita di frequente. Alla fine di conferenze o incontri laboratoriali con genitori o insegnanti, c’è sempre qualcuno che mi si avvicina e mi dice: “Vorrei venire da lei a parlare di un mio problema, ma sappia che io non credo alla psicologia!” La mia risposta è sempre la stessa: “Neanche io credo alla religione psicologica! Vediamo se possiamo usare degli strumenti psicologici e relazionali utili a superare questo suo momento di difficoltà”. Il modo che ho trovato e scelto di affrontare le problematiche delle persone è quello di rendere partecipe il più possibile la persona dei bisogni che io vedo emergere da lei e degli obiettivi che posso aiutarla a raggiungere, per stabilirsi ad un livello in cui gestire da sola le sue difficoltà.
Non è possibile infatti pensare che una persona si risolva una volta per tutte andando in analisi, ma condivido il fatto che ogni persona viva nella sua vita dei momenti problematici e che essi vadano affrontati in tempi più o meno lunghi (talvolta possono bastare anche solo tre incontri, a seconda della problematica), ma non in anni. Credo che l’apprendimento di nuove modalità relazionali divenga uno strumento che ognuno può utilizzare in piena autonomia e non dipendendo da qualcun altro. E sinceramente penso anche che l’economicità e l’ottimizzazione dell’intervento relazionale sia oggi una necessità, ovvero la risoluzione di una problematica non può diventare come l’accensione di un mutuo, ma deve poter avere dei confini di sostenibilità anche economica.
Devi fare login per commentare
Accedi