Medicina
Sono sopravvissuto al cancro grazie alla ricerca e al mio donatore
Chi salva una vita,
salva il mondo intero
Talmud
Remissione completa, sono le le due parole che ogni malato di cancro vorrebbe leggere, sul suo referto, dopo il controllo.
C’è chi riesce a ottenere questo risultato e chi, purtroppo, no.
Tecnicamente, per le riviste mediche, io sono un sopravvissuto al cancro. Un lungo sopravvivente, controllo dopo controllo.
Per ottenere questo risultato hanno lavorato in tanti, ricercatori, medici, infermieri, tutto il reparto di ematologia dell’Istituto dei tumori di Milano.
Nel 2004 mi è stato diagnosticato un Mieloma Multiplo, un tumore del sangue che si forma nel midollo osseo e attacca tutto il corpo e il sistema immunitario.
Non si è mai preparati a notizie del genere e non lo ero nemmeno io.
Avevo 38 anni, un lavoro che mi piaceva e mi ero sposato da poco. Facevo la mia vita da milanese, gli amici, il cinema, il Milan, qualche aperitivo, le vacanze. Poi, di colpo, la notizia che ha cambiato la mia vita. Ero impietrito come davanti alla Medusa. E, con me, i miei affetti.
Un’enorme sfiga mi ha colpito, sì perché di questo tumore non si conoscono le cause, ha un’incidenza bassa sulla popolazione e riguarda soprattutto persone con più di 70 anni.
Vivendo a Milano avevamo a disposizione il meglio per le cure, nonostante ciò però non era facile capire.
Cosa fare, da chi andare, chi è più bravo, ti consiglio questo, ti consiglio quello. Tutti avevano un’opinione.
Eravamo bombardati (plurale, il tumore colpisce uno ma coinvolge tutti i familiari) dalle informazioni, dalla paura e dall’incertezza.
L’istinto era quello di correre su internet per trovare informazioni, ma le notizie erano frammentate e le percentuali di sopravvivenza facevano, letteralmente, cagare addosso.
Avevo la mia vita e di colpo non c’era più.
Prima di trovarci in mezzo a questo vortice, come tanti, volevamo un figlio. Però, ci sono sempre un’infinità di però, quando c’è di mezzo una patologia oncologica, ci avevano prospettato una terapia della durata di due o tre anni, fatta di farmaci, chemio, trapianti di midollo.
Dopo un periodo di osservazione, la malattia accelerò e così, in pochi giorni ci fu il decreto: chemio d’urgenza. “Se volete un figlio dovete congelare il seme o provarci in questi due/ tre giorni prima della terapia perché la fertilità è a rischio” furono le parole dei medici.
La cura consisteva nel portare in remissione il cancro, prelevare le cellule staminali e poi reinfondermele (l’autotrapianto) e, nel frattempo, cercare un donatore di midollo compatibile nella banca dati mondiale per il trapianto allogenico. I miei familiari non lo erano, solo nel 25% % dei casi si verifica questa condizione.
La prima chemio (il freddo che si sente nelle vene non è una bella sensazione) non fece effetto, anzi evidenziò un problema. “Dalla carabina passiamo al bazooka” mi disse il mio ematologo (diventato per me un fratello e sempre al mio fianco, dal primo giorno sino a oggi. Gli voglio bene).
La fortuna ha un peso determinante in ogni passo della nostra vita, naturalmente anche nella mia. In quei mesi in Italia veniva inserito nei protocolli il velcade il farmaco che ha cambiato la storia della cure di questa malattia.
Una medicina innovativa e molto costosa, messa a punto grazie alla RICERCA.
Nel frattempo il mio stato di salute stava peggiorando, mi ricoverarono e, i miei (aggettivo possessivo) medici, decisero di somministrarmi quel trattamento terapeutico come prima linea. Fecero una forzatura perché le direttive in vigore non lo permettevano: si poteva dare solo in presenza di una recidiva (l’incubo peggiore dei pazienti oncologici). Mossa vincente, oggi, tutti coloro con una diagnosi di mieloma, la prendono come prima linea di trattamento, addirittura con modalità meno invasive rispetto ad allora.
Passarono i cicli di terapia, le sedute in iniettorato e le attese. Poi la scena cambiò, come nell’impianto di Mario Botta per la Scala di Milano.
Mia moglie aspettava un bimbo, il tentativo era andato bene e l’ematologia mi chiamò per comunicarmi che la remissione era arrivata e così si poteva procedere al livello successivo della cura.
Primo autotrapianto, secondo autotrapianto, poi la notizia del match con un donatore compatibile.
Tutto, con un immensa fatica e un indebolimento fisico pazzesco, stava procedendo.
Ma, la felicità, o almeno un surrogato niente male, aveva battuto un colpo.
Lorenzo è nato nell’ottobre 2005 (e qui la felicità è tracimata), tra un autotrapianto e l’altro.
L’aprile successivo avrei affrontato il trapianto da donatore, anche in questo caso sul consenso informato erano indicate le percentuali di sopravvivenza a questa procedura. Ecco, li ho firmato per la mia vita, per cercare di salvarmela. La strada era segnata e il midollo del donatore poteva essere risolutivo.
Tanto ospedale nella stanza sterile, dove si entra uno alla volta, dove tutto è asettico e da dove non potevo vedere mio figlio di pochi mesi. Chemio ad alte dosi e immunosoppressori, l’arrivo della sacca dall’America e la successiva infusione sono un ricordo che mi mette i brividi ancora adesso. Con me c’erano i dottori e la mia famiglia. Giorni faticosi sono trascorsi e finalmente la dimissione.
Successivamente, i controlli e i farmaci da prendere sembravano non finire mai.
L’ambulatorio è un microcosmo nell’ospedale stesso, qui si entra in contatto con le storie degli altri pazienti, tutte durissime. Alcune finisco bene altre finiscono e basta. Tutte queste storie sono nel mio cuore, come le croci di Ungaretti in san Martino del Carso.
Tutti abbiamo coraggio, speranza, forza e tutti lottiamo pacificamente, ma non tutti siamo arrivati sino alla remissione completa e alla sopravvivenza di lungo periodo. Con il cancro i più bravi e i meno bravi non esistono. Quando si parla dell’altra faccia della sopravvivenza parliamo della morte, con i suoi numeri freddi, percentuali che spaventano sempre, perché il 100% non è ancora contemplato. In questo territorio, il lieto fine non è per tutti.
Scopo della RICERCA è ridurre lo spazio della fortuna, della casualità e aiutare quanti più pazienti ad avere il loro lieto fine. Per questo per combattere il cancro bisogna donare, donare, donare.
Oggi il mieloma ha, per fortuna, metodi di cura che permettono di vedere il futuro in maniera diversa e migliore, anche solo rispetto a quando ho iniziato il mio percorso.
Ogni controllo è un passo di avvicinamento alla felicità se va bene, o al baratro, se va male. Ogni controllo ci fa prendere coscienza della nostra fragilità.
La paura, l’affetto, la felicità, lo scoramento, la fatica, la testa liscia senza capelli, gli aghi nelle vene, i prelievi continui, la vita mutata, per dirla con Dante “‘ntender no la può chi no la prova”.
Un tumore non è mai un’opportunità però insegna a diffidare delle false verità, a diffidare di quelli che parlano troppo di cancro senza conoscerlo. Ma insegna anche ad avere fiducia negli altri, donatore compreso (che decide senza calcoli e in modo totalmente disinteressato).
Chi si attacca alle futilità per avere soddisfazione: il fatturato, la macchina bella, l’ultimo i phone, l’hotel a 10 stelle, la carriera, il proprio ego, semplicemente non si rende conto della fortuna che ha, quella di stare bene. Quelli che ci trattano male, quelli che si illudono di essere artefici del proprio destino, mentre in realtà non è così; quanto sono lontani dal donatore o da chi ha lavorato per aiutarci?
Oggi, con qualche strike e qualche palla persa, sto bene, faccio i controlli, sempre accurati per cercare di vincere, o almeno di domare, l’ansia.
Lorenzo ha 12 anni e ringrazio ogni giorno il “mio” staff e il mio donatore: quelli che semplicemente mi hanno salvato la vita sapendo che non è scontato.
Grazie alla ricerca.
Questo pezzo è dedicato a chi ha lottato e a chi continua a lottare.
Questo è il mio blog http://utmotribute.blogspot.it in cui racconto ogni controllo e la mia esperienza con questa malattia.
E qui una testimonianza https://www.youtube.com/watch?v=UlHYZ60gkqc
Devi fare login per commentare
Accedi