Medicina
Mihajlović, il cancro e ciò che non vogliamo ammettere: ovvero che il culo conta
Mihajlović se ne è andato per una leucemia mieloide acuta, un cancro del sangue che come tutti i cancri è una merda e non un’opportunità per capire meglio chi siamo.
E’ stato curato, in uno dei migliori centri ematologici italiani, con un trapianto di midollo osseo da donatore; un trattamento molto duro, faticoso e rischioso.
Dopo i primi incoraggianti risultati la recidiva, non rara per questo tipo di tumore, si è ripresentata più cattiva e aggressiva di prima.
Sinisa ha avuto quasi tutto quello che poteva avere per affrontare una condizione di quel tipo:
Affetto dei propri cari; cure all’avanguardia e medici bravi; forza di volontà, resistenza, voglia di non mollare, alta soglia di sopportazione del dolore.
Gli è mancato il culo, si proprio quello: la fortuna ha fatto la differenza fra lui e gli altri che, per la stessa malattia, hanno avuto la stesso trattamento: il trapianto da donatore.
Il fatto che sia successo a una persona famosa e considerata come un grande e tenace lottatore, in campo e nella vita – che certo non è stata tenera con lui -, ha smascherato la menzogna del volere è potere, del considerare chi ce la fa uno che ha messo più forza, più coraggio, più attenzione, più volontà, più resistenza. Tutti mettono tutto ciò che hanno da dare.
Non ce l’ha fatta perchè è stato più sfortunato degli altri, è molto semplice.
La fortuna da sola non basta, però conta.
Naturalmente, il fatto che non decidiamo noi, almeno in casi come questo -stiamo parlando della sopravvivenza- (visto che nessuno vuole morire) destabilizza i principi di una società basata solo sul raggiungimento del risultato, una società dove insegnano che chi arriva secondo è il primo dei perdenti; che sgobbando, sbracciando, volendolo puoi ottenere quello che vuoi, tutto (e per tutto intendo tutto). Quanto accaduto all’ex allenatore del Bologna ha messo in crisi il pensiero capitalistico occidentale, il più grande combattente, alla fine, non ce l’ha fatta. Il paradigma del “volere è potere” è stato sbriciolato una volta di più.
Parlo da “persona informata sui fatti”, ho subito un trapianto di midollo osseo da donatore (lo stesso trattamento dell’ex giocatore serbo) non consanguineo nel 2006 per curare il Mieloma (una patologia oncoematologica). E‘ da quegli anni che, osservando la sala d’aspetto, ascoltando altri pazienti, per non parlare del percorso del mio compagno di stanza (un fratello per me, come tutti i malati di cancro), che ho maturato la certezza dell’importanza del culo.
Io ho sofferto come loro, ho dato tutto quello che potevo come loro e insieme a loro, in molti casi loro hanno sofferto anche di più; hanno affrontato recidive, sedute di chemio, infusioni, trasfusioni, prelievi di sangue e del midollo, sentito le pompe andare senza soluzione di continuità: tutta roba molto faticosa sia fisicamente sia emotivamente, come è successo sicuramente a Sinisa.
Ho visto con i miei occhi il loro l’attaccamento alla vita; io FORTUNATAMENTE sono qui (dopo aver appena fatto un controllo che ha certificato la mia remissione e nonostante qualche acciacco), Arnaldo (il mio compagno di stanza), Sinisa e un elenco lunghissimo di altri nomi sconosciuti non ci sono più.
Sono grato a chi mi ha salvato la vita (la mia donatrice, i miei meravigliosi medici, infermieri, operatori sociosanitari dell’Istituto dei tumori di Milano), ho sofferto tantissimo, soffrire ovviamente non piace a nessuno, ho però, lo ripeto sino alla noia, avuto la fortuna di assaporare un certo tipo di felicità, proprio perché ho sofferto.
Se vivessimo in un mondo dove tutti siamo felici, non ci renderemmo conto di esserlo, lo daremmo per scontato. Così come moltissimi fanno con la salute.
Ci tengo a sottolineare che chi sopravvive non è un vincente e invece chi non ce la fa un perdente,
purtroppo se la sfiga si unisce al cancro, anche il più grande dei lottatori capitola.
Questo è il messaggio che ci lascia Sinisa, lottare sempre sino alla fine, dando tutto, essendo consapevoli però che questo potrebbe non bastare.
In virtù di quello che ho passato (e ho ricevuto) -non sto neanche a raccontare quanto sia grande l’ansia per il timore della recidiva che accompagna i pazienti tra un controllo e l’altro – ho il dovere, oltre che di essere grato, di restituire qualcosa e lo faccio come posso, ovvero sostenendo la ricerca, cercando di avere un ruolo attivo per aiutare altri pazienti (sono in molti a scrivermi) ma non solo, ho maturato la consapevolezza che
Da una parte,
Io non posso dire coraggio;io devo dare coraggio, spiegare che le terapie ci sono, che bisogna impegnarsi
Io non posso dare una pacca sulla spalla e dire “ce la farai”, io devo darti me stesso e dirti “raccontami, dimmi in cosa ti posso aiutare”
Io non posso accontentarmi di domande generiche del tipo come stai?, domanda che non faccio mai; io devo cercare di tranquillizzarti, devo cercare di spiegarti che le soluzioni, rispetto a quando è successo a me, si sono moltiplicate.
Dall’altra,
spiegare ai sani, a chi per sua fortuna non conosce la drammaticità del cancro, intanto che esiste e sensibilizzarli su questo e secondariamente che, grazie alla ricerca, le terapie migliorano in continuazione.
Sosteniamo la ricerca è l’unico modo per far calare l’incidenza della fortuna per la cura delle patologie oncoematologiche.
Don’t give up the fight
Ho raccontato la mia esperienza di sopravvissuto a un cancro del sangue nel libro Sono nato dopo mio figlio pubblicato da Laurana editore https://www.amazon.it/figlio-Vivere-mieloma-cancro-inguaribile/dp/8831984896
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