Medicina
Per proteggersi dalle cause i medici prescrivono 10 miliardi di esami inutili
MD. In Nord America questo acronimo indica il Medicinae Doctor, cioè il medico (da qui il titolo del celebre telefilm “House, M.D.”). In Italia, invece, MD indica uno dei mali della pratica medica: la medicina difensiva. Di che si tratta? Si fa medicina difensiva «quando il medico, nel proprio interesse cautelativo, prescrive esami, procedure o visite non strettamente necessarie, o evita pazienti o procedure ad alto rischio di complicanze». La medicina difensiva è sempre più diffusa, nella sanità italiana. Secondo una recentissima ricerca elaborata dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari nazionali (Agenas), il 58% dei medici intervistati dichiara di praticarla. Sia chiaro, il fenomeno non è solo italiano. Anzi. In uno studio del 2007-2008 in Massachusetts che ha coinvolto 3.650 medici, è stato evidenziato che l’83% di loro praticava la medicina difensiva.
A dire il vero forme di medicina difensiva esistevano già nell’antichità. «Uno degli episodi più antichi risale al IV secolo a.C., lo racconta lo storico Curzio Rufo in “Storie di Alessandro Magno” – dice a Gli Stati Generali Giorgia Guerra, avvocato e ricercatrice dell’università di Padova – Rufo narra che quando Alessandro fu gravemente ferito in battaglia, nessuno dei medici ebbe il coraggio di operarlo, finché Alessandro, conscio della gravità della ferita, rendendosi conto dei motivi per i quali i chirurghi fossero così restii a intervenirem, promise l’impunità a tal Critobulo, che alla fine lo operò». L’episodio, aggiunge la Guerra, «è solo una delle tante testimonianze storiche di chirurghi che si rifiutano di eseguire questa o quella pratica senza prima aver ottenuto l’impegno, da parte dell’assistito e dei suoi parenti, di rinunciare a qualunque rivalsa nei loro confronti». Già nel codice di Hammurabi, di quasi 4000 anni fa, si legge: «Se un medico pratica una larga incisione con la lancetta, e ammazza il paziente […] gli siano tagliate le mani».
Antichità a parte, la medicina difensiva moderna ha iniziato a prendere consistenza negli USA negli anni ‘70, diffondendosi poi oltreoceano. «Nel corso degli ultimi anni si è assai modificata la natura del rapporto medico-paziente. È aumentata la percezione sociale del problema della medical malpractice (malasanità) e si è verificata una crescente attribuzione di responsabilità civile e penale all’operatore sanitario – osserva la Guerra –. La classe medica, riconosciuta sempre più responsabile di episodi di malasanità, a torto o a ragione, è stata esposta a un numero sempre maggiore di azioni legali». Alex è un oculista toscano che preferisce mantenere l’anonimato. Con Gli Stati Generali si sfoga: «La medicina difensiva è un flagello della sanità contemporanea. Però ammetto che anche io, qualche volta, ho prescritto esami in più, per non dare appigli a pazienti litigiosi».
Come ha rilevato l’Organizzazione Mondiale per la Salute (OMS), «i medici potrebbero rispondere alla minaccia percepita di un’azione legale ordinando più visite specialistiche ed esami, alcuni dei quali potrebbero essere raccomandati e utili, altri inutili e dannosi». In effetti secondo la ricerca dell’Agenas, delle tre maggiori cause di MD due avrebbero natura giuridica: una legislazione sfavorevole per il medico (31% dei casi), e il rischio di essere citati in giudizio (28%); solo nel 14% dei casi la medicina difensiva è causata da uno sbilanciamento del rapporto medico-paziente con eccessive richieste, pressioni o aspettative da parte del paziente e dei suoi familiari. «Oggi tra i pazienti gira la sindrome della “causa facile”. È un bel problema purtroppo, perché di fatto non serve a nessuno – dice a Gli Stati Generali Mirko, pediatra trentino – Identificare e giudicare è un diritto sacrosanto del paziente, ma far causa a prescindere, non appena se ne intravede la possibilità, è deleterio».
In base alle testimonianze raccolte da questa testata, un numero significativo di medici, soprattutto in specialità ad alto rischio, ha la sensazione di essere vittima di una sorta di “caccia alle streghe”. Gli episodi che raccontano sono a tratti grotteschi: dal paziente che fa causa al medico perché questi gli ha fatto prescrivere il bustino impedendogli così di partire per le ferie, al primario che trova in corsia volantini di consulenti che garantiscono lauti risarcimenti ai pazienti insoddisfatti. «Ogni atto medico comporta la possibilità di un errore, le complicazioni sono insite nell’attività medica. Ma ormai questo non lo accetta più nessuno – dice a Gli Stati Generali Cesare, chirurgo vascolare veneto con trent’anni di esperienza – Quando un medico viene citato in giudizio, subisce un colpo durissimo. Un procedimento giudiziario ti segna in modo indelebile, non sei più lo stesso, ti sembra di essere vittima di una maledizione. E anche se le cause si risolvono quasi sempre a favore del medico, essere coinvolti in una lite giudiziaria è una fonte di stress enorme. Ecco come mai il boom della medicina difensiva: ci si vuole coprire le spalle a tutti i costi».
E in effetti persino il Parlamento ha preso atto del problema. “Negli ultimi anni si è assistito al notevole acuirsi dell’attenzione agli errori e incidenti che possono verificarsi nell’erogazione dei trattamenti sanitari. – ha scritto nel 2013 la Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario – Il fenomeno è dovuto in parte al rilievo dato agli eventi dalla letteratura scientifica e dai mass media, ma deriva soprattutto dal manifestarsi, pure in Italia, di un nuovo indirizzo culturale e giurisprudenziale diretto a incrementare esponenzialmente il risarcimento del danno biologico ed esistenziale”.
La sindrome della “causa facile” sembra contribuire in modo decisivo all’epidemia di medicina difensiva: e infatti ben il 93% dei medici interpellati dall’Agenas ritiene che questa pratica cautelativa sia destinato a crescere, portandosi dietro costi umani, scientifici, organizzativi ed economici enormi. Sempre in base alla ricerca dell’Agenas, la medicina difensiva grava sulle tasche degli italiani per 9-10 miliardi di euro. Il 10,5% della spesa sanitaria nazionale. 165 euro a testa. Riguarda prima di tutto esami strumentali e di laboratorio, ma anche la farmaceutica e le visite specialistiche. Costi a parte, la medicina difensiva aumenta i dubbi diagnostici e il rischio di errori. Allunga le liste d’attesa a discapito dei pazienti che hanno davvero bisogno di esami e visite specialistiche, genera inutili sovraccarichi di lavoro per medici e infermieri già oberati di compiti.
Non solo. Alcuni esami hanno necessariamente un certo margine di rischio, a cominciare da quelli radiologici. Secondo l’OMS, «l’utilizzo delle radiazioni in ambito sanitario è di gran lunga il principale fattore di esposizione da fonti artificiali per la popolazione». Per l’Unione Europea almeno nel 30% dei casi l’utilizzo della diagnostica per immagini (e in particolare quella a maggior carico radiologico, quali la scintigrafia e la TC-PET) non è appropriato. Interessantissimi poi i dati di uno studio italiano pubblicato nel 2011 sulla rivista scientifica “Radiologia medica”: analizzando 4.018 richieste ambulatoriali (tomografie, risonanze magnetiche ed ecografie), solo il 56% delle prestazioni si è rivelato appropriato, a differenza del restante 44%, che ha generato una spesa inutile di 94mila euro, su un totale di quasi 260mila euro. «Il problema della medicina difensiva ha senz’altro una dimensione economica importante, che pesa tanto sui redditi del paziente quanto sulle casse dello Stato», rileva Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato».
Cesare però mette in guardia: «Non è tutto bianco o nero, ci sono tante sfumature di grigio. Gli esami e le visite servono. E anche se qualche volta si tratta del solito gioco dello scaricabarile, spesso il medico deve affrontare situazioni poco chiare, dai confini nebulosi; e allora è normale che si chiedano al paziente esami che magari poi si rivelano inutili». Insomma, si deve scongiurare il rischio che la lotta alla medicina difensiva si trasformi nel cavallo di Troia per altri tagli orizzontali alla spesa sanitaria. Cesare propone poi delle soluzioni di «buonsenso» per arginare l’epidemia di medicina difensiva: «Si deve creare un organo terzo che si occupi di gestire, in via conciliativa, i danni derivanti dagli errori compiuti nell’attività medica». Ci si potrebbe ispirare alla soluzione adottata in Nuova Zelanda: lì tutti i danni sono coperti dall’assicurazione nazionale, e c’è un’agenzia ad hoc, la Health and Disability Commissioner, che promuove la risoluzione delle controversie in modo semplice e rapido, senza eccessi punitori.
Secondo il professor Sergio Barbieri, vicepresidente nazionale del sindacato dei medici CIMO, bisognerebbe importare in Italia, «il sistema no blame (niente colpa), dove sia il medico che il paziente non sono costretti a finire in un’aula di tribunale. Il medico non sostiene pesanti rischi legali o economici, il paziente non necessita di assistenza legale e non deve neanche sobbarcarsi le spese di una causa che può durare parecchi anni. Tale sistema implica l’esistenza di un sistema di assicurazioni di tipo mutualistico a carico degli enti ospedalieri, che hanno il grande vantaggio di essere no-profit e di limitare i costi al risarcimento del paziente, che è quello che conta davvero, e alle spese di gestione della pratica. Il medico così è liberato da pesanti responsabilità penali e civili (ma non di quelle professionali) e può concentrarsi con serenità sul suo lavoro».
Intanto sembra che qualcosa stia cambiando, anche in Italia, a vantaggio dei medici. Interpretando in modo estensivo la legge Balduzzi del 2012, per esempio, la sentenza del tribunale di Milano del 17 luglio del 2014 ha sancito che è il paziente a dover provare la colpa del medico, e non il medico a dover dimostrare di aver agito in modo corretto. «La sentenza del tribunale di Milano per noi medici è un faro nella notte. – commenta Roberto Carlo Rossi, presidente dell’Ordine dei medici di Milano – Si tratta di una decisione coraggiosa che inverte la tendenza in atto di porre la croce sulle spalle del medico. E indebolisce le ragioni delle prassi mediche difensive». Per Rossi «negli anni ’80 e ‘90 dilagava il colpo di frusta; in seguito è partita la moda della caccia all’errore medico, che nei primi anni Duemila ha raggiunto dimensioni drammatiche, anche per via di una certa tendenza giurisprudenziale. Ora c’è questa sentenza del tribunale di Milano, ma al momento è l’unica o quasi». Per Rossi dietro il boom di cause contro i camici bianchi ci sono vari fattori: «Prima di tutto una giurisprudenza civile sfavorevole al medico, fatta eccezione per la recentissima sentenza milanese. In secondo luogo, la crisi economica, che è senz’altro un elemento di destabilizzazione. Infine certi spot pubblicitari, e certe polemiche mediatiche».
L’aumentata rivendicazione dei pazienti è legata pure a un deterioramento del rapporto medico-paziente: un malato che si sente trattato in modo compassionevole e umano dal proprio dottore è meno propenso a intentare causa anche nello sfortunato caso di complicazioni. Interessante a riguardo il parere di Lorenzo Ghiddi, direttore della struttura di radiologia di Montecchio Emilia e Castelnovo ne’ Monti. Secondo lui il problema della medicina difensiva ha grandi implicazioni filosofiche, metodologiche, scientifiche, sociali. «Auspico un recupero del significato profondo del rapporto medico-paziente che parta dalla formazione universitaria, troppo concentrata sul tecnicismo e sulla super-specializzazione. Siamo diventati degli ottimi ingegneri, specialmente noi radiologi, e come direbbe G.B. Shaw, impariamo sempre di più su sempre meno; arriveremo a sapere tutto su niente».
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